Il senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum: il testo e l'interpretazione di Ulpiano al primo caput contenuto in D. 5.3.20.6a. La ricostruzione della vicenda giudiziaria che ne ha originato l’approvazione

AutoreYuri González Roldán
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@1. Il nome del senatoconsulto

Trattando, all’interno del quindicesimo libro del suo commentario ad edictum, la petizione d’eredità1, Ulpiano riporta ed analizza un senatoconsulto emanato, sotto il regno di Adriano, il 14 marzo 882/129 d.C., quando i consoli in carica erano Quinto Giulio Balbo e il noto giureconsulto Publio Giuvenzio Celso Tizio Aufidio Oeno Severiano. Tutti i giuristi classici che se nePage 32 sono occupati lo indicano genericamente2 e nel codice di Giustiniano la costituzione dell’imperatore Marco Aurelio del 170 d.C. (C. 3.31.1pr.), che vi fa riferimento, lo definisce: senatus consultum auctore divo Hadriano avo meo factum… Nel diritto intermedio, ad esempio, Azzone3 lo designa come S.C. Hadrianum, vel ab Hadriano factum, mentre Bartolo da Sassoferrato4 e Baldo degli Ubaldi5 si limitano a richiamarlo con le parole: ait senatus. In seguito Heineccius (Johann Gottlieb Heinecke)6 lo qualifica SCto Juventio Celso et Julio Balbo Conss. facto, citando in primoPage 33 luogo il giurista e poi l’altro console. È solo nel corso del secolo XIX che comincia ad essere identificato come Giuvenziano grazie a Savigny7 ed ai Pandettisti, ad es., Dernburg8, i quali gli attribuiscono appunto il nome di S.C. Juventianum (sic).

E tale nome è quello comunemente adottato dalla romanistica attuale9, che, pur non rinvenendo nelle fonti, per il nostro senatoconsulto, l’appellativo di Iuventianum, lo giustifica con la circostanza che uno dei consoli proponenti era stato l’omonimo e noto giureconsulto di età adrianea. Qui, pur non rifuggendo da questa terminologia, entrata ormai nell’uso corrente, si adotterà di preferenza la medesima locuzione attestata dalle fonti giurisprudenziali, quando, per designare un senatoconsulto, si ricorda la coppia consolare e pertanto, sull’esempio, tra i tanti, del SC. Sulla et Trione consulibus factum, diremo senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum10.

@2. Il testo di Ulpiano

Ulpiano, libro quinto decimo ad edictum in D. 5.3.20.6 tramanda il contenuto del nostro SC con queste parole:

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Praeter haec multa repperimus tractata et de petitione hereditatis, de distractis rebus hereditariis, de dolo praeterito et de fructibus. de quibus cum forma senatus consulto sit data, optimum est ipsius senatus consulti interpretationem facere verbis eius relatis. “Pridie idus Martias Quintus Iulius Balbus et Publius Iuventius Celsus Titius Aufidius Oenus Severianus consules verba fecerunt de his, quae imperator Caesar Traiani Parthici filius divi Nervae nepos Hadrianus Augustus imperator maximusque princeps proposuit quinto nonas Martias quae proximae fuerunt libello complexus esset, quid fieri placeat, de qua re ita censuerunt. 6a «Cum, antequam partes caducae ex bonis Rustici fisco peterentur, hi, qui se heredes esse existimant, hereditatem distraxerint, placere redactae ex pretio rerum venditarum pecuniae usuras non esse exigendas idemque in similibus causis servandum. 6b Item placere, a quibus hereditas petita fuisset, si adversus eos iudicatum esset, pretia, quae ad eos rerum ex hereditate venditarum pervenissent, etsi eae ante petitam hereditatem deperissent deminutaeve fuissent, restituere debere. 6c Item eos qui bona invasissent, cum scirent ad se non pertinere, etiamsi ante litem contestatam fecerint, quo minus possiderent, perinde condemnandos, quasi possiderent: eos autem, qui iustas causas habuissent, quare bona ad se pertinere existimassent, usque eo dumtaxat, quo locupletiores ex ea re facti essent. 6d Petitam autem fisco hereditatem ex eo tempore existimandum esse, quo primum scierit quisque eam a se peti, id est cum primum aut denuntiatum esset ei aut litteris vel edicto evocatus esset. censuerunt». aptanda est igitur nobis singulis verbis senatus consulti congruens interpretatio.

Poco prima, nel medesimo libro11, il giurista afferma di avere trovato nell'editto un’ampia regolamentazione della petizione di eredità, della vendita delle cose ereditarie, del dolo preterito, dei frutti. La disciplina relativa a questi punti era stata discussa in senato ed aveva assunto la forma di un senatoconsulto: cum forma senatus consulto sit data12. Questo fatto determina la scelta delPage 35 criterio espositivo da seguire nella sua trattazione: infatti, dapprima si riportano le parole del provvedimento (optimum est ipsius senatus consulti interpretationem facere verbis eius relatis13), e poi si procede alla conveniente interpretazione di ciascuna di esse (aptanda est14 igitur nobis15 singulis verbis senatus consulti congruens interpretatio16).

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Ulpiano aveva sicuramente davanti agli occhi una copia degli atti relativi a quella seduta del senato, estratta dal Tabularium del Campidoglio, dove, come sappiamo, erano raccolte tutte le risoluzioni del senato17, dal momento che ne dà un dettagliato reso

conto del contenuto.

@@a. La parte introduttiva

Prima di procedere all’esame delle disposizioni inserite nei §§ 6a-6d di D. 5.3.20, vanno considerati gli aspetti relativi alla parte introduttiva, in quanto anch’essi suscitano dei problemi. Cominciamo dalla datazione:

pridie idus Martias Quintus Iulius Balbus et Publius Iuventius Celsus Titius Aufidius Oenus Severianus consules verba fecerunt...

Il giorno precedente alle idi di marzo, dunque, i consoli Quinto Giulio Balbo e Publio Giuvenzio Celso Tizio Aufidio Eno Severiano avevano provveduto ad illustrare la proposta.

Il testo indica all’inizio, così come in tutti gli altri senatoconsulti che sono pervenuti in via epigrafica, la data di convocazione del senato18, il giorno precedente alle idi di marzo (pridie idusPage 37 Martias), vale a dire il 14 di quel mese, senza che sia ricordato il luogo ove è avvenuta l’adunanza19.

Tale data non coincide esattamente con uno dei due giorni in cui, a partire dal tempo di Augusto, a cadenza regolare, i patres erano soliti riunirsi nel corso di un mese, le calende e le idi (ad eccezione di settembre ed ottobre)20, ma è comunque molto vicina a quest’ultima. La non coincidenza con le idi trova una probabile spiegazione nel fatto che tale giorno era stato dichiarato "nefasto" dopo l'uccisione di Cesare. A conferma si possono addurre le testimonianze di Suetonio, Divus Iulius 88, secondo cui si decise di murare la Curia nella quale era stato assassinato, di definire le Idi di marzo "parricidio" e di proibire al senato, in perpetuo, di tenere riunioni in quel giorno:

curiam, in qua occisus est, obstrui placuit Idusque Martias "Parricidium" nominari, ac ne umquam eo die senatus ageretur;

e di Cassio Dione 47.19.1, il quale ricorda che i triumviri proclamarono nefasto il giorno dell’uccisione di Cesare, in cui sempre, in passato, si era tenuta una seduta del senato:

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[VEDA IL TESTO NEL PDF FISSATO]

In base a queste testimonianze, si deve quindi escludere che i patres potessero essere convocati il 15 marzo. Se alla luce di ciò consideriamo la circostanza che il senatoconsulto è stato deliberato il giorno precedente a questa data, è possibile configurare, in via di ipotesi: 1) che il senato si fosse riunito per decidere sulle questioni connesse all'eredità di Rustico in una sessione straordinaria21; 2) che la discussione ed il voto fossero avvenuti in una sessione ordinaria, anticipata, nel mese di marzo, al 14 per rispetto alla memoria di Cesare. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, quest’ultima sembra la più probabile, anche perché il riferimento alla vigilia delle idi di marzo come giorno di seduta del senato non è un dato isolato specifico del nostro senatoconsulto, ma ricorre altre volte nelle fonti22.

Nella parte iniziale del provvedimento, così come in altri che sono pervenuti epigraficamente23, è presente il nome dei consoli che si trovavano in carica nell’anno 882/129 d.C.24: Quinto Giulio Balbo25 e Publio Giuvenzio Celso Tizio Aufidio Eno Seve-Page 39riano26 (Quintus Iulius Balbus et Publius Iuventius Celsus Titius Aufidius Oenus Severianus consules).

Parte della dottrina27 suggerisce di togliere la particella et fra Balbus e Publius, risultando improbabile che, mentre di Celso era elencata tutta la teoria di nomi, di Balbo fossero citati il solo prenome, nome e cognome. Se a ciò si aggiunge la considerazione che Celsus è seguito da un praenomen, Titius, si perverrebbe alla conclusione che i consules proponenti siano stati quattro, due ordinari (Balbo e Celso) e due suffecti (T. Aufidius e Oenus o Hoenius Severianus). L’ingegnosa affermazione non appare però, a nostro sommesso avviso, del tutto convincente, non solo per la necessità di introdurre una modifica nel testo tramandatoci, ma soprattutto perchè il nome completo del giurista è, come rileva Kunkel, Iuventius Celsus T. Aufidius Hoenius Severianus, dal momento che Celso figlio era legato alla famiglia degli Hoenii Severi da un rapporto di consanguineità o di adozione28. Un tale legamePage 40 emerge chiaramente da un'epigrafe conservata nel museo civico di Sassoferrato, in cui questo viene indicato come il suo nome29. Sembra dunque più verosimile che la proposta fosse stata presentata al senato, anzichè da quattro consoli, dai soli due in carica, secondo le procedure ordinarie dei lavori dell’assemblea senatoria.

La presentazione poi della questione, sulla quale i patres sono chiamati a deliberare, ha inizio con i termini verba fecerunt, che costituiscono una locuzione fissa e sempre rigorosamente osservata nella redazione della parte introduttiva di un senatoconsulto, potendo subire solo piccole varianti, come quod ille (illi) verba fecit (fecerunt), in greco [VEDA IL TESTO NEL PDF FISSATO], o anche essere abbreviata in de re quadam ([VEDA IL TESTO NEL PDF FISSATO]). Nel caso del nostro senatoconsulto va sottolineato che entrambi i consoli hanno illustrato la questione, come può constatarsi dall’uso del verbo al plurale e non al singolare30, escludendosi in questo modo l’ipotesi che l’imperatore fosse presente nella seduta del senato: mancano, infatti, nel testo...

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