Il § 6d del senatoconsulto e il giudizio fiscale

AutoreYuri González Roldán
Pagine305-337

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@1. La denuntiatio menzionata nel § 6d del senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum e il commento di Ulpiano in D. 5.3.20.11

Nella parte del nostro senatoconsulto, riportata in D. 5.3.20.6d, sono ricordati elementi del giudizio relativo alla vindicatio dei caduca:

Petitam autem fisco hereditatem ex eo tempore existimandum esse, quo primum scierit quisque eam a se peti, id est cum primum aut denuntiatum esset ei aut litteris vel edicto evocatus esset.

Bisogna ritenere che l’eredità sia stata richiesta dal fisco dal momento in cui qualcuno abbia appreso per la prima volta che gli era stata richiesta (Petitam autem-a se peti), cioè quando per la prima volta o gli è stata fatta la denuntiatio oppure è stato convocato con lettere o editto (id est-evocatus esset).

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Qui dunque si affronta la questione di quando si debba considerare richiesta giudizialmente l’eredità da parte del fisco, rispondendosi che ciò avviene nel momento in cui il convenuto sia informato mediante denuntiatio oppure evocatio litteris o edicto. Consideriamo ora la prima eventualità.

La vindicatio dei caduca iniziava con la denuntiatio, che era il mezzo con il quale il convenuto veniva chiamato in giudizio e nello stesso tempo apprendeva dell'esercizio dell'azione nei suoi confronti.

La dottrina1 ha identificato tre tipi di denuntiatio: privata2, dove l’iniziativa spettava ad un privato, ex auctoritate3, in cuiPage 307 concorrevano il privato e l’autorità che doveva concedere l’autorizzazione alla citazione stessa, e per ultimo, l’ufficiale4, dovePage 308 l’iniziativa proveniva della stessa autorità. Per determinare a che tipo di denuntiatio faccia riferimento il § 6d del senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum è di gran utilità il commento datone da Ulpiano, libro quinto decimo ad edictum in D. 5.3.20.11:

Petitam autem hereditatem” et cetera: id est ex quo quis scit a se peti: nam ubi scit, incipit esse malae fidei possessor. “id est cum primum aut denuntiatum esset”: quid ergo si scit quidem, nemo autem ei denuntiavit, an incipiat usuras debere pecuniae redactae? et puto debere: coepit enim malae fidei possessor esse. sed ponamus denuntiatum esse, non tamen scit, quia non ipsi, sed procuratori eius denuntiatum est: senatus ipsi denuntiari exigit et ideo non nocebit, nisi forte is cui denuntiatum est eum certioraverit, sed non si certiorare potuit nec fecit. a quo denuntiatum est, senatus non exigit: quicumque ergo fuit qui denuntiavit, nocebit5.

Il giurista si sofferma a commentare alcune specifiche parti del contenuto del § 6d del senatoconsulto, dopo averlo riassunto con le parole petitam autem hereditatem (togliendo il riferimento al fisco6) et cetera. Il significato generale che gli viene attribuito èPage 309 quello per cui il possessore, dal momento in cui sa dell’esercizio della petizione di eredità nei suoi confronti, comincia ad essere di mala fede (id est ex quo-possessor). Si analizza poi l’inciso id est cum primum aut denuntiatum esset, sollevando su di esso una serie di questioni: qualora il possessore sia a conoscenza dell’azione contro di lui, ma non abbia ricevuto la denuntiatio, va ritenuto ugualmente vincolato al pagamento degli interessi sul prezzo delle cose ereditarie vendute (quid ergo-pecuniae redactae?)? La risposta che viene data è affermativa, in quanto egli è divenuto possessore di mala fede (et puto-possessor esse). Se, al contrario, la denuntiatio è stata compiuta, ma il possessore non è a conoscenza della richiesta giudiziale, poichè l’atto è stato rivolto al suo procuratore, non vi è nessuna trasformazione del suo possesso in un possesso di mala fede, avendo il senato voluto che la denuntiatio fosse diretta personalmente al possessore stesso (sed ponamusnon nocebit). A meno che – prosegue Ulpiano – il procuratore non l’abbia informato, mentre non rileva se costui, pur potendolo informare, non l’abbia fatto (nisi forte-nec fecit). Nel SC, infine, risultava indifferente chi avesse effettuato la denuntiatio, con il risultato che chiunque l’avesse fatta avrebbe determinato la trasformazione del possessore in possessore di mala fede (a quo denuntiatum-nocebit).

Steinwenter7 vede in questa parte del senatoconsulto il riferimento ad una denuntiatio pubblica, perché, discendendo da una petizione esercitata dall’erario, non poteva che avere tale carattere, mentre in D. 5.3.20.11 Ulpiano farebbe allusione ad un altro tipo di denuntiatio, compiuta dall’attore o dal suo rappresentante, ma non dal magistrato, dal momento che il giurista stava commentando il senatoconsulto nella sua applicazione alla materia privata.

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Tale posizione viene criticata in dottrina; in particolare, Wlassak8 osserva esattamente che, nel caso di un giudizio in una materia dell’erario o del fisco, l’autorità giurisdizionale non doveva emettere la denuntiatio; ed inoltre che le parole di chiusura di D. 5.3.20.11: quicumque ergo fuit qui denuntiavit, nocebit richiamano la figura del delator che interviene in questo tipo di vindicatio. I rilievi di Wlassak appaiono pienamente fondati, perché nel § 6d del senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum esiste una chiara distinzione tra la denuntiatio del delatore e l’evocatio litteris vel edicto emanata dall’organo giudicante, come si dimostra dall’utilizzo della doppia congiunzione aut...aut9: primum aut denuntiatum esset ei aut litteris vel edicto evocatus esset. Tale distinzione non è, infatti, una particolarità del nostro senatoconsulto, perché nel testo postclassico di Pauli Sent. 5.5a.6(7) si riscontra ancora una netta differenza tra denuntiare ed evocare: …sibi denuntiatum est aut cuius litteris vel edicto conventus est10.

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Si può così concludere che la denuntiatio indicata nel § 6d del senatoconsulto e nel commento d’Ulpiano in D. 5.3.20.11 non può ritenersi emanata dall’autorità, perché, come è noto, la vindicatio dei caduca si basava sull’attività del delatore11; nell’epoca qui considerata infatti il fisco non poteva esercitare la vindicatio autonomamente, essendo fondamentale il ruolo di quest’ultimo, il quale agiva come attore nel giudizio e la sua assenza impediva che potesse iniziarsi. Ciò emerge chiaramente da alcuni testi tardoclassici che dimostrano la necessità di una denuncia da parte dello stesso: tra questi si possono menzionare Callistrato, libro primo de iure fisci in D. 49.14.1 pr., dove si esemplificano i casi in cui è possibile compiere la nuntiatio ad fiscum, compreso anche quello di indegnità dell’erede (da cui, ricordiamo ancora una volta, è derivato il senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum):

Variae causae sunt, ex quibus nuntiatio ad fiscum fieri solet...vel quod indignus quis heres nuntiatur...12;

e Paolo, libro sexto decimo responsorum in D. 29.5.22, che tratta di una fattispecie di indegnità nella quale si allude al delator (… exstitit qui bona nuntiaret Gaii Seii…)13.

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Da quanto detto discende che anche nell’ipotesi qui in esame era occorso l’intervento del delator per l’instaurazione della vindicatio. Un possibile riferimento testuale a lui potrebbe cogliersi in D. 5.3.20.6d, relativo al nostro senatoconsulto, perché, quando si afferma che si dovrà ritenere chiesta giudizialmente l’eredità da parte del fisco dal momento, in cui qualcuno per la prima volta abbia saputo che gli si chiedeva (petitam … fisco hereditatem ex eo tempore existimandum esse, quo primum scierit quisque eam a se peti …), si sottintenderebbe l’esistenza di un denunziante, qual’era, come sappiamo, il delator, potendo qualunque persona procedere a tale denuntiatio, come conferma Ulpiano in D. 5.3.20.11: quicumque ergo fuit qui denuntiavit. A ricoprire questa funzione era un quivis de populo, il quale motivato dal beneficio economico consistente in una parte dei beni denunciati14, esercitava l’azione in nome proprio o mediante un mandatario15, oppure poteva trattarsi anche di un delatore “professionale”, che facesse dell’attività di deferre il suo modus vivendi16.

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Il tentativo di inquadrare la denuntiatio del delatore richiamata nel senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum, come privata o ex auctoritate, risulta, a nostro sommesso avviso, alquanto sterile, perché, sebbene nelle fonti appaiano due espliciti riferimenti al secondo tipo17, il termine ex auctoritate non è mai stato usato dai giuristi romani con riferimento alla vindicatio dei caduca. Aru18 afferma che la denuntiatio, di cui parla il nostro SC, è privata e svolge una funzione introduttiva della procedura extra ordinem, dovendosi così escludere un suo carattere di semi-ufficialità; ma giustamente Provera19 rileva come l’evocatio e la denuntiatio siano state poste sullo stesso piano, riconoscendosi così ad entrambe pari efficacia, con la conseguenza che anche la denuntiatio, lungi dall’essere un atto meramente privato, riceveva un’impronta di ufficialità attraverso l’intervento del magistrato, esplicantesi nell’autorizzare la citazione in questo modo.

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In conclusione, possiamo affermare che nella vindicatio del fisco la denuntiatio può difficilmente considerarsi privata nel senso stretto della parola, dato l’intervento dell’autorità per effettuarla, ma nemmeno va ritenuta ex auctoritate, perché tale denominazione manca nelle fonti riguardanti il giudizio fiscale.

@2. L’evocatio litteris vel edictis

Passiamo adesso ad esaminare i modi di citazione provenienti dall’autorità, che si menzionano nel § 6d del senatus consultum Q. Iulio Balbo et P. Iuventio Celso consulibus factum: l’evocatio litteris vel edictis. Il termine evocatio implica la natura ufficiale della chiamata in giudizio, consistente in un ordine di comparizione intimato al convenuto dall’autorità competente20; ciò poteva avvenire in forma di evocatio litteris, nel caso in cui il convenuto non fosse residente nel luogo dove il giudizio si doveva...

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