Introduzione della causa

AutoreMassimiliano di Pirro
Pagine155-174

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@1 Quadro generale

Il Libro II, Titolo I, del codice di procedura civile si occupa dello svolgimento del processo di cognizione, attraverso il quale il giudice, accertando la sussistenza o meno della situazione giuridica fatta valere con la domanda introduttiva del giudizio (ovvero, la fondatezza/infondatezza della domanda), dichiara, con sentenza, quale delle due parti (attore o convenuto, ricorrente o resistente) ha ragione o torto. Il processo di cognizione si suddivide in tre fasi: la fase introduttiva, la fase istruttoria in senso ampio - suddivisa, a sua volta, nella fase della trattazione, dell’istruzione in senso stretto e della rimessione della causa in decisione - e la fase decisoria.

Com’è stato ben evidenziato in dottrina, si tratta di una suddivisione meramente orientativa, che non attribuisce alle suddette fasi una vera e propria autonomia, ma semplicemente raggruppa, in ciascuna di esse, una serie di atti che presentano funzione e caratteristiche comuni (Mandrioli).

La fase introduttiva del giudizio ha inizio con la proposizione della domanda, la quale, affinché sorga il rapporto processuale e il giudizio possa dirsi pendente, deve essere notificata al convenuto, al fine di provocarne la costituzione in giudizio. La fase introduttiva si sviluppa poi attraverso la costituzione delle parti e la designazione del giudice istruttore.

La parte che non si costituisce in giudizio è detta contumace (vedi par. 9), mentre la parte che, pur essendosi costituita, non compare alle udienze, si dice assente.

La regolarità della costituzione è verificata d’ufficio dal giudice istruttore all’udienza di prima comparizione e trattazione ex art. 183 c.p.c. (vedi Cap. 12, par. 2).

La fase successiva è quella istruttoria, che comprende l’insieme delle attività processuali necessarie affinché la causa diventi matura per la decisione, ossia diventi pronta per essere decisa.

Infatti, affinché il giudice possa pronunciarsi sulla domanda, occorre che vengano raccolti gli elementi di fatto necessari per stabilire se il diritto fatto valere dall’attore (o dal ricorrente) esista o meno; a tal fine, nel corso della fase istruttoria si raccolgono le prove (vedi Cap. 13 e 14) utili ai fini della decisione. Può anche accadere, tuttavia, che la causa risulti subito matura

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per essere decisa e non occorra, quindi, acquisire alcuna prova (ad esempio, perché i fatti non sono contestati dalle parti, oppure perché si tratta di fatti la cui prova è interamente documentale).

La fase istruttoria in senso ampio si suddivide in tre sottofasi (Mandrioli):

- trattazione, che comprende le attività processuali volte a individuare le parti della causa, a modificare e precisare le domande proposte e ad esporre le ragioni di fatto e di diritto che sorreggono le rispettive pretese. Tale fase si svolge sotto la direzione del giudice istruttore (vedi par. 10);

- istruzione probatoria (o "istruzione in senso stretto"), consistente nell’acquisizione delle prove scritte e orali necessarie affinché la causa diventi matura per la decisione;

- rimessione della causa in decisione, che funge da "ponte" per il passaggio alla terza fase del processo (Mandrioli), cioè la fase della decisione, affidata al giudice collegiale (nei casi espressamente previsti dall’art. 50bis c.p.c.) o allo stesso giudice istruttore in funzione di giudice unico. L’ultima fase in cui si articola il processo di cognizione è, dunque, la fase decisoria, preordinata alla pronuncia del provvedimento cui tipicamente tende l’attività di cognizione, cioè la sentenza.

[VEDI TABELLA IN PDF ALLEGATO]

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@2 Il processo ordinario di cognizione quale processomodello

Le fasi del processo civile sopra delineate sono dettate, dal legislatore, con riferimento al processotipo rappresentato dal processo ordinario di primo grado davanti al tribunale, che, sinteticamente, si svolge con le modalità indicate nello schema precedente.

Ovviamente, le regole del processo di cognizione sono di volta in volta integrate dalle specifiche disposizioni previste per i vari gradi di giudizio e per i diversi tipi di giudice.

Un procedimento del tutto autonomo e distinto è previsto, invece, per il giudizio davanti alla Corte di Cassazione (vedi Cap. 20).

Anche il processo davanti al giudice di pace si svolge secondo le norme che regolano il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, salve talune peculiarità proprie di tale procedimento e purché le norme che regolano il processo davanti al tribunale non siano incompatibili con il procedimento davanti al giudice di pace.

Lo stesso può dirsi per il processo d’appello (vedi Cap. 19) davanti alla Corte d’appello (per le sentenze del tribunale) o al tribunale (per le sentenze del giudice di pace), che è regolato dalle norme dettate per il procedimento in primo grado davanti al tribunale, nei limiti della compatibilità (art. 319 c.p.c.). La tecnica è la stessa utilizzata per i giudizi innanzi al giudice di pace.

Discorso a parte merita il processo del lavoro (vedi Cap. 23), un tipo particolare di processo di cognizione (la competenza per queste controversie in primo grado è attribuita al tribunale in composizione monocratica, con la conseguente applicabilità degli artt. 281bis-281sexies c.p.c.), che presenta caratteristiche del tutto particolari tali da renderlo un procedimento speciale.

@3 L’atto di citazione e la sua natura composita

Normalmente, la domanda si propone (e, quindi, il processo si introduce) mediante l’atto di citazione (art. 163 c.p.c.), ossia con un atto scritto, redatto e sottoscritto dal difensore, doppiamente recettizio (Mandrioli), in quanto deve essere portato a conoscenza del convenuto (mediante la notificazione) e del giudice (attraverso la costituzione in giudizio dell’attore). L’atto di citazione è l’atto tipico di introduzione del processo civile di cognizione, laddove non sia prevista una diversa forma. Tuttavia, in applicazione del principio della conservazione degli atti nulli (art. 156, 3° comma, c.p.c.), l’adozione della forma del ricorso anziché della citazione (e vice-

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versa) non comporta la nullità del procedimento, qualora l’atto raggiunga il suo scopo.

Sotto il profilo strutturale, l’atto di citazione è composto dalla vocatio in ius e dall’editio actionis.

La vocatio in ius è il sottoatto con il quale si costituisce il rapporto processuale nel contraddittorio tra le parti. I requisiti della vocatio sono indicati dai nn. 1, 2 e 7 del 3° comma dell’art. 163 c.p.c., e sono i seguenti:

- l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta (n. 1). Tale indicazione non deve essere necessariamente contenuta nell’intestazione dell’atto, essendo sufficiente che sia inserita nel contesto dell’atto stesso;

- l’indicazione delle parti (art. 163, 3° comma, n. 2), cioè dell’attore (o degli attori) e del convenuto (o dei convenuti), la quale deve valutarsi alla stregua del tenore complessivo dell’atto. Pertanto, l’inesatta indicazione del convenuto non pregiudica la validità della citazione, se il contenuto dell’atto e l’avvenuta notifica dello stesso al convenuto rendono evidente che si è trattato di un mero errore materiale. Ciò vale anche per il ricorso, dove l’errata indicazione della parte contro cui l’atto è rivolto non incide sulla sua validità, quando dal contesto di questo e dal riferimento agli atti dei precedenti giudizi sia agevole identificare con certezza tale parte. A seguito delle modifiche apportate all’art. 163, n. 2, c.p.c. dal D.L. 193/2009, convertito in L. 24/2010, nell’atto di citazione devono essere indicati, tra l’altro, il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell’attore, nonché il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rappresentano o assistono le parti ai sensi dell’art. 182 c.p.c., ossia che agiscono come sostituti processuali o come rappresentanti legali. L’omessa indicazione del codice fiscale costituisce una mera irregolarità dell’atto sanabile dalle parti nel corso del processo.

Quando una parte è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, è richiesta, oltre alla denominazione, anche l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza.

- l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizionetrattazione prevista dal nuovo art. 183 c.p.c. (art. 163, 3° comma, n. 7), che costituisce un requisito indispensabile dell’atto di citazione, poiché il codice di rito ha adottato il sistema della citazione a comparire a udienza fissa, ovvero determinata dall’attore;

L’errata indicazione della data dell’udienza integra un’ipotesi di nullità della citazione stessa, tranne nel caso in cui l’errore, per la sua grossolanità, sia immediatamente riconoscibile come errore meramente materiale.

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- l’invito a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione-trattazione ex art. 183 c.p.c. (ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini) e l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. (art. 163, 3° comma, n. 7, c.p.c., modificato dalla L. n. 69/2009), ossia l’impossibilità di contestare l’incompetenza (per materia, per valore e per territorio) del giudice al quale si è rivolto l’attore, di proporre domande riconvenzionali, di sollevare eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e di chiamare in causa un terzo.

Dal momento che l’atto viene ricevuto da un soggetto non necessariamente dotato di adeguate conoscenze giuridiche, l’avvertimento è richiesto a pena di nullità dall’art. 164 c.p.c., in quanto il convenuto deve essere reso edotto delle gravi conseguenze derivanti da una omessa o tardiva costituzione. L’invito, invece, non è ritenuto elemento indispensabile, con la conseguenza che la sua mancanza non determina la nullità della citazione, purché sia inequivoca la vocatio in ius (Cerino Canova).

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