L?istruzione probatoria e le prove in generale

AutoreMassimiliano di Pirro
Pagine191-204

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@1 La nozione di "prova"

Quando le parti hanno delineato i contorni delle rispettive pretese, anche attraverso le modificazioni delle domande consentite dall’art. 183 c.p.c. (vedi Cap. 12, par. 2), ed hanno formulato le rispettive richieste istruttorie, si apre la cd. istruzione in senso stretto (o "istruzione probatoria"), nella quale il giudice ammette le prove (ammissibili e rilevanti ai fini del giudizio) e provvede alla loro assunzione.

Peraltro, l’istruzione probatoria non è una fase indispensabile, poiché il processo potrebbe essere deciso sulla base delle affermazioni delle parti e dei documenti da esse prodotti senza che occorra assumere altre prove: in tal caso, alla fase introduttiva seguirà direttamente la fase decisoria, saltandosi quella istruttoria.

Ciò premesso, occorre precisare che le prove sono gli strumenti processuali che consentono al giudice di formare il proprio convincimento sui fatti di causa, ossia per mezzo dei quali il giudice decide circa la verità o la non verità dei fatti affermati dalle parti (Mandrioli).

Questa definizione fa riferimento alla prova intesa come strumento che consente al giudice di formarsi un convincimento sui fatti di causa, per cui si parla anche di "mezzo di prova", ossia di strumento per la conoscenza e la valutazione dei fatti. Accanto a questa nozione, si parla di "prova" in senso stretto per indicare il risultato probatorio raggiunto.

Ad esempio, la testimonianza (vedi Cap. 14, par. 6) è:

- un "mezzo di prova" in quanto si tratta di uno strumento (un mezzo, appunto) che consente di dare ingresso, attraverso il rispetto di determinate formalità, alle dichiarazioni rese da soggetti i quali hanno avuto percezione dei fatti di causa;

- una "prova in senso stretto" in quanto, esaurita l’audizione dei testimoni, le dichiarazioni rese dagli stessi (che costituiscono, appunto, le prove vere e proprie) saranno utilizzabili dal giudice per formare il proprio convincimento.

Per l’analisi dei singoli mezzi di prova, vedi Cap. 14.

Le norme in materia di prove sono disseminate tra il codice di procedura civile (dove sono indicate le regole relative all’assunzione dei mezzi di prova richiesti dalle parti o disposti dal giudice ex officio, ossia di sua iniziativa) e il codice civile (che fissa le regole in ordine all’ammissibilità e alla rilevanza dei mezzi di prova).

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@2 Tipologie di prove

Le prove possono essere distinte in:

- prove precostituite e prove costituende. Le "prove precostituite" si formano prima e al di fuori del processo, nel quale entrano attraverso la loro produzione (cioè, mediante il loro deposito nel fascicolo della parte che produce la prova). Ad esempio, le prove documentali entrano nel processo con il loro inserimento nel fascicolo di parte entro il termine di cui all’art. 183 c.p.c. (vedi Cap. 12, par. 2). Le "prove costituende", invece, nascono all’interno del processo (testimonianza, confessione, giuramento etc.), nel quale fanno ingresso attraverso un meccanismo (cd. procedimento istruttorio) articolato in tre fasi (Mandrioli): a) l’istanza di parte, con la quale la parte offre il mezzo di prova e chiede al giudice lo svolgimento dell’attività istruttoria necessaria affinché la prova venga ammessa e poi assunta (si pensi all’istanza di ammissione di una prova testimoniale). Ovviamente, quest’istanza è necessaria soltanto per le prove che rientrano nella disponibilità delle parti (o del p.m.) e non per le prove che il giudice può disporre d’ufficio; b) il provvedimento di ammissione delle prove richieste dalle parti, ossia l’ordinanza con la quale il giudice, valutata l’ammissibilità e la rilevanza dei mezzi di prova, li ammette; c) l’assunzione della prova in esecuzione dell’ordinanza di ammissione, che consiste in tutte quelle attività - cd. attività istruttorie in senso stretto - per mezzo delle quali si dà concretamente ingresso alla prova nel processo (si pensi, ad esempio, all’audizione dei testimoni o all’interrogatorio della parte); il risultato dell’assunzione, documentato nel verbale di udienza, costituirà l’oggetto della valutazione del giudice al momento della decisione;

- prove tipiche e prove atipiche, a seconda che siano espressamente previste dalla legge oppure no. Tra le prime rientrano le prove previste dal codice di rito e dal codice civile, delle quali parleremo più avanti (vedi Cap. 14). Tra le seconde, invece, possiamo menzionare lo scritto proveniente da un terzo (che, pur non avendo l’efficacia probatoria "piena" delle prove documentali, può costituire un indizio o una presunzione, potendo anche confermare una deposizione testimoniale), le prove assunte in un precedente giudizio o in un giudizio estinto o in sede penale o raccolte da un giudice incompetente (tali prove sono utilizzabili come indizi o argomenti di prova), le affermazioni di fatti compiute in una sentenza (Cass. n. 4949/1987), le certificazioni amministrative (ad esempio, i certificati anagrafici), i verbali di polizia giudiziaria, le affermazioni di fatti o le deposizioni raccolte in una consulenza tecnica;

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- prove dirette e prove indirette, a seconda che abbiano ad oggetto il fatto che deve essere provato (prove dirette) o un fatto diverso dal quale si può risalire, attraverso un’operazione logica, al fatto da provare (prove indirette). L’operazione logica che, nelle prove indirette, consente di risalire da un fatto noto ad uno ignoto è detta presunzione semplice (art. 2727 c.c.). Il fatto noto sul quale si fonda l’operazione logica della presunzione viene chiamato indizio (Comoglio).

La presunzione semplice va tenuta distinta dalla presunzione legale, la quale non ha natura processuale pur influendo sulla regola dell’onere della prova (vedi par. 5);

- prove liberamente apprezzabili dal giudice (o "prove libere") e prove legali. Le prove libere sono quelle valutate dal giudice in base al suo prudente apprezzamento, secondo la regola generale della libera valutazione delle prove (vedi par. 4). Le prove legali, invece, vincolano il giudice, il quale non può valutare la prova in modo diverso da quello stabilito dalla legge. Pertanto, una volta che la prova legale è stata assunta (ad esempio, è stata resa la confessione o prestato il giuramento) o comunque acquisita (ad esempio, è stato prodotto un atto pubblico), il giudice deve limitarsi a prendere atto di quella prova, a meno che sia in contrasto con un’altra prova di pari efficacia, nel qual caso è libero di valutarne l’attendibilità.

Prova libera non equivale, ovviamente, ad arbitrio. Difatti, nella libera valutazione delle prove il giudice deve (Proto Pisani):

- rispettare il divieto di utilizzazione del proprio sapere privato, cioè di percezioni di fatti non notori avvenute fuori del processo e del contraddittorio delle parti;

- assumere le prove costituende in contraddittorio;

- rispettare le modalità di acquisizione dei mezzi di prova (tipicità);

- motivare in maniera sufficiente e coerente sul perché un determinato fatto è stato ricostruito in un certo modo;

- rispettare il principio secondo cui i mezzi di prova sono ammissibili soltanto se ricorrono le condizioni previste dalla legge per la loro assunzione (ad esempio, la testimonianza deve essere richiesta dalla parte e deve rispettare i limiti di ammissibilità previsti dagli artt. 2721 e ss. c.c.).

Su un piano strettamente "politico", la prova libera presuppone un ordinamento giudiziario che ha fiducia nei giudici e nella loro capacità di valutazione dei fatti. La prova legale, invece, ben si adatta a un ordinamento che esprime sfiducia verso i giudici.

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@3 fatti principali e fatti secondari

Fatti principali I fatti oggetto di prova possono essere fatti principali o fatti secondari.

Fatti principali sono:

- i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, che l’attore deve provare (art. 2697, 1° comma, c.c.: "chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che...

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