I singoli mezzi di prova

AutoreMassimiliano di Pirro
Pagine205-234

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@1 L’esibizione delle prove e la richiesta di informazioni alla p.a.

L’esibizione è un mezzo di prova richiesto da una parte avente ad oggetto un documento o un oggetto rilevante per il giudizio del quale la parte non ha la disponibilità materiale.

Tale mezzo di prova, pertanto, può essere utilizzato solo se la prova del fatto che s’intende dimostrare non è acquisibile in altro modo.

Ad esempio, non è ammissibile l’istanza di esibizione del bilancio di una società di capitali, poiché è sempre possibile richiederlo all’ufficio competente.

Quanto ai presupposti, l’ordine di esibizione:

- può essere impartito soltanto per gli atti la cui acquisizione al processo sia necessaria ovvero che possano influire sulla decisione della causa (Cass. n. 13072/2003);

- richiede, quali requisiti d’ammissibilità, l’interesse della parte che domanda l’acquisizione del documento (Cass. n. 11709/2002), la certezza dell’esistenza del documento medesimo (Cass. n. 2772/2003), la prova della concreta possibilità di consegnare il documento o la cosa (Cavallone), l’indicazione del soggetto nei cui confronti l’ordine deve essere rivolto (Cass. n. 10147/1998) e dei documenti (o delle cose) da esibire, per consentire al giudice di valutare la pertinenza del documento (o delle cose) e la sua idoneità a provare determinati fatti (ad esempio, non può essere considerata specifica la richiesta d’esibizione di tutti i documenti contabili relativi alla situazione finanziaria di una società) (Cass. n. 9514/1999).

L’ordine di esibizione può riguardare anche documenti coperti dal segreto bancario (App. Milano, 22-7-1997). Invece, l’esibizione non può essere chiesta quando riguardi documenti coperti dal segreto professionale o d’ufficio o quando la diffusione del documento possa arrecare gravi danni (Massari).

In particolare, se la divulgazione del documento o l’esibizione della cosa può arrecare grave danno al destinatario dell’ordine di esibizione o può costringerlo a rivelare segreti professionali o d’ufficio, il giudice è tenuto a tenerne conto e può disporre la citazione di quest’ultimo in giudizio affinché venga sentito sul punto (art. 211 c.p.c.).

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Quando il giudice dispone l’esibizione del documento può stabilire che ciò avvenga mediante la produzione in giudizio dell’originale dell’atto, di un estratto autentico (cioè, di una riproduzione parziale) o di una copia fotografica o fotostatica del documento.

Inoltre, nell’ordinare l’esibizione di libri di commercio o di registri, il giudice può disporre che siano prodotti per estratto, per la formazione del quale nomina un notaio e, quando occorre, un esperto affinché lo assista (art. 212 c.p.c.).

Fuori dei casi previsti negli artt. 210 e 211 c.p.c., il giudice può richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni scritte relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa che è necessario acquisire al processo (art. 213 c.p.c.).

Si pensi, ad esempio, alla documentazione relativa ai controlli periodici sulla funzionalità del misuratore autovelox utilizzato dagli organi di polizia stradale per l’accertamento dell’eccesso di velocità.

Tuttavia, poiché il giudice non può sostituirsi alla parte che, per propria negligenza, non abbia fornito le prove necessarie per dimostrare i fatti addotti a sostegno delle proprie ragioni, la richiesta di informazioni può essere disposta dal giudice soltanto se è necessario acquisire informazioni relative ad atti o documenti della p.a. che la parte è impossibilitata a fornire e dei quali solo l’amministrazione è in possesso (Cass. n. 16713/2003).

La richiesta di informazioni è ammissibile soltanto nei confronti della pubblica amministrazione e non nei confronti dei privati, rispetto ai quali può essere utilizzato soltanto l’ordine di esibizione previsto dall’art. 210 c.p.c. (Cass. n. 12023/2002). Le informazioni scritte fornite dalla p.a. sono inserite nel fascicolo d’ufficio, con la possibilità, per le parti, di esaminarle.

@2 Il disconoscimento e la verificazione della scrittura privata

La parte nei cui confronti è prodotta una scrittura privata ha, sostanzialmente, tre possibilità:

- può restare inerte, e in tal caso si ha il riconoscimento tacito della scrittura;

- può disconoscerla, facendo carico alla controparte di chiederne la verificazione;

- può proporre querela di falso (vedi par. 3), al fine di contestare la genuinità del documento stesso, strumento più gravoso ma rivolto al conse-

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guimento di un risultato più ampio e definitivo, quello cioè della completa rimozione del valore del documento con effetti erga omnes e non nei soli riguardi della controparte (Cass. n. 19727/2003).

L’art. 214 c.p.c. disciplina il disconoscimento della scrittura privata stabilendo che "colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione. Gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore".

La "scrittura privata" è ogni documento idoneo a produrre conseguenze giuridiche ed acquista efficacia di prova piena, fino a querela di falso, in ordine alla provenienza del documento da chi l’ha sottoscritto, per effetto dell’autenticazione della sottoscrizione da parte del notaio o altro pubblico ufficiale, oppure per effetto del suo riconoscimento, espresso o tacito, da parte di chi l’ha sottoscritto (Cass. n. 7944/1993). Invece, la scrittura privata non sottoscritta non deve essere disconosciuta da colui contro il quale è prodotta in giudizio (Cass. n. 1935/1985). Infatti, la mancanza di sottoscrizione equivale a rifiuto di assumere la paternità dell’atto, che non acquista, pertanto, l’efficacia di piena prova in ordine alla provenienza del documento dal soggetto (Satta-Punzi).

Il disconoscimento di scrittura privata può essere chiesto dalla parte che ha sottoscritto il documento o dal suo difensore (Cass. n. 15502/2002), dagli eredi o dagli aventi causa (ad esempio, l’acquirente) del sottoscrittore. Ai fini del disconoscimento è necessaria una contestazione chiara e univoca dell’autenticità della stessa: non basta, quindi, la generica contestazione della documentazione prodotta dall’altra parte (Cass. n. 6823/1988).

Per quanto riguarda i termini, la parte contro la quale la scrittura è prodotta ha l’onere di disconoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione del documento in giudizio.

A seguito del disconoscimento, il giudice non può prendere in considerazione la scrittura disconosciuta.

La parte che intende avvalersi della scrittura disconosciuta deve chiederne la verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire da comparazione (art. 216 c.p.c.).

L’istanza di verificazione è finalizzata ad accertare la paternità della scrittura privata disconosciuta dalla parte contro la quale è stata prodotta. Tale istanza può essere proposta:

- all’interno di un giudizio in corso (in via incidentale), al fine di consentire l’utilizzazione, nel processo, del documento disconosciuto. L’istanza deve essere presentata entro i termini previsti dall’art. 183 c.p.c. e deve avere ad oggetto un documento rilevante ai fini del giudizio;

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- mediante un atto di citazione, che dà vita ad un nuovo ed autonomo giudizio (in via principale), se il soggetto che agisce in giudizio intende servirsi della scrittura come prova in un eventuale giudizio.

Quando è chiesta la verificazione, il giudice istruttore:

- dispone le cautele opportune per la custodia del documento;

- stabilisce il termine per il deposito in cancelleria delle scritture di comparazione;

- nomina, quando occorre, un consulente tecnico;

- provvede all’ammissione delle altre prove.

Nel determinare le scritture che devono servire da comparazione, il giudice ammette, in mancanza di accordo delle parti, quella la cui provenienza dalla persona che si afferma autrice della scrittura è riconosciuta oppure accertata per sentenza di giudice o per atto pubblico.

Il giudice può anche ordinare alla parte di scrivere sotto dettatura in sua presenza, nonché alla presenza di un consulente tecnico, per formare un documento di comparazione su cui fondare l’indagine ed il giudizio di verificazione (art. 219 c.p.c.).

Se la parte invitata a comparire non si presenta o si rifiuta di scrivere in assenza di un giustificato motivo, la scrittura s’intende riconosciuta, a meno che la mancata comparizione della parte sia giustificata, poiché in tal caso il giudice può fissare una nuova udienza di comparizione della parte per procedere alla scrittura sotto dettatura.

L’istanza di verificazione è decisa dal collegio, inteso come organo decidente monocratico o collegiale, a seconda che la causa rientri nella competenza del collegio (art. 50bis c.p.c.) o del giudice in composizione monocratica (art. 50ter c.p.c.).

La sentenza che decide sulla richiesta di verificazione può essere definitiva o non definitiva (Mandrioli). In quest’ultimo caso, il giudice decide sulla sola istanza di verificazione e rinvia la decisione sul merito della causa. Ciò è possibile in quanto il procedimento di verificazione è autonomo rispetto al processo principale.

La pronuncia che conferma l’autenticità della scrittura è incontestabile, una volta divenuta definitiva (passata in giudicato). Invece, la pronuncia che rigetta l’istanza di verificazione, non ritenendo provata la genuinità del documento, non equivale ad affermare la falsità del documento stesso, ma si limita a dichiarare l’inattendibilità dello stesso ai fini del processo in corso. Pertanto, la questione relativa all’autenticità del documento potrà essere nuovamente proposta in un altro processo.

In tema di verifica dell’autenticità di una scrittura privata, la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica, non suscettibile di conclusioni obiettivamente

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