Sentenza nº 293 da Constitutional Court (Italy), 08 Ottobre 2010

RelatoreGiuseppe Tesauro
Data di Resoluzione08 Ottobre 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 293

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), promossi dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con due ordinanze del 28 ottobre e con una ordinanza del 18 novembre 2008, rispettivamente iscritte ai nn. 114, 115 e 116 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti gli atti di costituzione di N.D. ed altri, di M.R.P. ed altri e del Comune di Casapesenna ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2010 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi gli avvocati Francesco Guerriero e Antonio Sasso per N.D. ed altri, Antonio Sasso per M.R.P. ed altri, Fabrizio Vittoria per il Comune di Casapesenna e l’avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con tre ordinanze di identico tenore, pronunciate in altrettanti giudizi, le prime due del 28 ottobre 2008 (r.o. n. 114 e n. 115 del 2009) e la terza del 18 novembre 2008 (r.o. n. 116 del 2009), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità).

1.1.– Le prime due ordinanze (r.o. n. 114 e n. 115 del 2009), relative ad identiche fattispecie, espongono che i ricorrenti sono tutti proprietari di un fondo in Casapesenna, oggetto di procedura ablatoria, in ordine alla quale il medesimo TAR, con sentenze rispettivamente n. 73 e n. 74 del 2008, aveva annullato gli atti impugnati e condannato il Comune di Casapesenna a restituire il terreno, previo ripristino dello stato dei luoghi. Gli attori, con distinti ricorsi, poi riuniti dal TAR, hanno proposto ricorso per l’esecuzione del giudicato, chiedendo la restituzione del fondo, ed hanno impugnato la delibera del Consiglio comunale con la quale il Comune ha disposto, ex art. 43, comma 2, del citato d.P.R., l’acquisizione al patrimonio indisponibile delle aree in questione, corrispondendo una somma a titolo di risarcimento dei danni.

1.2.– I rimettenti premettono ancora, in fatto, che la vicenda era stata oggetto di una prima pronuncia dello stesso tribunale (sentenza 23 gennaio 2003, n. 387) con la quale era stato censurato l’operato dell’amministrazione in ragione del mancato compimento dell’iter previsto per la formazione della variante urbanistica, e per violazione del contraddittorio con i soggetti interessati. Nel procedimento di cui all’ordinanza r.o. n. 114 del 2009, con successive sentenze veniva poi annullata una nota del comune di diniego di restituzione del suolo occupato e disposta la restituzione dello stesso con ripristino dello stato dei luoghi (sentenza 5 giugno 2003, n. 7290), ed ancora veniva accolto il ricorso per l’esecuzione del relativo giudicato con nomina di un commissario ad acta. In seguito il Consiglio di Stato, con sentenza 3 maggio 2005, n. 2095, dichiarava che sull’amministrazione gravava l’obbligo di restituire l’area occupata.

Successivamente, con le già indicate sentenze del medesimo TAR (n. 73 e n. 74 del 2008), erano stati annullati per incompetenza gli atti inerenti alla procedura ex art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, con condanna del comune alla restituzione del terreno previo ripristino dello stato dei luoghi. Infine, era intervenuto il provvedimento di acquisizione sanante ai sensi del citato art. 43.

1.3.– La terza ordinanza (r.o. n. 116 del 2009) espone, in fatto, che il ricorrente, proprietario di un fondo sito nel Comune di San Giuseppe Vesuviano (Napoli), ne aveva subito da parte di detto comune l’occupazione, senza alcun procedimento espropriativo.

Dopo alterne vicende in punto di giurisdizione, il Tribunale di Nola, ritenendo la propria giurisdizione, radicandola per la natura usurpativa dell’occupazione, aveva, infine, negato l’acquisto della proprietà in capo alla pubblica amministrazione.

In seguito, era stato adottato da parte del responsabile del Servizio lavori pubblici ed urbanistica ed Ufficio espropriazioni del Comune di San Giuseppe Vesuviano, il decreto n. prot. 2006 0020376, impugnato nel giudizio principale, con il quale veniva disposta l’acquisizione coattiva al patrimonio indisponibile comunale dell’area, prevedendo, altresì in favore del proprietario «oltre l’indennizzo, il risarcimento del danno nonchè il computo degli interessi moratori a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo».

In particolare, il ricorrente deduceva la violazione degli artt. 43 e 57, comma l, del d.P.R. n. 327 del 2001, lamentando l’inapplicabilità al caso di specie del procedimento ex art. 43 ed invocando l’applicazione del regime transitorio ex art. 57, comma 1, con obbligo di restituzione dell’immobile e risarcimento del danno ex art. 2043 del codice civile per l’illegittima, ulteriore occupazione.

1.4.– Ciò posto, i giudici a quibus ricordano che, in caso di annullamento giurisdizionale degli atti relativi alla procedura di espropriazione per pubblica utilità, il proprietario può chiedere – mediante il giudizio di ottemperanza – la restituzione del bene piuttosto che il risarcimento del danno per equivalente monetario, anche se l’area sia stata irreversibilmente trasformata in conseguenza dell’esecuzione dell’opera pubblica. Inoltre, l’unico rimedio per evitare la restituzione dell’area sarebbe l’emanazione di un provvedimento di acquisizione cosiddetto «sanante» ex art. 43 del d.P.R. n. 327 del 2001, in assenza del quale l’amministrazione non può addurre la intervenuta realizzazione dell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e, quindi, come impedimento alla restituzione.

1.5. – Il TAR Campania, dopo aver ricordato la giurisprudenza di legittimità relativa alla cosiddetta occupazione «appropriativa», assume che tale ricostruzione sarebbe incompatibile con la disciplina normativa introdotta dal d.P.R. n. 327 del 2001 ed entrata in vigore il 30 giugno 2003, in quanto la disposizione oggi censurata subordina all’adozione di apposito provvedimento discrezionale il trasferimento di proprietà dei beni immobili utilizzati per scopi di interesse pubblico, a seguito di trasformazione, determinatasi in assenza del valido ed efficace provvedimento espropriativo o dichiarativo della pubblica utilità. Inoltre, non potrebbe ritenersi che l’art. 43 disponga solo per il futuro, trattandosi di disposizione, avente natura processuale riferita a tutti i casi di occupazione sine titulo, anche già sussistenti alla data di entrata in vigore del testo unico (a conforto, richiama: Cons. Stato, IV, 21 maggio 2007, n. 2582; A.P., 29 aprile 2005, n. 2; TAR. Emilia-Romagna, Bologna, I, 27 ottobre 2003, n. 2160).

1.6.– I rimettenti, quanto alla giurisdizione, ritengono di doversi conformare al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in materia di procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie nelle quali si faccia questione, anche a fini risarcitori, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche in presenza di atti poi dichiarati illegittimi.

1.7.– Ciò posto, con riferimento alla delibera di acquisizione delle aree, il Tribunale richiama la giurisprudenza secondo cui tale atto persegue una finalità di sanatoria di situazioni prive di procedure legittime di esproprio, senza che rilevi la causa della illegittimità del comportamento: sia essa conseguente all’assenza di una dichiarazione di pubblica utilità od all’annullamento di essa oppure determinata da altre cause, risultando in proposito rilevante il solo fatto che l’interesse pubblico non potrebbe essere soddisfatto se non con il mantenimento della situazione ablativa.

In punto di rilevanza i rimettenti assumono che, aderendo a tale orientamento, nella specie il ricorso in ottemperanza dovrebbe essere dichiarato improcedibile, in virtù dell’atto formale di acquisizione sanante, mentre il ricorso avverso la delibera consiliare dovrebbe essere rigettato, perché il provvedimento oggetto di impugnazione deve ritenersi conforme al modello astratto di cui al citato art. 43.

1.8.– Il Tribunale amministrativo campano dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale di tale norma, per violazione degli artt. 3, 24, 42, 76, 97, 113 e 117, Cost..

In particolare, quanto agli artt. 3, 24, 42, 97 e 113 Cost., il Tribunale evidenzia come l’esercizio del potere autoritativo di acquisizione dell’area, attraverso l’adozione di un atto amministrativo, che consente di evitare la restituzione del bene e di sanare la pregressa illegalità, avrebbe assunto la natura di strumento «ordinario», attraverso il quale «si legalizza l’illegale», rimuovendo l’illecito aquiliano attraverso l’atto di acquisizione. In tal modo risulterebbe capovolta la garanzia costituzionale del diritto di proprietà di cui all’art. 42, Cost., nella misura in cui la norma «consente alla pubblica amministrazione, anche...

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