n. 104 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 2014 -

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO Sezione Seconda Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale n. 9422 del 2011, proposto da: Soc. Sky Italia S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Luisa Torchia e Roberto Mastroianni, con domicilio eletto presso Studio Legale Torchia Avv. Luisa e Altri Stp in Roma, via Sannio, 65;

Contro Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Nei confronti di Maria Iaccarino;

Soc. Reti Televisive Italiane S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Stefano Previti e Giuseppe Rossi, con domicilio eletto presso l'avv. Stefano Previti in Roma, via Cicerone, 60;

e con l'intervento di ad opponendum: Ministero dello sviluppo economico, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

Per l'annullamento: della delibera n. 233/11/CSP dell'Autorita' per le Garanzie nelle Comunicazioni (di seguito «Agcom o Autorita'», recante «Ordinanza - ingiunzione alla Societa' SKY S.r.l, (emittente satellitare pagamento Sky Sport 1) per la violazione dell'art. 38, comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177», pubblicata sul sito web dell'Autorita' in data 26 settembre 2011 e notificata a Sky Italia s.r.l. in pari data;

di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, quand'anche sconosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorita' Per Le Garanzie Nelle Comunicazioni e di Soc. Reti Televisive Italiane Spa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2013 dott. Salvatore Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

La presente controversia trae origine dal procedimento avviato dall'Autorita' per le Garanzie nelle comunicazioni, al fine di accertare la violazione da parte di Sky dell'art. 38, comma 5, del d.lgs. n. 177/2005, in relazione al superamento dei limiti di affollamento pubblicitario avvenuto in data 5 marzo 2011, nella fascia oraria 21 - 22. In particolare, Sky Sport 1, nelle suddette date e fascia oraria, ha trasmesso 24 spot pubblicitari, per una durata di 10 minuti e 4 secondi, pari ad una percentuale oraria del 16,78% (ridotta al 16,44% mediante la detrazione dei c.d. frames neri). La norma summenzionata, come modificata dal d.lgs. 10 marzo 2010, n. 44 prevede infatti che la trasmissione di spot pubblicitari televisivi da parte di emittenti a pagamento (come la ricorrente), non puo' eccedere «per l'anno 2010 il 16%, per l'anno 2011 il 14%, e, a decorrere dall'anno 2012, il 12% di una determinata e distinta ora d'orologio;

una eventuale eccedenza, comunque non superiore al 2% nel corso dell'ora, deve essere recuperata nell'ora antecedente o successiva». Il procedimento, nonostante le argomentazioni difensive spese da Sky, si e' concluso con la sanzione oggetto della presente impugnativa. Essa, evidenzia la ricorrente, costituisce applicazione di una norma inserita nel Capo V del Testo Unico dei Servizi di Media audiovisivi e radiofonici, dall'art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 44/2010, con la quale, per la prima volta, sono stati introdotti tetti orari di affollamento pubblicitario piu' restrittivi di quelli ai quali Sono soggette le emittenti televisive in chiaro. La novella legislativa introdotta con il decreto c.d. «Romani», non troverebbe pero' base alcuna ne' nella legge nazionale di delega, ne', tantomeno, nelle norme comunitarie di riferimento. Infatti il decreto in questione e' stato adottato in attuazione delle delega contenuta nell'art. 26 della legge comunitaria 2008 (legge 7 luglio 2009, n. 88), la quale, a sua volta, e' stata conferita al fine di dare attuazione alla direttiva comunitaria 2007/65/CE sui servizi di media audiovisivi. Tali fonti, pero', non dispongono alcunche' circa i tetti di affollamento pubblicitario da applicarsi nei confronti delle emittenti televisive a pagamento. Cio' premesso, la ricorrente deduce i seguenti motivi di impugnativa: 1. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Sviamento di potere per illogicita' manifesta e' contraddittorieta'. La societa' ricorrente si duole, in primo luogo, dell'insufficiente approfondimento condotto dall'intimata Autorita', la quale avrebbe omesso di verificare l'effetto restrittivo della norma nazionale applicata e l'effetto discriminatorio a svantaggio delle emittenti a pagamento. Contesta, in particolare, la motivazione offerta da AGCOM la quale ha individuato la ratio della differenziazione operata dal legislatore delegato nell'esigenza di una (particolare) tutela dell'utenza delle seconde. Sky evidenzia pero' che' ne' le norme comunitarie ne' quella nazionali di delega, fanno cenno alcuno ad una differenziazione siffatta. In particolare, la prospettata esigenza di tutela specifica degli utenti delle piattaforme televisive a pagamento, non si rinviene ne' nella citata direttiva 2007/65/CE, ne', a ben vedere, nella giurisprudenza comunitaria citata dall'Autorita' (la sentenza della Corte di Giustizia del 23 ottobre 2003, RTL Television, causa C - 245/01). Pure errato sarebbe il riferimento al fatto che l'abbonato alle emittenti a pagamento versa un corrispettivo in quanto tale circostanza non rende per cio' solo piu' intollerabile l'esposizione al messaggio pubblicitario. Il vero fine della misura sarebbe percio' esclusivamente quello di consolidare e preservare la posizione delle emittenti free, nella raccolta pubblicitaria. 2. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione del diritto dell'Unione europea. Violazione del principio della primazia del diritto dell'Unione europea e del conseguente obbligo per le autorita' amministrative di disapplicare le disposizioni del diritto interno in caso di conflitto con una norma del diritto dell'Unione europea dotata di efficacia diretta (trattato UE, art. 4, n. 3). La direttiva del Parlamento e del Consiglio n. 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi (c.d. «direttiva SMAV») ha provveduto a codificare il testo della precedente direttiva 89/552/CEE (c.d. «televisioni senza frontiere»), modificata da ultimo dalla direttiva 2007/65/CE. AGCOM, nel caso di specie, si e' ritenuta incompetente a delibare la conformita' al diritto europeo delle norme nazionali. Tuttavia, sottolinea la ricorrente, l'obbligo di disapplicazione non grava esclusivamente sui giudici nazionali, bensi' su tutte le autorita' dello Stato, sia amministrative che indipendenti. Richiama, al riguardo, il noto caso di cui alla sentenza della Corte di Giustizia del 9 settembre 2003, Consorzio Industrie Fiammiferi (CIF) contro Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, Causa C - 198/01, in cui la Corte di Giustizia ebbe ad affermare che tra le autorita' nazionali soggette all'obbligo di disapplicazione figura anche l'Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato. Tale obbligo, prosegue Sky, sussiste anche nel caso in cui l'Organo amministrativo sia chiamato a valutare l'idoneita' e proporzionalita' della misura adottata dallo Stato membro in deroga alla regola di diritto dell'Unione. 3. Violazione e falsa applicazione della Direttiva 2010/13/UE del Parlamento e del Consiglio sui servizi di media audiovisivi (artt. 4 e 23). Violazione del principio di uguaglianza. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di motivazione ed illogicita' manifesta. L'art. 23, par. 1, della direttiva in rubrica (la quale ha sostanzialmente confermato la previgente direttiva. 89/552/CEE (c.d. «televisioni senza frontiere»), prevede, a regime, che «la percentuale di spot televisivi e di spot di televendita in una determinata ora d'orologio non deve superare il 20%». Tali disposizioni sono ispirate dalla finalita' di operare un bilanciamento tra il diritto degli operatori di scegliere la propria programmazione nonche' di accesso alla raccolta pubblicitaria quale fonte di finanziamento, e la necessita' di evitare, a tutela dell'utente, un eccesso di pubblicita' commerciale. In alcuna parte di tale direttiva e' possibile rinvenire disposizioni che distinguano le trasmissioni televisive diffuse in chiaro da quelle diffuse a pagamento. Al contrario, i «considerando» n. 8 e n. 80, richiamano i principi di tutela della concorrenza e del pluralismo, di neutralita' tecnologica e di parita' di trattamento. Sia la direttiva in esame che quella precedente, recano disposizioni di «armonizzazione minima» delle regole nazionali in materia di servizi audiovisivi, e prevedono, pertanto, che gli Stati membri possano derogare alle regole comuni richiedendo ai fornitori di servizi di media soggetti alla propria giurisdizione il rispetto di norme piu' particolareggiate o piu' rigorose, nei settori coordinati dalla direttivi. (art. 4, par. 1). E' richiesto, tuttavia, che tali norme siano conformi al diritto dell'Unione. In Italia, come gia' evidenziato, il decreto Romani ha optato per una disciplina differenziata, imponendo alle sole emittenti a pagamento limiti di affollamento pubblicitario sensibilmente piu' ridotti rispetto alle emittenti in chiaro (a regime, sino al 12% orario). Secondo Sky, la direttiva non consente siffatta discriminazione, come dimostrato dal fatto che, nella prassi, gli altri Stati membri, pur prevedendo norme piu' particolareggiate o rigorose di quelle stabilite in sede europea, non hanno tuttavia operato alcuna differenziazione in base alla natura delle emittenti. Al riguardo, non costituirebbe idoneo termine di paragone la disciplina relativa alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, in quanto la stessa mira a preservarne la connotazione non commerciale nonche' la natura dell'attivita' svolta, assimilabile ai servizi di interesse generale (cfr. il Protocollo n. 29 sul Sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri allegato al Trattato...

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