Le spese processuali

AutoreAdriana Doronzo
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Le spese processuali
ADRIANA DORONZO
SOMMARIO: 1. Premessa. I principi generali in tema di spese. - 2. Il testo dell’art. 91 c.p.c. a seguito
della riforma della l. 18 giugno 2009, n. 69 e la deroga al principio di soccombenza. - 2.1. Se-
gue: i presupposti per l’applicazione della norma e la valutazione del giudice. - 2.2. Segue: la
proposta conciliativa nel nuovo testo dell’art. 420 c.p.c. - 2.3. Segue: alcuni rilievi critici. - 3. La
compensazione delle spese. Dalla riforma del 2005 a quella del 2009. - 3.1. Segue: le «gravi ed
eccezionali ragioni». - 3.2. Segue: la compensazione e le spese della consulenza tecnica
d’ufficio. - 4. La modifica dell’art. 96 c.p.c.: il precedente normativo di riferimento. - 4.1. Segue: il
terzo comma e le ipotesi di responsabilità aggravata già previste dall’art. 96 c.p.c. - 4.2. Segue: i
casi editi. - 4.3. Segue: verso un’interpretazione costituzionalmente orientata.
1. Premessa. I principi generali in tema di spese
La dottrina tradizionale ravvisava le fonti dell’obbligo di sostenere le spese
giudiziali e di risarcire il danno nella soccombenza, nella responsabilità processua-
le e nella temerarietà della lite. Il principio generale dell’obbligo del soccombente
di pagare le spese del giudizio era già consacrato nel codice di rito del 1865, sotto
l’art. 370, che poneva la soccombenza quale unica regola di giudizio cui attenersi
nella ripartizione delle spese, alla luce dell’esito finale della lite.
La giustificazione dell’istituto era ravvisata «in ciò, che l’attuazione della
legge non deve rappresentare una diminuzione patrimoniale per la parte a cui
favore avviene, essendo nell’interesse del commercio giuridico che i diritti ab-
biano un valore possibilmente netto e costante»1. Il concetto prevalente era,
dunque, quello che considerava la soccombenza un fatto oggettivo che condu-
ceva alla condanna cosiddetta “assoluta” e prescindeva dall’animus del soc-
combente, in una sorta di responsabilità senza colpa o oggettiva2.
Questa impostazione è stata temperata dalla dottrina più moderna, che ha
invece posto l’accento sulla condotta della parte: così la soccombenza non deri-
va più in modo, per così dire, automatico dall’esito finale della lite, ma è piutto-
sto la conseguenza dell’omissione di atti processuali imputabile alla parte e dal-
la quale sia poi dipeso l’esito del processo3.
Il criterio della soccombenza trova dunque un correttivo nella causalità
della lite4.
1 G. CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, NAPOLI, 1934, II, 495.
2 L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, MILANO, S.D., IV, 140
S.; T. SICILIANI, Spese giudiziali civili, voce del Nuovo Dig. It., XII, TORINO, 1940, I, 727.
3 F. CORDOPATRI, Spese giudiziali (dir. proc. civ.), voce dell’Enc. dir., XVIII, MILANO, 1990, 332.
4 V. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1954, I, 256. Sulla «causalità»
come «ridimensionamento dell’applicazione pura e semplice del criterio della soccombenza formale»,
oltre che in funzione dell’individuazione della soccombenza sostanziale nel confronto fra due soc-
combenze formali reciproche, v. Cass. 21 ottobre 2009, n. 22381, Foro it., Rep. 2009, voce Spese
giudiziali civili, n. 26. Richiama espressamente la causalità e la soccombenza e li unifica in una sorta
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Questa diversa prospettiva sembra più in linea con la volontà del legislato-
re, che ha intitolato il capo IV del titolo III del libro I del codice di procedura
civile, contenente le norme sulla condanna alle spese ed al risarcimento dei
danni processuali, Della responsabilità delle parti per le spese e per i danni
processuali, così rimarcando lo stretto ed imprescindibile legame tra la decisio-
ne sulle spese e la valutazione del contegno delle parti5.
Ogni atto del processo comporta una molteplicità di costi che hanno natura
e funzioni eterogenee, andando da quelli di natura tributaria (come le imposte
di bollo e di registro) a quelli legati da un nesso di commutatività rispetto alla
specifica attività svolta da alcuni soggetti del processo (si pensi alle spese per le
notificazioni o per il rilascio di copie degli atti da parte del cancelliere, al com-
penso per il consulente tecnico d’ufficio o per gli altri ausiliari del giudice), fi-
no a ricomprendere gli onorari e i diritti spettanti agli avvocati.
Essi sono di importi variabili e di valore spesso tutt’altro che trascurabile e
possono incidere concretamente sull’effettività del diritto all’azione, soprattutto
nelle controversie di modesto valore economico in cui, non essendo commisu-
rati al valore della causa, possono finire per sopravanzare il risultato utile rag-
giunto dalla parte.
È tuttavia il caso di precisare fin da ora che, secondo un indirizzo ormai
consolidato della Corte costituzionale, il regolamento delle spese processuali non
incide sulla tutela giurisdizionale del diritto di chi agisce o si difende in giudizio,
non potendosi sostenere che la possibilità di conseguire la ripartizione delle spese
processuali consenta alla parte un migliore esercizio del diritto di difesa6.
Il regime delle spese processuali nel rito del lavoro è sostanzialmente so-
vrapponibile a quello previsto per il rito ordinario, fatte salve alcune peculiarità.
La prima riguarda l’esenzione prevista dall’art. 10 l. 11 agosto 1973, n. 5337,
dall’imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi spe-
cie o natura, degli atti, dei documenti e dei provvedimenti relativi alle cause per
di sintesi, Cass. 30 marzo 2010, n. 7625, id., Rep. 2009, voce cit., n. 47, secondo cui la parte soccom-
bente va individuata in quella che, azionando una pretesa accertata come infondata o resistendo ad
una pretesa fondata, abbia dato causa al processo o alla sua protrazione e che debba qualificarsi tale in
relazione all’esito finale della controversia: è pertanto legittima la condanna alle spese della parte che
si sia costituita e abbia svolto la conseguente attività processuale malgrado la sopravvenuta perdita
della legitimatio ad processum, non potendosi la stessa, in base a quest’ultima circostanza e senza che
la stessa sia stata rappresentata alla parte avversa, considerare estranea alle spese che, anche con la
sua resistenza, abbia causato all’altra parte, ove questa risulti vittoriosa.
5 In proposito appaiono assai interessanti, oltre che di viva attualità, le pagine contenute nella
Relazione alla Maestà del Re Imperatore del Ministro Guardasigilli Grandi ed illustrate il 28 ottobre
1940, in occasione dell’approvazione del testo del codice di procedura civile (in Codice di procedura Civi-
le con la Relazione al Re, a cura di F. Cipriani, D. D’Elia e G. Impagnatiello, Bari, 1997, 221): nel paragra-
fo 17, intitolato Contro la malafede processuale si spiega la disciplina positiva delle spese e della responsa-
bilità aggravata nella prospettiva di una «moralizzazion e del processo civile», per perseguire il quale «anche
le singole violazioni del dovere di lealtà e di probità commesse durante il processo potranno avere una loro
rilevanza pecuniaria indipendente dalla soccombenza finale, in quanto anche il vincitore potrà essere
condannato al rimborso delle spese causate all’avversario dalla sua slealtà (art. 92)».
6 Corte cost. 30 luglio 2008, n. 314, Giur. costit., 2008, 3389; v. pure Corte cost. 21 dicembre
2007, n. 446, Foro it., Rep. 2008, voce Spese di giustizia, n. 7.
7 La nor ma ha subito una complessa vicenda normativa, a partire dall’art. unico l. 2 aprile 1958, n.
319, su cui v. Cass. 17 luglio 2009, n. 16732, Foro it., Rep. 2009, voce Spese di giustizia, n. 11, nonché
Cass., sez.un., 7 dicembre 2007, n. 25551, id., Rep. 2007, voce Tributi in genere, nn. 1440 e 1447.

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