Emergenze ambientali e imposizione; il traffico transfrontaliero dei rifiuti

AutoreAntonio Uricchio
Pagine179-214
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CAPITOLO QUINTO
EMERGENZE AMBIENTALI E IMPOSIZIONE; IL TRAFFICO
TRANSFRONTALIERO DEI RIFIUTI
SOMMARIO: 1. Strumenti fiscali e emergenze ambientali: inquadramento della pro-
blematica. - 2. Dai principi comunitari “chi inquina paga” e di prevenzione ai
tributi ambientali. - 3. Il fenomeno del traffico internazionale di rifiuti nella pro-
spettiva dell’imposizione. - 4. La tassazione del traffico transnazionale dei rifiuti
ai fini doganali. - 5. Profili procedimentali riguardanti la tassazione doganale dei
rifiuti. - 6. I rifiuti nella disciplina Iva: il caso del traffico transfrontaliero intra
UE. Il regime speciale di tassazione delle cessioni di rottami, cascami o avanzi
di metalli ferrosi e non ferrosi. - 7. Ipotesi di intr oduzione di un tributo specia-
le sul traffico transfrontaliero dei rifiuti.
1. Strumenti fiscali e emergenze ambientali: inquadramento della
problematica
È stato già ricordato che il legislatore fiscale, nella ricerca e
sperimentazione di nuovi modelli di prelievo, deve necessariamente
tenere conto delle profonde trasformazioni intervenute nelle moda-
lità di produzione della ricchezza e più in generale dell’intero con-
testo socio economico, non potendo restare indifferente rispetto alle
emergenze ambientali che il modello di sviluppo industriale ha
prodotto. Cambiamenti climatici1, inquinamento dei mari, dell’aria,
1 Si è da poco conclusa la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici tenuta a Copenaghen dal 7 al 19 dicembre 2009. I leader politici pre-
senti, pur avvertendo l’esigenza di trovare un’intesa politica, hanno rinviato ad
una fase successiva la stipulazione di una convenzione vincolante, viste le
profonde divergenze ancora esistenti tra i diversi Stati sulle misure da adotta-
re. Dopo il protocollo di Kyoto, sottoscritto da più di 160 paesi (ma non da
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del suolo e del sottosuolo, progressiva riduzione delle risorse natu-
rali, traffici illeciti di rifiuti, incremento dei tumori provocati da
alimentazione non sicura e dalla diffusione di sostanze cancerogene
appaiono, infatti, disastri ambientali rispetto ai quali occorre inter-
venire con tutti gli strumenti possibili, compresi quelli di carattere
tributario. L’esportazione delle emergenze ambientali in paesi an-
cora non interessati all’intensificazione della produzione industriale
induce a ritenere indifferibile l’adozione di scelte condivise da par-
te di tutti gli Stati del mondo, sia ricchi, che poveri2, non potendo
dare risposte locali a problemi globali3.
Usa e Cin a), con i l qu ale è sta ta p rev ista la r idu zione entro il 2012 delle emis-
sioni di CO2 in una misura non inferiore al 5% rispetto a quelle registrate nel 1990. e
di un sistema di meccanismi flessibili per l’acquisizione di crediti di emissioni, si
profila l’adozione di un documento di indirizzo che possa preludere ad un nuovo
trattato sul clima. Eppure non c’è molto tempo da perdere; secondo una recente
indagine dell’ente governativo britannico Met Office se continueremo a immette-
re nel nostro pianeta la quantità di CO2 che abbiamo prodotto negli ultimi de-
cenni, entro il 2100 avremo un in nalzamento delle temperature medie globali da 5 a
7 gradi centigradi. Per lo stesso studio, l’innalzamento di soli 4 gradi delle temperatu-
re porterebbe un quinto delle specie animali a rischio di estinzione e 2 miliardi di per-
sone a soffrire la fame, oltre a gravi disastri naturali. La maggiore consapevolezza
dell’urgenza di porre rimedio ai mutamenti climatici e ai disastri causati hanno inizia-
to a fare breccia anche a livello istituzionale all’interno dei singoli Stati nonché negli
organismi internazionali. Particolarmente impegnati su tale tematica gli Stati europei:
il documento approvato dal Consiglio ambiente dell’unione europea sancisce, infatti,
la riduzione del 30 % dei livelli di emissione di CO2 entro il 2020 e l’aumento del 20
% della produzione di energie rinnovabili. Eppure, negli Stati uniti, la legge voluta da
Obama, che prevede il taglio delle emissioni del 17% (rispetto al 2005) entro il 2020
e dell’83% entro il 2050, approvata alla Camera, è, invece, attualment e ferma in Se -
nato. L’auspicio è che le buone intenzioni, siano seguite da programmi concreti,
anche volti a sostenere, anche finanziariamente, i Paesi in via di sviluppo nel-
l’utilizzo di tecnologie ecosostenibili.
2 Cfr. G. TREMONTI, La paura e la speranza, Milano, 2008, pag. 25, secon-
do cui “se il mondo è unico, le politiche non possono essere diverse. Se il mondo
è unico, le regole non possono essere parziali. O sono generali o non sono. Nel
tempo presente, se non sono generali, le regole sono solo un nonsenso. La solu-
zione efficiente totale non è neppure nella green economy e cioè nel grandioso
piano mondiale di investimenti in energia pulita…. È necessario in parallelo
fermare il mercatismo, l’ideologia forsennata dello sviluppo forzato spinto dalla
sola e assoluta forza del mercato”.
3 Sulla scia della progressiva affermazione di una cultura dello sviluppo so-
stenibile, gli ultimi anni sono stati caratterizzati dalla proliferazione di accordi
sopranazionali orientati al perseguimento di finalità ambientali. Tra di essi va
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Se fondamentale appare la definizione di programmi integrati
di intervento all’interno dei quali adottare, accanto a limiti, divieti,
controlli (c.d. politica del command and control)4, incentivi, anche
misure di “fiscalità verde” su scala mondiale o quanto meno da par-
certamente segnalata la Dichiarazione di Stoccolma che non può considerarsi un
evento isolato nel panorama internazionale, segnando piuttosto l’inizio di una
nuova mentalità sempre più aperta a questo tipo di problemi anche per effetto
delle conseguenze sull’ecosistema provocate dal progresso della tecnologia negli
ultimi decenni.
Si tratta di una nuova fase di dialogo tra Paesi caratterizzati da analoghi
problemi e riuniti attorno a obiettivi comuni, come quelli cristallizzati nella Di-
chiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo del 1992 che, riprendendo e con-
fermando i contenuti della Dichiarazione di Stoccolma del 1972, auspica l’in-
staurazione di una nuova ed equa partnership globale, mediante definite azioni di
cooperazione internazionale. La Dichiarazione proclama ventisette principi at-
tuando un compromesso tra le istanze dei Paesi in via di sviluppo, generalmente
orientate a favorire la crescita, e quelle dei Paesi sviluppati, convinti che la tutela
dell’ambiente sia un’esigenza prioritaria.
Tra i principi più rilevanti della Dichiarazione va sicuramente incluso
l’enunciato in base al quale il diritto allo sviluppo va perseguito “…in modo da
tenere equamente in conto i bisogni dello sviluppo e quelli ambientali delle ge-
nerazioni presenti e future”. Questo principio, ribattezzato con l’enfatica espres-
sione “sviluppo sostenibile”, va integrato con la precisazione in base alla quale
la protezione dell’ambiente deve costituire una parte integrante del processo di
sviluppo, non potendo essere considerato da esso disgiunto”.
4 Cfr. M. CECCHETTI, La disciplina giuridica della tutela ambientale come
“diritto dell’ambiente”, in www.federalismi.it, 2009, pag. 78, e ss. per il quale il
sistema degli strumenti di regolamentazione diretta rappresenta, senza dubbio,
l’approccio più tradizionale e consiste nella produzione di norme, generali o par-
ticolari, che stabiliscono, ad esempio, requisiti di qualità (dell’ambiente, di sin-
goli fattori ambientali, di prodotti) oppure regole di comportamento per
l’esercizio di determinate attività o per l’utilizzazione di certe sostanze. Il fun-
zionamento concreto di questo sistema esige, naturalmente, l’assegnazione di un
ruolo preponderante all’azione amministrativa che si manifesta nell’emanazione
di ordini, nel rilascio di autorizzazioni o licenze, nello svolgimento di controlli,
nell’irrogazione di sanzioni, etc. La necessità di rispettare le norme ed i vincoli
imposti dal legislatore o dalla pubblica amministrazione consente di conseguire
gli obiettivi di internalizzazione dei costi ambientali, dal momento che l’impresa
o, comunque, il soggetto che interviene sull’ambiente sono costretti ad addossar-
si le spese per l’adeguamento delle loro attività. Gli economisti tendono a ritene-
re che l’approccio basato sugli strumenti di regolamentazione diretta sia scarsa-
mente efficiente e che debba essere preferito l’approccio che utilizza gli strumen-
ti di mercato. L’inefficienza dei metodi di comando e controllo viene general-
mente sostenuta in quanto si tratterebbe di strumenti altamente dispendiosi e, ol-
tretutto, poco incentivanti”.

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