Sentenza nº 71 da Constitutional Court (Italy), 30 Aprile 2015

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione30 Aprile 2015
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 71

ANNO 2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice

- Giuseppe FRIGO ”

- Paolo GROSSI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), articolo introdotto dall’art. 34, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi dalla Corte di cassazione − sezioni unite civili, con due ordinanze del 13 gennaio 2014 e dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con ordinanze del 12 maggio e del 5 giugno 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 89, 90, 163 e 219 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24, 42 e 50, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti gli atti di costituzione del Comune di Porto Cesareo, di S.C. ed altri, di Corrida srl, nonchè gli atti di intervento di D.G.G. nella qualità di erede universale di C.R., di SEP − Società Edilizia Pineto spa e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 2015 e nella camera di consiglio dell’11 marzo 2015 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi gli avvocati Giuseppe Lavitola per SEP − Società Edilizia Pineto spa, Luca Di Raimondo per S.C. ed altri, Giovanni Pallottino e Francesco Nardocci per Corrida srl e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La Corte di cassazione, sezioni unite civili, ed il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, con quattro distinte ordinanze di analogo tenore, pronunciate in altrettanti giudizi, rispettivamente le prime due del 13 gennaio 2014 (r.o. n. 89 del 2014 e n. 90 del 2014), la terza del 12 maggio 2014 (r.o. n. 163 del 2014) e la quarta del 5 giugno 2014 (r.o. n. 219 del 2014), hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42-bis del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), con il quale viene disciplinata la «Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico».

  2. – La prima ordinanza della Corte di cassazione (r.o. n. 89 del 2014) espone che, nel giudizio a quo, instaurato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, il ricorrente, proprietario di un fondo oggetto di procedura espropriativa, ha chiesto la condanna del Comune di Porto Cesareo alla restituzione dei beni, occupati senza titolo da tale amministrazione, per l’inutile scadenza della dichiarazione di pubblica utilità che li aveva destinati alla realizzazione di strade, parchi e parcheggi.

    Con sentenza del 25 giugno 2010 n. 1614, il TAR ha ordinato al Comune di Porto Cesareo l’adozione del provvedimento acquisitivo delle aree (adottato con delibera consiliare 19 ottobre 2011) ai sensi dell’allora vigente art. 43 del T.U. sulle espropriazioni, approvato con il citato d.P.R. n. 327 del 2001.

    Dichiarata costituzionalmente illegittima tale norma, con sentenza n. 293 del 2010 di questa Corte, il ricorrente ha nuovamente adito il medesimo TAR per ottenere la restituzione del fondo ed il risarcimento del danno.

    Essendo stato introdotto, nelle more, l’art. 42-bis nello stesso T.U. sulle espropriazioni, attraverso l’art. 34, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, il Comune di Porto Cesareo, con provvedimento del 19 ottobre 2011, ha disposto l’acquisizione dei terreni al suo patrimonio, liquidando al proprietario l’indennizzo previsto dalla nuova norma.

    Avendo il ricorrente, con motivi aggiunti, richiesto anche la rideterminazione dell’indennizzo in base al valore venale attuale dei beni, il Comune di Porto Cesareo ha proposto regolamento di giurisdizione, chiedendo alla Corte di cassazione che la controversia sulla rideterminazione dell’indennizzo fosse attribuita al giudice ordinario, in forza della previsione di cui all’art. 133, primo comma, lettera f), del codice del processo amministrativo (decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante «Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo»).

    La Corte di cassazione ha così ritenuto di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, primo e secondo comma, 113 e 117, primo comma, Cost.

    2.1.– Il giudice rimettente, in punto di rilevanza, osserva che, da un lato, sarebbe pacifica l’applicabilità dell’istituto della cosiddetta “acquisizione sanante”, (re)introdotto dall’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni e, dall’altro, sarebbe proprio il sopravvenire di detta normativa ad aver mutato quella previgente, più favorevole, invocata dal ricorrente e ad impedire la restituzione dei terreni di fatto occupati dalla pubblica amministrazione, nonché a sostituire il diritto al risarcimento del danno integrale con quello al conseguimento dell’indennizzo, causa del regolamento di giurisdizione.

    In particolare, secondo il giudice rimettente, l’esame del ricorso potrebbe indurre astrattamente al suo accoglimento, con la traslatio iudicii al giudice ordinario, nella vigenza della norma della cui legittimità costituzionale si dubita. Ove invece l’art. 42-bis, per i prospettati dubbi di compatibilità con la Costituzione, venisse espunto dall’ordinamento, il ricorrente fruirebbe del trattamento risultante dalla disciplina previgente all’emanazione delle disposizioni impugnate. Un trattamento per lui più favorevole – già richiesto al Tribunale amministrativo davanti al quale il giudizio resterebbe incardinato – e consistente nella restituzione dell’immobile soggetto ad occupazione in radice illegittima, oltre al risarcimento del danno, informato ai principi generali dell’art. 2043 del codice civile.

    2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente ha premesso che l’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni avrebbe riproposto l’istituto previsto dal precedente art. 43, di cui ha ereditato la rubrica.

    2.2.1.– Il giudice rimettente dubita, in primo luogo, della compatibilità della norma censurata con gli artt. 3 e 24 Cost.

    Quanto alla violazione dell’art. 3 Cost., espressione del principio di uguaglianza, la Corte di cassazione sostiene che verrebbe riservato un trattamento privilegiato alla pubblica amministrazione che abbia commesso un fatto illecito. Mentre per qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento l’illecito sarebbe fonte dell’obbligazione «risarcitoria/restitutoria» di cui agli artt. 2043 e 2058 cod. civ., alla pubblica amministrazione verrebbe attribuita la facoltà di mutare – successivamente all’evento dannoso prodotto nella sfera giuridica altrui, e per effetto di una propria unilaterale manifestazione di volontà – il titolo e l’ambito della responsabilità, nonché il tipo di sanzione (da risarcimento in indennizzo) stabiliti in via generale dal precetto del neminem laedere.

    Secondo il giudice rimettente, la pubblica amministrazione, allorquando opera al di fuori della funzione amministrativa, sarebbe invece soggetta a tutte le regole vincolanti per gli altri soggetti (e dunque esposta alle medesime responsabilità), sicché, una volta attuata in tutti i suoi elementi costitutivi una lesione “ingiusta” di un diritto soggettivo, quest’ultima non potrebbe mai mutare natura e divenire “giusta” per effetto dell’autotutela amministrativa, cui non potrebbe neppure consentirsi di eliminare ex post le obbligazioni restitutorie e risarcitorie conseguenti.

    Questa impostazione avrebbe trovato piena corrispondenza nella giurisprudenza della Corte EDU (di cui vengono citate numerose sentenze), proprio in materia di ingerenza illegittima nella proprietà privata, fondata sempre e comunque sul corollario che alla pubblica amministrazione non è consentito (né direttamente né indirettamente) trarre vantaggio da propri comportamenti illeciti e, più in generale, da una situazione di illegalità da essa stessa determinata.

    La norma censurata, invece, per il solo fatto della connotazione pubblicistica del soggetto responsabile, avrebbe soppresso il pregresso regime dell’occupazione abusiva di un immobile altrui, sottraendo al proprietario l’intera gamma delle azioni di cui disponeva in precedenza a tutela del diritto di proprietà e la stessa facoltà di scelta di avvalersene o meno.

    In tal modo, considerando esclusivamente gli scopi dell’amministrazione, avrebbe trasferito tale facoltà di scelta dalla «vittima dell’ingerenza» (tale qualificata dalla Corte europea), all’autore della condotta illecita, attraverso la sostanziale introduzione, con il semplice atto di acquisizione autorizzato dalla norma censurata, di un nuovo modo di acquisto della proprietà privata, che prescinderebbe ormai dal collegamento con la realizzazione di opere pubbliche, e perfino con una pregressa procedura espropriativa.

    Inoltre, sia sotto il profilo delleguaglianza, sia alla luce della necessaria razionalità intrinseca postulata dalla norma costituzionale, la disposizione censurata lederebbe lart. 3 Cost., legando la determinazione dell...

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