Sentenza nº 68 da Constitutional Court (Italy), 08 Febbraio 1991
Relatore | Giovanni Conso |
Data di Resoluzione | 08 Febbraio 1991 |
Emittente | Constitutional Court (Italy) |
SENTENZA N.68
ANNO 1991
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Giudici
Prof. Ettore GALLO
Dott. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 233, secondo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), promossi con n. 5 ordinanze emesse da varie autorità giurisdizionali, iscritte ai nn. 253, 418, 419, 463 e 558 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn.20, 27, 33 e 38, prima serie speciale, dell'anno 1990.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Zanoni Marco per il reato di "detenzione illecita di arma comune da sparo", il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento promuoveva giudizio direttissimo, ma, a seguito di richiesta di giudizio abbreviato da parte dell'imputato, richiedeva al Giudice per le indagini preliminari l'udienza preliminare, prestando il proprio consenso all'abbreviazione del rito. Durante tale udienza "veniva sollevato il problema della competenza a conoscere del procedimento", in quanto, essendo imposta dall'art.233 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271 ) l'adozione del giudizio direttissimo "per i reati concernenti le armi e gli esplosivi", la cognizione del processo a quo sarebbe spettata non al Giudice per le indagini preliminari, bensì al Tribunale, in base agli artt.451 e 452 del codice di procedura penale.
Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Trento, ritenendosi erroneamente investito del rito, ma, al tempo stesso, rivendicando la propria competenza a decidere, ha, con ordinanza del 21 febbraio 1990 (n. 253 del 1990), sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 97 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 233, secondo comma, dei testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), "e cioé della norma che impone nella fattispecie di reato per cui si procede il rito direttissimo".
Il principio di eguaglianza risulterebbe vulnerato dalla norma censurata perchè verrebbe del tutto ingiustificatamente omessa la fase dell'udienza preliminare.
Si avrebbe, poi, violazione del diritto di difesa, non soltanto "per l'assenza del filtro dell'udienza preliminare", ma anche per la soppressione di alcuni epiloghi propri di tale udienza, quali la conclusione del processo in camera di consiglio, "con conseguente riservatezza del procedimento stesso".
Sarebbe, inoltre, violato l'art. 2, n. 43, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, ove il legislatore delegante "ha chiarito entro quali limiti fosse ammissibile il sacrificio al principio di eguaglianza e del diritto di difesa, che si m~ con la instaurazione dei rito direttissimo". Una violazione rilevante anche in sede di coordinamento normativo, non censurandosi una meta violazione formale della difesa, "ma la lesione del diritto di eguaglianza e di difesa per il tramite della violazione della delega".
Risulterebbe, infine, vulnerato l'art. 97 della Costituzione, in quanto il rito direttissimo "anomalo", instaurandosi rispetto a procedimenti non caratterizzati dall'evidenza probatoria che é alla base dei giudizio direttissimo previsto dagli artt. 449 e seguenti dei codice di procedura penale, determina "rilevanti problemi nella organizzazione dei dibattimenti penali, secondo una linea contrastante con la legge-delega e, quindi, ancora, con l'art. 76 della Costituzione".
L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 20, prima serie speciale, del 1990.
E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Con riferimento alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione,, l'Avvocatura richiama la sentenza n. 172 del 1972, che ha riconosciuto legittimo il giudizio direttissimo per i reati di stampa, rispetto ai quali, inoltre, "la specialità del rito viene ... a coniugarsi a fin troppo intuibili opzioni di politica criminale",
La sentenza n. 172 del 1972 escluderebbe pure la violazione del diritto di difesa. D'altro canto, l'udienza preliminare non rappresenterebbe una fase imposta costituzionalmente, come é dimostrato dall'assoluta mancanza di essa nel procedimento davanti al pretore.
Parimenti insussistente sarebbe la violazione dell'art. 76 con riferimento all'art. 2, n. 43, della delega. Infatti, la legge 16 febbraio 1987, n.81, nel conferire al Governo il potere di emanare norme di coordinamento del nuovo codice (art. 6), non avrebbe "imposto al delegato vincoli specifici, quali l'osservanza dei principi e dei criteri direttivi stabiliti dall'art. 2 della medesima legge per l'emanazione del nuovo codice di rito", ma avrebbe rimesso "allo stesso legislatore...
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