Il terzo settore dalle dinamiche del volontariato nei servizi sociali alla sussidiarietà

AutoreM. T. Paola Caputi Jambrenghi
Pagine11-90
CAPITOLO PRIMO
IL TERZO SETTORE
DALLE DINAMICHE DEL VOLONTARIATO
NEI SERVIZI SOCIALI ALLA SUSSIDIARIETÀ
Sommario: 1. Premessa. Volontariato e servizio pubblico. 2. Profili ricognitivi: il
non profit nell’ordinamento giuridico 3. Segue: le associazioni di volontariato
nella legge 266 del 1991 e nell’incontro con il mercato. 4. Segue: cenni sulla
disciplina di altri enti del terzo settore. 5. Categorie e regole fiscali per il terzo
settore. Le cessioni gratuite in favore delle onlus. 6. Il volontariato nella prote-
zione civile. 7. Lo scopo degli enti non profit, dal codice civile alle normative
di settore. Professionalità e sostegno pubblico: considerazioni critiche. 8. Le
iniziative comunitarie in materia di volontariato. 9. Azioni popolari (e class
actions) nel terzo settore.
1. Premessa. Volontariato e servizio pubblico
La posizione delle associazioni del volontariato nel quadro ge-
nerale delle attività socialmente rilevanti -qui non interessa se sog-
gettivamente pubbliche o private- è stata oggetto di un’evoluzione
di rilievo costruita nel tempo all’interno dell’ordinamento gene-
rale. Se pur non completa, nel senso che essa è in parte cospicua
rimasta ancòra sulla carta, né adeguatamente approfondita, nel
senso dell’adeguamento alle nuove richieste che ormai provengono
dal sociale come dal mercato dei servizi pubblici, essa può dirsi
ben radicata nell’individuazione di un ruolo proprio e nuovo rico-
nosciuto al volontariato con la legge 11 agosto 1991, n. 266.
12 Volontariato Sussidiarietà Mercato
Ma il fenomeno del volontariato ha assunto ben presto dimen-
sioni non previste da quella legge: può dirsi che esso abbia funzio-
nato da detonatore sociale, provocando una progressiva aggrega-
zione spontanea tra le persone interessate, soprattutto tra i giovani,
verso una pluralità di organizzazioni, in alcuni periodi cresciute in
qualità ed in numero con progressione geometrica sul territorio
nazionale.
Altrettanto presto sono emerse non poche crepe nel sistema in-
travisto dal legislatore, sotto forma di abusi nanziari e di par-
cheggi elettorali nell’assunzione temporanea di favoriti del potente
o del candidato di turno: ma, dopo qualche intervento sanzionato-
rio della magistratura e delle regioni, le associazioni, viste nel loro
complesso, sembrano aver sostanzialmente superato questa prima
fase (che, per vero, n quasi al termine del primo decennio dall’en-
trata in vigore della legge aveva ingenerato diffuse perplessità le-
gate alle suddette esperienze patologiche), pervenendo a risultati
cospicui nella solidarietà sociale e aggregando persone, forze so-
ciali ed economiche, nettamente caratterizzate per la motivazione
della cura dell’interesse altrui, no a meritare il riconoscimento
denitorio, da parte della letteratura come nella communis opinio,
di terzo settore.
In realtà, all’esordio del terzo millennio si apre nella Repub-
blica uno spazio innito per una loro attività permanente d’inte-
resse generale: le associazioni approdano alla Costituzione repub-
blicana perché la norma di cui all’art. 118, ultimo comma, nel
testo modicato dall’art. 4 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3, assegna non più soltanto allo Stato, ma anche a tutti gli
enti esponenziali delle comunità territorialmente individuate, dun-
que alle regioni, alle città metropolitane, alle province ed ai co-
muni – visti tutti insieme, da una parte – il compito di favorire lo
svolgimento autentico di un’esperienza comune che si attui (sem-
pre più liberamente sembra volersi prevedere nella norma), a mi-
sura dell’incremento del tasso di effettività dei risultati ottenuti in
progress nel corso dello svolgimento di siffatta esperienza; dall’al-
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tra, non opposta, ma diversa parte della realtà repubblicana, “l’au-
tonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgi-
mento di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà”.
Si tratta di un principio costituzionale che, con la riforma del
titolo V, è destinato ad operare alla base della comunità e che già
dieci anni prima, come è noto, con il trattato di Maastricht, 1992,
era riemerso dalla sua antica patria canonica altomedioevale e
dalle denitive pagine normative secentesche del codex, per diven-
tare, con quelli di differenziazione, adeguatezza e proporzionalità,
il perno intorno al quale ruota – questa volta in posizione di ver-
tice – il rapporto tra gli apparati dell’Unione europea e gli Stati
membri.
Nel nostro testo costituzionale il principio di sussidiarietà pre-
senta, come vedremo, una formulazione talmente pregnante da le-
gittimare possibili conclusioni, anche radicali, in favore dell’ini-
ziativa autonoma dei cittadini quanto alle occasioni di svolgimento
di attività di interesse generale.
Ci si è chiesto perciò se possa imporsi ai pubblici poteri l’asten-
sione da ogni intervento in tutte le fattispecie nelle quali si siano
avviate iniziative per attività d’interesse generale o in occasione
del loro sviluppo mediante la presenza attiva della persona singola
o -com’è, ovviamente, ben più frequente- in formazione sociale. Si
fa riferimento alle ipotesi nelle quali i cittadini dimostrino di poter
ottenere con la propria iniziativa, non subordinabile/inquinabile
perchè “autonoma” rispetto ai pubblici poteri, risultati di indiscu-
tibile interesse generale, dunque non “proprio”, se non da un punto
di vista dell’imputazione e della spinta morale che è alla base
dell’iniziativa stessa.
Tra le risposte più meditate a questo interrogativo può annove-
rarsi quella di una dottrina che, nel valorizzare il modello di “am-
ministrazione diffusa”, come esso sembra emergere dalla norma
costituzionale riformata, considera l’attività di espletamento di un
servizio pubblico da parte di associazioni di volontariato o enti

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