Sentenza Nº 06882 della Corte Suprema di Cassazione, 08-03-2019

Presiding JudgeVIVALDI ROBERTA
ECLIECLI:IT:CASS:2019:6882CIV
Date08 Marzo 2019
Judgement Number06882
CourtSezioni Unite (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
SENTENZA
sul ricorso 1466-2016 proposto da:
S.S.C. SOCIETA' SVILUPPO COMMERCIALE S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 45, presso lo studio dell'avvocato
Civile Sent. Sez. U Num. 6882 Anno 2019
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: SCARANO LUIGI ALESSANDRO
Data pubblicazione: 08/03/2019
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
LORENZA DOLFINI, che la rappresenta e difende unitamente
all'avvocato ATTILIO TOPPAN;
- ricorrente -
contro
METEORE ITALY S.R.L., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VICOLO DELL'ORO 24,
presso lo studio dell'avvocato ROBERTO COEN, che la rappresenta e
difende unitamente all'avvocato MAURIZIO RUBEN;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1746/2015 della CORTE D'APPELLO di
FIRENZE, depositata il 15/10/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27/03/2018 dal Consigliere LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale FEDERICO SORRENTINO, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
uditi gli avvocati Attilio Toppan, Roberto Coen e Maurizio Ruben.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29/10/2015 la Corte d'Appello di Firenze ha
respinto il gravame interposto dalla società S.S.C. - Società Sviluppo
Commerciale s.r.l. in relazione alla pronunzia Trib. Prato n. 365/15, di
rigetto della domanda di accertamento e declaratoria del vantato
diritto alla restituzione degli importi versati alla società Meteore Italy
s.r.l. giusta contratto in data 18/11/2003 di locazione ad uso ufficio -
per la durata di anni 18- di complesso immobiliare sito in Calenzano,
asseritamente non dovuti stante la dedotta nullità della clausola ex
art. 7.2, secondo cui
<
(i) Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo
ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente
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manlevato il Locatore relativamente agli stessi, (ii) il Locatore sarà
tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio
reddito>>.
Nullità asseritamente discendente dall'essere la detta clausola
in realtà volta «a riversare l'onere tributario relativo all'ICI e all'IMU
gravanti sull'immobile locato, su un soggetto diverso da quello
passivo tenuto per legge a subire il relativo sacrificio patrimoniale, e
quindi in chiaro contrasto con il principio, costituzionalmente sancito,
di concorso alla spesa pubblica in ragione della ( e non oltre la )
propria capacità contributiva>>, nonché «con l'art. 89 della legge
n. 392/78, che non indica in alcun modo, tra gli oneri accessori a
carico del conduttore, ivi tassativamente elencati, anche le imposte
patrimoniali relative ai beni locati».
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società
S.S.C. - Società Sviluppo Commerciale s.r.l. ha proposto ricorso per
cassazione, affidato a 4 motivi illustrati da memoria, cui resiste con
controricorso la società Meteore Italy s.r.I., che ha presentato anche
memoria.
Chiamata
all'udienza
del
29/3/2017,
con
ordinanza
interlocutoria n. 28437 del 2017 la Terza Sezione di questa Corte ha
osservato che il giudice del gravame ha nell'impugnata sentenza
ritenuto valida la ( sopra riportata ) clausola di cui all'art. 7.2 del
contratto di locazione ad uso diverso da abitazione in argomento, non
prevedendo essa un obbligo diretto della conduttrice verso il fisco di
pagamento delle imposte a vario titolo gravanti sull'immobile, bensì
meramente che «si faccia carico, nei confronti della locatrice, dei
relativi oneri», a tale stregua tale pattuizione
non
determinando
nella specie una
traslazione
in capo alla conduttrice delle
imposte
gravanti sull'immobile a carico della proprietaria/locatrice, bensì la
mera
integrazione
del
canone
di
locazione
dovuto.
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sez.
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Ha posto in rilievo che le doglianze della conduttrice si
sostanziano nella mancata verificazione da parte dei giudici di merito
della sussistenza nel caso dei requisiti ( inclusione nel sinallagma
contrattuale; mancata sottrazione del soggetto passivo dell'obbligo
tributario ) individuati da Cass., Sez. Un. n. 6445 del 1985 perché la
clausola di traslazione d'imposta possa ritenersi non contrastante con
gli artt. 53 e 2 Cost., e pertanto valida.
Ha sottolineato che il canone risulta nel caso predeterminato
alla stregua dell'apposita pattuizione di cui ai distinti artt. 4 e 5 del
contratto, laddove la clausola 7.2. ha ad oggetto direttamente il
tributo, non potendo pertanto ritenersi rispondere alla volontà delle
parti l'integrazione del canone di locazione mediante una clausola
rubricata "Tasse", sicché essa è in realtà estranea al sinallagma
contrattuale.
Non riconoscendo pregio all'assunto della locatrice secondo cui
l'art. 8 L. n. 212 del 2000 ( c.d. Statuto del contribuente ), nel
prevedere ( recependo il principio affermato da Cass., Sez. Un., n.
6445 del 1985 ) <
liberazione del contribuente originario», ha espressamente
ammesso la negoziabilità del debito d'imposta, con l'unico limite
posto dell'impossibilità di liberare l'originario contribuente, la Sezione
rimettente ha sottolineato come la liceità del patto di traslazione
dell'imposta involga in termini più generali la problematica se
l'obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese
pubbliche in ragione della rispettiva capacità contributiva abbia un
significato anche
soggettivo (
nel senso che il relativo adempimento
debba non solo essere compiuto oggettivamente in modo completo,
ma altresì esclusivamente dal soggetto che per legge ne ha l'obbligo,
con impossibilità pertanto di trasferire il debito tributario a soggetto
diverso ) ovvero esclusivamente
oggettivo (
nel senso di obbligo da
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assolvere in quanto giustificato da espressione di capacità
contributiva).
Problematica che presuppone la soluzione del quesito se, al di là
delle ipotesi in cui vi siano divieti espressi di traslazione da parte di
specifiche norme tributarie, l'art. 53 Cost. -che da tempo si ravvisa
quale norma di natura imperativa, e quindi come direttamente
precettiva- possa ritenersi costituire un
limite generale all'autonomia
privata
in tema di individuazione del soggetto passivo dell'imposta,
impedendo alle parti private di neutralizzare pattiziamente gli effetti
della capacità contributiva; nonché di quello se la sussistenza di un
limite all'autonomia negoziale possa essere presidiato dall'istituto
della nullità, in relazione ad un accordo di traslazione palese di
imposta patrimoniale posto in una scrittura contenente un contratto a
prestazioni corrispettive, qual è il contratto di locazione
de quo.
La Sezione rimettente ha quindi osservato come, pur essendo
da tempo chiamata ad affrontare la tematica in argomento, questa
Corte non sia al riguardo invero pervenuta ad <
ermeneutica».
Facendo in particolare richiamo a Cass., Sez. Un., n. 5 del
1985 e a Cass., Sez. Un., n. 6445 del 1985, da cui discende il
«filone giurisprudenziale più noto -e di cui maggiormente si sono
qui avvalse le parti nel loro analitico contraddittorio-», essa ha
anzitutto premesso che, come «rilevato fin da S.U. 18 dicembre
1985 n. 6445», la problematica in argomento rimane «estranea
alla normativa comunitaria», in quanto <
esclusivamente dall'incidenza dell'articolo 53 Cost. quale norma in via
diretta precettiva sull'autonomia negoziale».
Ha avvertito che la pronunzia Cass., Sez. Un., n. 6445 del 1985
( l'<
governato» la tematica, ed <> ) ha in realtà
confermato la ( di poco precedente ) pronunzia n. 5 del 1985 nella
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sez. SU -
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parte in cui ha riconosciuto natura «imperativa», come tale
«preclusiva di patti negoziali che ne comportino l'esclusione», alla
norma in tema di capacità contributiva, sicché l'art. 53 Cost. «si
pone come fonte immediata e imperativa la cui valutazione può
comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia
negoziale con esso confliggenti».
Ha segnalato che la «dottrina, a sua volta, non è compatta in
modo assoluto» in argomento, e che «entrambe le sentenze sono
state ... criticate da certa dottrina per non avere chiarito le ragioni di
tale affermazione».
Ha posto in rilievo che la «questione ... sulla validità di un
accordo di traslazione degli oneri fiscali ... estraneo al sinallagma del
contratto in cui è inserito si impernia sul comprendere se vi sia una
compressione all'
[rectius,
dell'] autonomia negoziale che imponga
agli interessi economici un limite giuridico».
Ha sottolineato che, pur dovendo la norma di cui all'articolo 53
qualificarsi come «imperativa», rivolta cioè «anche ai
comportamenti dei privati», resta comunque «dubbia
l'applicabilità dell'articolo 1418, primo comma, c.c. ai patti di
traslazione dell'imposta per impossibilità di desumere dall'impianto
costituzionale un
divieto generalizzato
al trasferimento dell'onere del
tributo a terzi».
Osserva che nell'ambito della «tematica contigua dell'abuso
del diritto» si è invero «riconosciuto ( Cass. sez. 5, 21 ottobre
2005 n. 20398 ) che "la mancanza di ragione, che investe nella sua
essenza lo scambio tra le prestazioni contrattuali attuato attraverso il
collegamento negoziale, costituisce, a prescindere da una sua valenza
come indizio di simulazione oggettiva o interposizione fittizia, un
difetto di causa" generante, ai sensi degli articoli 1418, secondo
comma, e 1325 n.2 c.c., nullità dei contratti collegati perché da essi
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"non consegue per le parti alcun vantaggio economico all'infuori del
risparmio fiscale"».
Stante la ravvisata <
tenuto conto appunto della risalenza degli interventi delle Sezioni
Unite e valutata la notevole valenza nomofilattica della questione, in
quanto correlata alla diretta precettività dell'articolo 53 Cost. -per la
quale necessariamente evolutiva lettura ben potrebbe incidere pure il
nuovo quadro sistemico come discendente dai tratti, benchè
ratione
temporis
qui non applicabili, di recente inseriti nello Statuto del
contribuente- , la Terza Sezione ha rimesso la causa al Primo
Presidente, che l'ha assegnata alle Sezioni Unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1° motivo la ricorrente denunzia «violazione o falsa
applicazione» degli artt. 1418 c.c., 2, 53 Cost., in riferimento all'art.
360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente affermato
che «le clausole di un contratto di "affitto" di immobili non abitativi
che non prevedano un obbligo diretto del conduttore verso il fisco di
pagare le imposte che gravano sull'immobile, ma soltanto un obbligo
dello stesso conduttore verso il locatore di sostenere il relativo onere,
non urterebbero,
"tout court",
contro il precetto» costituzionale
«inderogabile di cui all'art. 53 Cost., in collegamento con l'art. 2
Cost., a tenore del quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della propria capacità contributiva>>.
Lamenta che il «radicale assunto di incondizionata liceità del
fenomeno della c.d. "traslazione delle imposte" gravanti sull'immobile
oggetto di un contratto di locazione ad uso non abitativo» risulta
del tutto indimostrato nella sentenza impugnata, e invero «neppure
desumibile dai principi ... formulati dalla giurisprudenza di legittimità
in materia di "traslazione dell'imposta" nei contratti di mutuo, a
partire dalla nota sentenza della Suprema Corte, Sez. Un., n.
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6445/1985, con la quale era stato sovvertito l'opposto orientamento
espresso dalla stessa Suprema Corte con la sentenza n. 5/1985, che
aveva dichiarato la nullità, per contrasto con l'art. 53 Cost., della
clausola del contratto di mutuo che poneva a carico del mutuatario
l'obbligo di rimborsare al mutuante un importo pari alle imposte sul
reddito del mutuante afferenti gli interessi convenuti».
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che con
«la succitata pronuncia a Sezioni Unite ... ( e con successive
sentenze sempre riferite a clausole di traslazione d'imposta inserite in
un contratto di mutuo ) la Corte di Cassazione non ha in alcun modo
inteso sancire un principio generale relativo alla legittimità
costituzionale di qualsivoglia patto che importi traslazione palese
dell'onere delle imposte, gravanti sul soggetto passivo, su altro
soggetto», ma solo affermare, limitatamente «al concreto caso di
specie oggetto di quella pronuncia», che dall'«applicazione della
disposizione pattizia portata al suo esame non conseguiva, in
concreto, alcuna violazione del principio, inderogabilmente sancito
dalla Costituzione, di concorso alla spesa pubblica in ragione della
propria capacità contributiva».
Lamenta essersi dalla corte di merito erroneamente ritenuta la
«liceità del fenomeno della traslazione dell'imposta», e in
particolare la conformità a Costituzione della clausola prevedente, in
un contratto di locazione commerciale, la «traslazione di un'imposta
patrimoniale ( e, cioè, prima dell'ICI e poi dell'IMU, ossia di
un'imposta che ha quale presupposto la sussistenza, in capo a
determinati soggetti, di diritti particolarmente incisivi sull'immobile
oggetto di tassazione ) gravante sul locatore, su un soggetto ( il
conduttore ) espressamente escluso dalla legge dal novero degli
obbligati nei confronti del fisco».
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che
«anche secondo la richiamata giurisprudenza delle Sezioni Unite,
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una clausola avente ad oggetto la traslazione palese di un'imposta è
certamente nulla per violazione degli artt. 53 e 2 Cost., non solo se
diretta a sottrarre un contraente al carico tributario, ma pure se la
stessa sia preordinata non a integrare il prezzo della prestazione
negoziale, ma ad affiancarsi al sinallagma già perfetto, avendo ad
oggetto il tributo in quanto tale (e non una somma di pari
importo)».
Situazione che appunto «si verifica nel caso in esame, nel
quale la clausola di cui all'art. 7.2 (i) del Contratto non ha affatto la
funzione, nell'economia del negozio, di integrare il corrispettivo del
godimento del bene concesso dal locatore al conduttore, in quanto da
un lato, essa risulta del tutto estranea ( anche perché assolutamente
svincolata e non correlata all'uso del bene ) al sinallagma proprio del
contratto di locazione commerciale, già perfetto nel rapporto tra
godimento del bene e pagamento del canone; dall'altro lato, essa ha
l'evidente funzione di addossare al conduttore una spesa o un "costo"
inerente al bene locato e quindi oneri ben distinti anche
concettualmente dal "canone di locazione", giustamente considerati
dalla giurisprudenza ... "del tutto fuori dal sinallagma contrattuale" (in
questo senso, cfr., Cass. n. 12769/1998)».
Lamenta che nella specie «il corrispettivo del godimento del
bene locato è costituito unicamente dal canone», essendo stato
esso «predeterminato dalle parti con apposita e distinta
pattuizione», né potendo d'altro canto in alcun modo ravvisarsi
<
clausola denominata
"Tasse"
al fine di integrare la voce "canone"»,
giacché la clausola
de qua
ha <
non una
"somma di pari importo" ),
come ... esemplarmente
dimostrato dal comportamento di Meteore, che ha sempre
"rifatturato" a SSC i tributi pagati come rimborso di somme
meramente anticipate per conto della locatrice ( e, come tali, non le
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ha assoggettate all'IVA ), come se il tributo gravasse direttamente su
SSC».
A tale stregua, diversamente da quanto dalla corte di merito
affermato nell'impugnata sentenza, la «presenza di una clausola
che si affianca al sinallagma perfetto, preordinata ad operare
inammissibilmente lo snaturamento dell'obbligo tributario e, dunque,
di un patto nullo in quanto l'imposta patrimoniale, anche se
corrisposta al fisco dal locatore, grava in realtà sul conduttore, in
modo da garantire allo stesso locatore, in relazione alla medesima
imposta, una neutralità fiscale».
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che nel
caso «il locatore intendeva addossare direttamente al Conduttore
qualsiasi onere di natura fiscale derivante dalla proprietà del bene
locato, convenendo così che Meteore, pagando all'erario le imposte
patrimoniali gravanti sui beni locati, avrebbe in realtà agito come una
sorta di "sostituto di imposta" di SSC o come un suo mero "delegato
al pagamento" di dette imposte patrimoniali, mentre Meteore sarebbe
rimasta direttamente onerata del pagamento delle sole imposte
relative al proprio reddito», sicché il «senso della clausola
unitamente considerata ... non può essere che quello ( non colto dalla
Corte ) di una inammissibile ripartizione pattizia tra le parti degli
oneri tributari gravanti, per legge, sul solo locatore, per cui il locatore
indica quale tenuto al pagamento delle imposte patrimoniali
sull'immobile unicamente il conduttore, mentre si riconosce obbligato
solo per le imposte relative al reddito», a tale stregua venendo ad
«irrimediabilmente» violare «sotto entrambi i profili evidenziati
da Cass., S.U. n. 6445/1985 ( mancata funzione integrativa del
prezzo e sottrazione del locatore agli oneri tributari relativi alle
imposte patrimoniali gravanti sull'immobile locato ) l'art. 53 Cost., in
collegamento con l'art. 2 Cost.».
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Con il 2° motivo denunzia «violazione o falsa applicazione»
degli artt. 1362, 1363 c.c., in riferimento all'art. 360, 1° co. n. 3,
c.p.c.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente interpretato
«la clausola di cui all'art. 7.2 i) del Contratto», là dove l'ha intesa
come contemplante una
componente integrativa
della misura del
canone
stabilito all'art. 4 del contratto.
Ancora, nella parte in cui ha sottolineato che «Quanto alla
fatturazione del rimborso degli oneri per imposte di cui a[I] citato art.
7.2 (i), indicata come "rifatturazione", senza la contestuale
imputazione dell'IVA ... essa può al più comportare possibili
implicazioni fiscali di cui si farà carico l'appellata ove ritenute esistenti
dagli uffici erariali, ma pare comunque coerenziarsi con la natura di
rimborso di tale componente del canone, poiché è ben vero che
le
relative imposte sono pur sempre sostenute dal proprietario
dell'immobile e l'ente impositore ( Stato, Comune o altro ) individua
in esso il soggetto che è tenuto a farvi fronte, ma questo si
disinteressa se poi, per accordo privato, i contraenti scelgano di
operare un rimborso ( in tal senso deve interpretarsi l'uso della parola
"manlevare" ) o una diversa forma di pagamento variamente posta a
carico del conduttore».
Là dove ha infine osservato che la «mancanza di
maggiorazione di I.V.A. sulla parte di canone corrispondente alle
imposte non sembra comportare una prova che si tratti di un mero
rimborso svincolato dal canone e, quindi, costituire un ingiustificato
vantaggio per il locatore, altra questione essendo, come detto, chi
dovrà versare all'ente impositore la parte di imposta ( ad esempio per
I.C.I. o I.M.U. ) ad esso facente carico».
Lamenta che a tale stregua la corte di merito ha «violato,
innanzitutto, il primario canone ermeneutico sancito dall'art. 1362,
comma 1, c.c., avendo attribuito alle parole usate dalle parti un
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significato del tutto diverso e incompatibile con il loro senso
letterale», atteso che all'«art. 7.2 (i) del Contratto ... le parti
hanno espresso, con assoluta chiarezza, la loro intenzione di
regolamentare, non la misura del canone, ma soltanto il "rimborso"
degli oneri fiscali da parte del Conduttore, avendo utilizzato
esclusivamente le parole
"tasse, imposte e oneri",
senza fare alcun
riferimento o richiamo al canone e alla sua misura, pattuita nell'art. 4
del Contratto (e nell'art. 5, per quanto riguarda la variazione annuale
in base all'Indice Istat ...), né hanno utilizzato alcuna espressione
dalla quale possa evincersi che
"tasse, imposte e oneri"
siano da
intendersi come una "componente integrante" la misura del canone,
mentre hanno utilizzato la parola "manlevare" che, secondo quanto
affermato dalla stessa Corte d'Appello, significa
"rimborsare" ...
e il
canone, quale unica prestazione in rapporto sinallagmatico con il
godimento del bene locato, non può, concettualmente, costituire un
"rimborso" ( di una spesa o di un onere sostenuto dal Locatore ) da
parte del Conduttore».
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato, «in
relazione al criterio di cui all'art. 1363 c.c.», da un canto, che
«l'art. 7.2) del Contratto è, a sua volta, sistematicamente collocato
sub
art. 7), rubricato
"Contributi, Tasse, Imposte e spese
amministrative",
il quale ha ad oggetto, con tutta evidenza, soltanto il
"rimborso di spese ed oneri, ivi compresi gli oneri accessori di cui
all'art. 9 della legge n. 392/78, mentre il canone è disciplinato solo
dall'art. 4 del Contratto»; e, per altro verso, che «per quasi dieci
anni nel corso del rapporto di locazione e fino all'insorgere della
controversia ... Meteore», la società locatrice non aveva «mai
assoggettato all'IVA il rimborso degli importi ICI e IMU "rifatturati" a
SSC, mentre aveva sempre applicato VIVA sugli importi fatturati a
titolo di canoni di locazione».
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Si duole che, in violazione del «c.d. "principio di ordinazione
gerarchica"», e con «motivazioni inammissibili, incongrue e
illogiche», nonché con un «ragionamento evidentemente
incongruo rispetto alla finalità di stabilire se le parti abbiano voluto
pattuire il rimborso al locatore delle imposte di cui all'art. 7.2 (i)
quale componente del canone o come mero rimborso svincolato dal
canone», la corte di merito abbia fatto nel caso ricorso a «criteri
ermeneutici subordinati».
Con il 3° motivo denunzia «violazione o falsa applicazione»
degli artt. 1418 c.c., 79, 41 e 9 L. n. 392 del 1978, in riferimento
all'art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Lamenta l'erronea applicazione da parte della corte di merito
dei «canoni legali di ermeneutica contrattuale» là dove ha
qualificato come «componente integrante del canone il mero
"rimborso" delle imposte previsto dall'art. 7.2 (i) del Contratto», in
quanto, «applicando correttamente i predetti canoni ermeneutici,
risulta evidente che, con la pattuizione di detta clausola, le parti
abbiano inteso addossare al conduttore un onere accessorio o,
comunque, di imporgli il pagamento di somme del tutto sganciate da
una controprestazione ( diversa dalla mera concessione del
godimento del bene ) a carico del locatore», il quale «mediante
detta clausola» si è «assicurato unicamente il rimborso di tasse e
imposte immobiliari ( ICI e IMU ) che la legge prevede
esclusivamente a suo carico, trasferendo sul conduttore un onere che
è del tutto svincolato dal godimento o fuori dello schema del
sinallagma contrattuale, perfettamente definito nel rapporto tra
prestazione ( godimento del bene ) e relativa controprestazione
(canone)».
Si duole non essersi considerato che «il rimborso al locatore
delle imposte patrimoniali gravanti sul bene locato ... non è affatto
una spesa "strettamente connessa/collegata" all'uso del bene locato,
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posto che, da un lato, lo stesso può essere legittimamente utilizzato
dal conduttore indipendentemente dall'adempimento delle
obbligazioni tributarie ad esso relative e gravanti, per legge, sul solo
locatore; dall'altro, le imposte patrimoniali ( ICI e IMU ) oggetto
dell'art. 7.2 (i) del Contratto sono state istituite dal legislatore
unicamente per colpire una capacità patrimoniale specifica del
proprietario del bene, indipendentemente dall'utilizzo
dell'immobile».
Lamenta che erroneamente la corte di merito non ha ritenuto la
clausola in argomento nulla per violazione dell'art. 79 I. loc., laddove
la «giurisprudenza di legittimità ... ha sempre concordemente
affermato la tassatività ed inderogabilità dell'elencazione degli oneri
accessori addossati ( ed addossabili ) al conduttore».
Con il 4° motivo denunzia «violazione o falsa applicazione»
degli artt. 1418 c.c., 79, 41 e 9 L. n. 392 del 1978, in riferimento
all'art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.
Si duole che la corte di merito non abbia ravvisato la nullità
dell'art. 7.2 (i) pur essendo esso <
del canone sulla base dei criteri di legge, aggiornamento già
espressamente pattuito tra l'altro dalle parti nell'art. 5) del Contratto,
bensì ad attribuire al locatore veri e propri imprevedibili ( com'è
puntualmente avvenuto nel caso in esame, nel passaggio dall'ICI
all'IMU ) aumenti del canone, idonei quindi a determinare
inammissibili squilibri nel sinallagma contrattuale, senza che il
conduttore possa sottrarsi all'adempimento del contratto, realizzando
così proprio l'effetto che le citate norme mirerebbero ad impedire».
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto
connessi, sono infondati.
La questione rimessa all'esame di queste Sezioni Unite
è se sia
valida la clausola di un contratto di locazione che attribuisca al
conduttore di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai
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beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il
locatore.
Come correttamente avverte l'ordinanza interlocutoria della
Terza Sezione, la soluzione della specifica questione rimessa
all'esame di queste Sezioni Unite prospetta invero la più ampia
problematica
«se l'obbligo costituzionalmente rilevante di
concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità
contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo -nel senso
di obbligo di adempiere a quanto è giustificato dalla capacità
contributiva- oppure anche soggettivo -nel senso che l'adempimento
debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo,
ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l'obbligo-, escludendosi
quindi il trasferimento dell'obbligo ad un soggetto diverso>.
Al riguardo, si pone in particolare l'esigenza di chiarire,
«tenendo ben in conto l'articolo 53 Cost. -la cui natura è stata da
tempo riconosciuta come imperativa, e quindi come direttamente
precettíva-»,
se,
«a parte le ipotesi in cui vi siano espressi divieti
di traslazione da parte di specifiche norme tributarie»,
sulla
«individuazione del soggetto passivo dell'imposta possa incidere
l'autonomia negoziale privata, neutralizzando così gli effetti della
capacità contributiva».
Va anzitutto osservato che, atteso il tenore della riportata
clausola contrattuale [
(i) Il Conduttore si farà carico di ogni tassa,
imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto ) ...
(ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri
relativi al proprio reddito ],
nella specie, diversamente da quanto ha
costituito oggetto dei casi esaminati dalle Sezioni Unite di questa
Corte nelle evocate sentenze n. 5 del 1985 e n. 6445 del 1985,
oggetto della clausola in argomento sono non già le imposte dirette
gravanti sulla locatrice bensì meramente quelle gravanti sull'immobile
e inerenti allo stipulato contratto.
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Essendo stato esso stipulato nel novembre del 2003, non viene
invero in rilievo l'INVIM, istituita con d.p.r. n. 643 del 1972 (in
particolare quella decennale ex art. 3, 1° co., d.p.r. n. 643 del 1972),
il cui art. 27 prevedeva la
nullità
di
<
trasferire ad altri l'onere dell'imposta» (
v. Cass., 31/3/2014, n.
7501, ove si è posto in rilievo come la nullità del patto di traslazione
dell'imposta fosse comminata dall'art. 27 d.p.r. n. 643 del 1972 non
solo per il rapporto con l'amministrazione finanziaria ma anche per
quello tra i contraenti, attesa l'inderogabilità del presupposto
soggettivo del tributo, rappresentato dal godimento della plusvalenza
immobiliare; Cass., 27/1/2010, n. 1660; Cass., 6/11/2006, n. 23615;
Cass., 10/5/1994, n. 4556, ove si è sottolineato che la nullità
prevista dall'art. 27 d.p.r. n. 643 del 1972 di qualsiasi patto contrario
al divieto di trasferire l'onere della imposta a soggetti diversi da quelli
tenuti al pagamento della stessa, individuati dall'art. 4 d.p.r. n. 643
del 1972, non è comminata unicamente a tutela del fisco, ma incide
anche nei rapporti tra le parti contraenti, quale che sia lo strumento
negoziale direttamente azionato al fine della traslazione della
imposta, comportandone la nullità, senza che rilevi la finalità pratica
che a suo mezzo le parti intendono conseguire; Cass., 14/9/1991, n.
9608; Cass., 1°/2/1984, n. 780; Cass., 11/12/1974, n. 4181 ).
E' viceversa applicabile l'I.C.I., introdotta a decorrere dal 1993
(art. 1 d.lgs. n. 504 del 1992), poi sostituita a decorrere dall'aprile
2012 dall'I.M.U. ( d.lgs. n. 23 del 2011 ), le cui relative discipline non
contemplano invero norma analoga a quella di cui al sopra richiamato
art. 27 d.p.r. n. 643 del 1972.
Deve del pari preliminarmente porsi in rilievo che ( come
sottolineato già da Cass., Sez. Un., 5/1/1985, n. 5 e ripreso
nell'ordinanza di rimessione ) la questione del patto traslativo
d'imposta non espressamente vietato da specifiche norme di legge (al
riguardo, oltre alla disciplina dell'INVIM sopra richiamata, va fatto in
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
particolare richiamo all'art 40 L. n. 246 del 1963, prevendente la
sanzione della nullità per i patti diretti a trasferire l'onere fiscale ad
altri che non siano i soggetti del contributo di miglioria; all'art. 18
d.p.r. n. 633 del 1972, sull'I.V.A.; all'art. 16 d.p.r. n. 643 del 1972, in
tema di imposta sugli spettacoli; all'art. 60 d.p.r. n. 634 del 1972, in
tema di imposta di registro; all'art. 23 d.p.r. n. 642 del 1972, in tema
di imposta di bollo; agli artt. 23, 24, 25, 25 bis, 26, 27, 28 d.p.r. n.
600 del 1973, per le imposte dirette) rimane invero estranea alla
normativa comunitaria, attenendo alla mera disciplina interna [ come
risulta confermato in particolare da Corte Giust., 16/1/2014, n. 226
(C - 226/12) e da Corte Giust., 6/11/2011, n. 398 ( C - 398/09 ), ove
tale patto si è ritenuto di per sé non in contrasto con la normativa
comunitaria, potendo assumere viceversa rilievo in caso di violazione
di altri principi o norme, come ad esempio nell'ipotesi in cui esso
determini un abusivo squilibrio nei contratti dei consumatori o integri
l'abuso del diritto ( in ordine al quale v. Corte Giust., 21/2/2006, C -
255/02 ) ].
La tematica della traslazione dell'imposta è stata in particolare
affrontata da queste Sezioni Unite in due pronunzie, emesse
entrambe ( in relazione a contratto di mutuo ) nel 1985.
Con la prima di tali pronunzie si è in particolare affermato che è
nulla - sia ai sensi dell'art. 1418,
10
co., c.c. che per contrasto con
l'art. 53 Cost. -, la clausola con la quale -sia pure con effetti limitati al
rapporto fra le parti- venga convenuta l'imposizione a carico del
mutuatario di quanto il mutuante è tenuto a versare all'erario ( nel
caso, per IRPEG ed ILOR ) in ragione dello stipulato contratto, stante
l'immediato valore vincolante del principio del concorso di tutti alle
spese pubbliche alla stregua della rispettiva capacità contributiva
fissato dalla norma costituzionale, che si traduce nel divieto
inderogabile per il debitore d'imposta -sia diretta che indiretta- di
riversare il relativo onere su un altro soggetto, e quindi su un
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
patrimonio diverso da quello rispetto al quale è contemplato il
prelievo fiscale ( v. Cass., Sez. Un., 5/1/1985, n. 5 ).
Nell'occasione le Sezioni Unite hanno argomentato dal rilievo
che in base alla previsione di cui all'art. 53 Cost. tutti sono tenuti a
concorrere alla spesa pubblica in ragione della rispettiva capacità
contributiva, e secondo il criterio della progressività dell'imposta.
Il sacrificio economico derivante dal pagamento del tributo, e
cioè la riduzione patrimoniale conseguente all'adempimento, deve -si
è precisato- essere sopportato
effettivamente
e
definitivamente
dal
soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l'obbligazione, e non
già da altri, l'art. 53 Cost. esigendo che ad una determinata capacità
contributiva faccia seguito l'adempimento del dovere di concorrere
alla spesa pubblica, ed escludendo che tale obbligo possa sorgere in
capo a soggetto privo di capacità contributiva; come pure che un
soggetto possa accollarsi -anche di fatto- il carico contributivo altrui,
essendo contrario all'interesse della collettività che il concorso alla
spesa pubblica gravi -anche di fatto- su soggetto diverso da colui che
vi è tenuto
ex lege,
in quanto ogni soggetto dotato di capacità
contributiva deve in misura corrispondente contribuire personalmente
al costo dei servizi e dei vantaggi sociali.
Si è ulteriormente avvertito che nelle imposte
dirette (
in
particolare, IRPEG e ILOR ) la correlazione con la capacità
contributiva è immediata, sicché più pressante è l'esigenza che il
tributo incida effettivamente sul soggetto obbligato per legge, e non
su soggetti diversi; segnalandosi essere la rivalsa obbligatoria lo
strumento idoneo a far concorrere alla spesa pubblica il titolare della
capacità contributiva ogniqualvolta altri adempia alla correlata
obbligazione tributaria ( es., sostituto d'imposta).
La nullità del patto volto a trasferire ( sia pure senza efficacia
nei confronti dello Stato ) su altri il peso del proprio dovere di
solidarietà sociale di concorrere alla spesa pubblica si è ravvisato
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
trovare ragione nella circostanza che, pur giovandosi dei vantaggi e
dei benefici della vita associata, il soggetto obbligato
ex lege
in tal
modo sottrae la propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà
e di perequazione.
Nel considerare inammissibile il patto traslativo d'imposta, in
quanto idoneo a consentire al soggetto tenutovi per legge di giovarsi
«dei vantaggi e dei benefici della vita associata» sottraendo «la
propria ricchezza alle limitazioni sociali di solidarietà e di
perequazione», con la sentenza n. 5 del 1985 le Sezioni Unite di
questa Corte hanno dunque considerato in
termini generali «vietato
e
nullo
( ai sensi dell'art. 1418, 1° comma, c.c. e per contrasto con
l'art. 53 Cost.>> )
qualunque patto «con il quale un soggetto,
ancorché senza effetti nei confronti dell'erario,
riversi su altro
soegetto,
pur se diverso dal sostituto, dal responsabile d'imposta e
dal cosiddetto contribuente di fatto il
peso
della
propria imposta,
sia
che si tratti d'imposta diretta che di imposta indiretta».
Con la sentenza n. 6445 del 1985 le Sezioni Unite di questa
Corte hanno diversamente affermato che il patto traslativo d'imposta
<
nullo
per illiceità della causa contraria all'ordine pubblico solo
quando
esso
comporti
che effettivamente
l'imposta non
venga
corrisposta
al
fisco
dal
percettore
del reddito>>.
Ipotesi che si verifica «nelle ipotesi di rivalsa facoltativa,
quando il sostituto viene a perdere la qualità tipica di mero
anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, né recuperato dal
sostituto medesimo, sicché effettivamente il dovere tributario non
viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del
contribuente». Non anche, nell'ipotesi in cui «l'imposta è stata
regolarmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco,
allorquando cioè l'obbligazione di cui si stipula l'accollo non ha per
oggetto direttamente il tributo, né mira a stabilire che esso debba
essere pagato da soggetto diverso dal contribuente», ma
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
«riguarda ... una somma di importo pari al tributo dovuto ed ha la
funzione di integrare il "prezzo" della prestazione negoziale».
Pur pervenendo a soluzione opposta a quella raggiunta nella
sentenza n. 5 del 1985, in quest'ultima pronunzia le Sezioni Unite
hanno posto invero a relativo fondamento gli stessi presupposti
argomentativi della precedente, ribadendone la validità.
In particolare, hanno confermato «il carattere di centralità che
il dovere tributario è venuto assumendo nella Costituzione
repubblicana», il cui art. 53 «si pone come fonte immediata ed
imperativa la cui violazione può comportare la sanzione della nullità
delle manifestazioni di autonomia negoziale con esso confliggenti>>.
Hanno sottolineato che l'«autonomia privata non può alterare
i connotati dei tributi
diretti,
strutturati in modo che "ad ogni capacità
contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del
patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa" ( per
mutuare l'espressione alla sentenza n. 5 del 1985, cit. ), poiché, alla
stregua dei principi scaturenti dal coordinamento degli artt. 2 e 53 la
Costituzione esige che quel concorso, imposto al contribuente, incida
sul suo patrimonio».
Hanno ulteriormente posto in rilievo che nel «vigente sistema
costituzionale tributario non basta oggettivamente che sia soddisfatta
l'obbligazione verso il fisco, ma occorre altresì che tale obbligazione
sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla a cui carico gli
artt. 53 e 2 cost. pongono un dovere ribadito dall'art. 1 della legge
della legge sul contenzioso tributario.
La prestazione imposta di carattere tributario postula infatti che
«una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato
soggetto» individuato dalla legge come «soggetto passivo del
tributo», con «correlativo sacrificio personale».
Avvertendo la necessità di mantenere «fermo il discorso di
fondo sulla portata dell'art. 53 cost. e sulla sua attitudine a porsi
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
come norma imperativa preclusiva di atti negoziali che ne comportino
l'elusione», queste Sezioni Unite hanno nell'occasione evidenziato
come sia la rivalsa a rendere invero «neutrale» la tassazione in
testa al sostituto, «presentandosi come un credito del ... medesimo
verso il contribuente pari alla somma di cui egli è debitore verso il
fisco ( e che ha già corrisposto )», pervenendo quindi a concludere
che «una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita,
comporterebbe l'effetto di alterare immediatamente e direttamente il
carico tributario perché il patrimonio del contribuente non verrebbe
inciso, non verificandosi da parte sua quell'esborso verso il fisco che
realizza il doveroso carico tributario e non presentandosi qui con
effetto compensativo l'incremento tassabile che ne consegue poiché
tale ulteriore tassazione non vale a ripristinare il vuoto contributivo
da cui è conseguito l'aumento di reddito, non essendo omologhe le
situazioni in raffronto».
Hanno quindi ritenuto che «con il contratto di locazione qui in
esame le parti, sia pure con due distinte clausole contrattuali, hanno
voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti,
rappresentate l'una dalla parte espressamente qualificata come tale
ed oggetto della pattuizione contenuta nell'art. 4 e l'altra come
componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione
specificamente oggetto della domanda di nullità qui azionata ( art.
7.2.(i))».
Il principio delineato da Cass., Sez. Un., n. 6445 del 1985,
condiviso dalla dottrina maggioritaria, ha successivamente ricevuto
costante conferma da parte di questa Corte, venendo a costituire
principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass.,
3/6/1991, n. 6232, con riferimento al contratto di mutuo; Cass.,
25/3/1995, n. 3577, relativamente all'imposta sulla pubblicità; Cass.,
27/11/1999, n. 13261, in tema di intestazione fiduciaria di azioni;
Cass., 29/11/2004, n. 22369, in ordine a contratto di locazione di
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
immobile ad uso diverso da abitazione contemplante canone
comprensivo anche degli oneri accessori; Cass., 18/11/2009, n.
24307, in tema di imposta sulla pubblicità; Cass., 25/2/2015, n.
3770, relativamente contratto di mutuo; Cass., 8/2/2016, n. 2412, in
ordine a rapporto concessorio inerente alla gestione dei parchimetri di
Roma).
Solamente in qualche pronunzia, in tema di imposte dirette, si è
affermata la nullità dell'accollo delle imposte dovute sul reddito [v.
Cass., Sez. Un., 23/4/1987, n. 3935 e Cass., Sez. Un., 26/6/1987, n.
5652, con riferimento ad accordi che esentino il lavoratore
dipendente dalle ritenute del datore di lavoro a titolo di IRPEF. Cfr.
altresì Cass., 29/5/1993, n. 6037, ove si peraltro precisato che la
clausola che obblighi il mutuatario a rimborsare al mutuante le
imposte dell'I.R.P.E.G. ed I.L.O.R., gravanti sul secondo, in relazione
agli interessi percepiti sulla somma mutuata, è nulla per violazione di
norme imperative di cui agli artt. 26 e 64 d.p.r. n. 600 del 1973, nel
caso in cui il mutuatario ( nell'ipotesi, società cooperativa ) rientri tra
i soggetti che, quali "sostituti" d'imposta sono obbligati ad effettuare
una ritenuta, a titolo di acconto e con obbligo di rivalsa, sui redditi da
capitale corrisposti ( art. 23, 1° co., d.p.r. n. 600 del 1973 ), atteso
che l'obbligo di rivalsa è espressione del principio che tutta l'imposta
deve restare a carico del percettore del reddito ("sostituto"
d'imposta) -principio applicabile, altresì, in tema di pagamento
dell'I.L.O.R., trattandosi di imposta diretta, che non può ricadere su
soggetto diverso dal possessore del patrimonio rappresentante la
base per la determinazione della capacità contributiva-, e non può
essere aggirato con la detta clausola, la quale obbliga il mutuatario a
corrispondere al mutuante, sotto forma di rimborso dei tributi, un
ulteriore reddito ( a sua volta imponibile, ma ignoto al fisco )].
Orbene, il Collegio ritiene che le doglianze mosse dall'odierna
ricorrente avverso l'impugnata sentenza non siano idonee a revocare
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
in dubbio la correttezza della soluzione raggiunta nel 1985, e non
inducano a dover rimeditare un orientamento interpretativo che al
contrario merita di essere ulteriormente confermato.
La clausola contrattuale di cui all'art. 7.2 in argomento è stata
nell'impugnata sentenza intesa come prevedente un'ulteriore voce o
componente ( la somma corrispondente a quella degli assolti oneri
tributari ) costituente
integrazione
del canone locativo, concorrendo a
determinarne l'ammontare complessivo a tale titolo dovuto dalla
conduttrice.
Orbene, tale clausola risulta dalla corte di merito nell'impugnata
sentenza correttamente interpretata, alla stregua dei principi posti a
fondamento del suindicato consolidato orientamento.
In particolare là dove, dopo aver premesso che il legislatore ha
«ritenuto di vincolare l'autonomia negoziale dei contraenti soltanto
per quanto attinente alla durata del contratto, alla tutela
dell'avviamento e alla prelazione, mentre l'ammontare del canone
locativo è lasciato alla libera determinazione delle parti, che possono
ben prevedere l'obbligazione di pagamento per oneri accessori»,
tale giudice, movendo dal dato letterale ( in particolare avvertendo
che la parola <
rimborso» o «una diversa forma di pagamento variamente posta
a carico del conduttore» ) ha riguardato la clausola
de qua
alla
stregua del complessivo tenore del contratto, al riguardo ponendo in
rilievo come con «due distinte clausole contrattuali» di un
«unico atto», le parti abbiano nella specie inteso «determinare
il canone in due diverse componenti, rappresentate l'una dalla parte
espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione
contenuta nell'art. 4», e l'altra «come componente integrante tale
misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della
domanda di nullità qui azionata ( art. 7.2 (i))».
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Ancora, nella parte in cui ha sottolineato che tale pattuizione in
realtà trae origine dalle «negoziazioni intercorse tra le parti,
sfociate nell'operazione di
safe and lease back (
in cui si inserisce il
rapporto di locazione per cui è causa )», nel cui quadro «il
Consorzio Predica ( Crédit Agricole ) - Generali formulava una offerta
economica che prevedeva espressamente che ogni imposta
immobiliare avrebbe dovuto rimanere a carico del conduttore», che
veniva accettata, «in quanto era la più conveniente tra quelle
pervenute», e quindi trasfusa «nel contratto quadro ... che
annoverava tra i propri allegati la bozza del contratto>>.
Là dove ha ulteriormente posto in rilievo che la stessa
previsione della «fatturazione del rimborso degli oneri per imposte
di cui al citato art. 7.2 (i)» risulta invero coerente «con la natura
di rimborso di tale componente del canone, poiché è ben vero che le
relative imposte sono pur sempre sostenute dal proprietario
dell'immobile e l'ente impositore ( Stato, Comune o altro ) individua
in esso il soggetto che è tenuto a farvi fronte, ma questo si
disinteressa se poi, per accordo privato, i contraenti scelgano di
operare un rimborso» ( sottolineando che in tal senso deve
interpretarsi l'uso della parola "manlevare" ) o «una diversa forma
di pagamento variamente posta a carico del conduttore».
Al dato letterale della clausola la corte di merito ha dunque
attribuito significato -come detto- alla luce delle pregresse trattative,
nonché, e primieramente, dell'interesse pratico che con la
stipulazione e la specifica previsione in argomento le parti hanno nella
specie inteso in concreto realizzare.
A tale stregua, diversamente da quando sostenuto dall'odierna
ricorrente, la corte di merito ha fatto invero piena e corretta
applicazione del principio affermato da questa Corte in base al quale
ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e
principale strumento rappresentato dal senso letterale delle parole e
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
delle espressioni utilizzate va invero verificato alla luce dell'intero
contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate
in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai
sensi dell'art. 1363 c.c., giacché per senso letterale delle parole va
intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in
ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una
parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di
più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e
parole al fine di chiarirne il significato ( v. Cass., 28/8/2007, n. 828;
Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626 ).
Questa Corte, ha già avuto più volte modo di sottolineare,
superando il c.d. principio del gradualismo, come nella ricerca della
reale o effettiva volontà delle parti il criterio letterale vada invero
riguardato alla stregua degli ulteriori criteri legali d'interpretazione, e
in particolare dei criteri ( quali primari criteri d'interpretazione
soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 6/12/2018, n.
31574; Cass., 13/11/2018, n. 29016; Cass., 30/10/2018, n. 27444;
Cass., 12/6/2018, n. 15186; Cass., 19/3/2018, n. 6675. V. altresì
Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass.,
23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento
agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006 ) dell'interpretazione
funzionale ex art. 1369 c.c. (che consente di accertare il significato
dell'accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o
causa concreta: cfr. Cass., 13/11/2018, n. 29016) e
dell'interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366
c.c. [ che quale criterio d'interpretazione del contratto -fondato
sull'esigenza definita in dottrina di "solidarietà contrattuale"- si
specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non
suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel
non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella
controparte ( v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n.
,
Ric. 2016 n. 01466 sez. SU - ud. 27-03-2018
-25-
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628 ),
non consentendo di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle
espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non
rispondenti alle intese raggiunte ( v. Cass., 23/5/2011, n. 11295 ) e
deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o
causa concreta dell'accordo negoziale ( cfr., con riferimento alla causa
concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un.,
18/2/2010, n. 3947 ) ].
Orbene, correttamente la corte di merito ha nell'impugnata
sentenza interpretato la clausola contrattuale in argomento alla luce
della ragione pratica dell'accordo e del contratto, in coerenza con gli
interessi che le parti hanno cioè nel caso specificamente inteso
tutelare mediante lo stipulato contratto ( v. Cass., 22/11/2016, n.
23701 ), convenzionalmente determinando la regola volta a
disciplinare il loro rapporto negoziale ( art. 1372 c.c. ).
E' infine appena il caso di osservare che, trattandosi di canone
di locazione
ab origine
realmente pattuito, risulta nel caso invero non
integrata la violazione del divieto posto all'art. 79 I. loc., (anche) alla
stregua dell'interpretazione offertane dalla recente pronunzia di
queste Sezioni Unite ove si è affermato essere insanabilmente nullo il
patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad
uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a
quello dichiarato, a prescindere dall'avvenuta registrazione ( v. Cass.,
Sez. Un., 9/10/2017, n. 23601 ).
All'infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi per disporsi
la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio
di cassazione.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Ai sensi dell'art. 13, co.
1-quater,
come modif. dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della
ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello rispettivamente dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis
dello stesso art. 13.
Roma, 27/3/2018
Il Consigliere estensore
Il Presidente
é
-
Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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