Lo sciopero dei pubblici dipendenti
Autore | Umberto Carabelli - Maria Teresa Carinci |
Pagine | 351-359 |
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@26.1. Lo sciopero come diritto costituzionalmente garantito
In Italia lo sciopero è un diritto costituzionalmente garantito (art. 40 Cost.) di cui è titolare il singolo lavoratore, benché il suo esercizio sia necessariamente collettivo. L’esercizio del diritto costituzionale di sciopero, oltre ad escludere qualsivoglia responsabilità penale dei lavoratori, produce, come effetto giuridico, sul piano del diritto civile, l’automatica sospensione del rapporto di lavoro: il lavoratore che aderisce allo sciopero può legittimamente rifiutare di prestare lavoro e il datore di lavoro può legittimamente sospendere il pagamento della retribuzione.
La Costituzione non garantisce, invece, un corrispondente diritto di serrata: essa va considerata semplicemente come una manifestazione della libertà di iniziativa econo- mica di cui all’art. 41 Cost. Ciò significa che la serrata non sospende il rapporto di lavoro, ma costituisce un rifiuto di ricevere la prestazione, la cui legittimità va valutata alla luce della normativa civilistica in materia di contratti ed obbligazioni (mora credendi). Non vige, dunque, nel nostro ordinamento la c.d. parità delle armi.
Ai sensi dell’art. 40 Cost. «il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano». L’esplicito rinvio della norma costituzionale alla legge ordinaria non ha impedito alla giurisprudenza di affermare che la predetta norma è direttamente applicabile anche nei rapporti tra soggetti privati1.
Il rinvio alla legislazione ordinaria contenuto nell’art. 40 ha sollevato in primo luogo il problema della compatibilità della legislazione restrittiva in vigore all’epoca dell’entrata in vigore della Costituzione (1948) con il diritto costituzionale di sciopero. In particolare la questione riguardava le norme del codice penale del 1930 che, in conformità all’impostazione corporativo-fascista che lo caratterizzava, puniva come reato (artt. 502 e ss. cod. pen.) qualunque forma di autotutela sia dei lavoratori che dei datori di lavoro, sanzionando in modo più grave lo sciopero dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio, anche se dipendenti da imprese private (art. 330 cod. pen.). Orbene, invece di dichiarare abrogate tali norme per incompatibilità con il nuovo testo costituzionale, la Corte costituzionale ha preferito operare selettivamente, valutando volta a volta la conformità di ciascuna di esse con il diritto di sciopero costituzionalmente garantito. Essa ha così emesso una serie di sentenze c.d. manipolative, di rigetto e di accoglimento, contribuendo per tal via a precisare il fondamento, il contenuto e i limiti del diritto di sciopero.
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@26.2. L’elaborazione della Corte costituzionale
Da questo punto di vista, di grande rilievo è stata, in primo luogo, la differenziazione tra lo sciopero per fini contrattuali e lo sciopero per fini non contrattuali.
@@26.2.1. Lo sciopero per fini contrattuali
Quanto allo sciopero per fini contrattuali, la Corte costituzionale, già nel 1960, con una delle prime sentenze in materia, ne ha affermato la piena legittimità sul piano tanto penale che civile, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 502 cod. pen., che lo vietava, per contrasto con l’art. 40 Cost.2
@@26.2.2. Lo sciopero per fini non contrattuali
Successivamente, in occasione dei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 503 e 504 cod. pen. – i quali vietano rispettivamente lo sciopero per fini politici ed il similare sciopero di coazione della pubblica autorità –, la Corte ha affrontato il problema della legittimità dello sciopero per fini non contrattuali procedendo con sottile argomentazione ad una differenziazione tra lo sciopero per fini economico-politici e lo sciopero politico in senso stretto.
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In merito allo sciopero per fini economico-politici, essa ha chiarito che un’astensione dal lavoro costituisce esercizio del diritto di sciopero tutelato dall’art. 40 Cost. anche quando venga effettuata in funzione di rivendicazioni «riguardanti il complesso degli interessi dei lavoratori che trovano disciplina nelle norme sotto il titolo terzo della parte prima della Costituzione»3, e sia dunque rivolta «ad ottenere – o a contrastare – interventi della pubblica autorità che riguardino le condizioni socio-economiche dei lavoratori»4 (si pensi, ad es., ad uno sciopero per la riforma del sistema pensionistico).
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In relazione allo sciopero politico in senso stretto, invece, la Consulta5 ha affermato che un’astensione dal lavoro per fini puramente politici (ad. es. contro un intervento militare all’estero), non avendo l’obiettivo di tutelare interessi economico-professionali dei lavoratori, non può essere qualificata come esercizio del diritto costituzionale di sciopero. Ciò premesso, peraltro, ha introdotto un’ulteriore differenziazione:
– in linea generale, in quanto manifestazione idonea «a favorire il perseguimento dei fini di cui al secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione» (cioè la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, sociale ed economica del paese), una siffatta astensione trova comunque protezione nei generali principi di libertà dell’ordinamento repubblicano6;
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– per altro verso, esiste tuttora una residua area di astensioni dal lavoro per fini politici penalmente vietate, e cioè quelle dirette «a sovvertire l’ordinamento costituzionale», ovvero quelle che «oltrepassando i limiti di una legittima forma di pressione, si converta[no] in uno strumento diretto ad impedire od ostacolare il libero esercizio di quei diritti e poteri nei quali si esprime direttamente o indirettamente la sovranità popolare»: proprio per il loro contrasto con valori fondamentali dell’ordinamento, esse continuano ad essere altresì punibili ai sensi degli artt. 503 e 504 cod. pen. (i quali, in tal senso, sono stati dichiarati solo parzialmente incostituzionali).
Lo sciopero politico e economico-politico non va confuso con lo sciopero generale. Quest’ultima qualificazione, infatti, riguarda la platea dei lavoratori chiamati allo sciopero, mentre la qualificazione dello stesso come politico o economico-politico attiene alla natura delle rivendicazioni sostenute con l’azione di autotutela. Quindi uno sciopero generale può essere politico, economico-politico e persino contrattuale.
La Corte costituzionale si è poi interessata anche al cd. sciopero di solidarietà, vietato dall’art. 505 cod. pen.7. pure in questo caso essa ha conservato in vita la norma penale, escludendo peraltro la punibilità di coloro che scioperano per solidarietà con altri lavoratori nei casi in cui il giudice accerti «l’affinità delle esigenze che motivano l’agitazione degli uni e degli altri, tale da fare fondatamente ritenere che senza l’asso ciazione di tutti in uno sforzo comune esse rischiano di rimanere insoddisfatte».
Un altro aspetto che va evidenziato nel valutare nel loro complesso queste e le altre sentenze della Corte costituzionale in materia (riguardanti, tra l’altro, anche lo sciopero dei pubblici dipendenti, v. § 26.4), è che esse hanno chiarito come il diritto di sciopero, per quanto tutelato dall’art. 40 Cost., sia soggetto a limiti esterni, nel senso che esso deve essere contemperato con altri diritti di pari...
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