La contrattazione collettiva nel settore pubblico

AutoreUmberto Carabelli - Maria Teresa Carinci
Pagine307- 336

Page 307

@23.1. Le competenze della legge e della contrattazione collettiva nella regolamentazione del lavoro pubblico

Chi, alle soglie del 2009, si fosse accinto ad esaminare criticamente il sistema di contrattazione collettiva, quale evolutosi dopo il completamento del processo di ‘privatizzazione’ e contrattualizzazione del lavoro pubblico del biennio 1997-1998, avrebbe potuto rilevare come l’obiettivo dell’omologazione normativa con il settore privato, perseguito dal legislatore dalla prima e seconda fase della riforma, risultasse solo parzialmente raggiunto, per il permanere ancora di alcune differenze basilari di disciplina.

Nel settore privato, dall’entrata in vigore della Costituzione (1948) fino ad oggi, le relazioni sindacali si sono svolte in una situazione di completa assenza di una norma- tiva legale: sono le parti sociali stesse a determinare gli assetti e le regole della contrattazione collettiva. Nel settore pubblico, invece, anche dopo vari anni dall’inizio della riforma, fonte legislativa e contrattazione collettiva continuavano ad intrecciarsi nella disciplina del sistema contrattuale: nonostante l’ampio riconoscimento del ruolo della contrattazione collettiva (non solo nella disciplina del rapporto di lavoro, ma anche) in materia di relazioni sindacali, le regole generali concernenti il sistema contrattuale erano poste direttamente dal legislatore.

Con la riforma introdotta dal D.Lgs. n. 150/2009, in attuazione delle previsioni della legge delega n. 15/2009, l’obiettivo perseguito dell’omologazione normativa con il settore privato, per quanto formalmente ribadito dal legislatore1, diventa in realtà ancora più irraggiungibile sul piano della effettività, dato che, a seguito della stessa riforma, gli spazi regolativi riconosciuti in materia di sistema contrattuale alla fonte eteronoma si accrescono sensibilmente a discapito di quella negoziale.

L’attuale cornice legale continua ad essere costituita dalle previsioni contenute negli artt. 40 e ss. del D.Lgs. n. 165/20012, nel testo risultante dalle modifiche e dalle Page 308 integrazioni recate dalla normativa del 2009, le quali evidenziano quella tendenza di fondo della nuova riforma ad una sensibile rilegificazione della disciplina del rapporto di lavoro pubblico – di cui si è già parlato in precedenza (v. § 2.5.3) – tendenza che, per quanto qui più interessa, investe, con diversa intensità, anche i vari elementi che compongono la struttura della contrattazione.

Si tratta di previsioni che talora recano una disciplina organica e completa di un determinato aspetto del sistema contrattuale (ad esempio in materia di soggetti e di procedure della contrattazione); mentre altre volte hanno un contenuto più limitato in quanto, pur fornendo alcune indicazioni per orientare (e in qualche caso anche per limitare) le scelte delle parti negoziali, rinviano ad esse la regolamentazione di una materia (ad esempio, in tema di struttura della contrattazione).

Anche grazie a questi rinvii legali, si può affermare che le parti sociali restano comunque investite di adeguati spazi di autonomia. E d’altronde, la normativa del 2009, nel definire in positivo le competenze della contrattazione collettiva (sia nazionale che integrativa), ha ribadito, all’art. 40, co. 1, D.Lgs. n. 165/2001, il principio generale che «la contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sindacali».

Tuttavia, a differenza del passato, essa ha altresì precisato esplicitamente le materie rispetto alle quali è del tutto esclusa la possibilità (e dunque legittimità) di un suo intervento regolativo3:

– anzitutto le materie indicate nell’art. 1, co. 2, lett. c, L. n. 421/19924;

– in secondo luogo quelle attinenti alla organizzazione degli uffici, quelle previste come oggetto di partecipazione sindacale, ai sensi dell’art. 9 del D.Lgs. n.165/2001, nonché quelle afferenti alle prerogative dirigenziali, individuate sulla base delle previsioni degli artt. 5, co. 2, 16 e 17 del medesimo decreto (v. § 2.5.3).

Accanto a queste materie, del tutto escluse da negoziazione, ve ne sono altre le quali, come si è appena accennato, per la rilevanza che assumono sotto il profilo organizzativo e gestionale, formano oggetto di una precisa ed articolata regolamentazione da parte della legge (a differenza di ciò che avviene nel settore del lavoro privato, dove esse sono prevalentemente, se non completamente, demandate alla contrattazione collettiva), anche se, nell’ambito di ciascuna di esse, il legislatore ha individuato gli spazi nei quali può comunque svolgersi la contrattazione collettiva, ovviamente nel rispetto Page 309 dei precisi confini da esso direttamente stabiliti: «nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge»5.

Ciò detto, va sottolineato che, al fine di garantire l’effettività della ripartizione tra la competenza della legge e quella della contrattazione collettiva, il legislatore ha previsto il particolare meccanismo sanzionatorio incentrato sulle previsioni degli artt. 1339 e 1419, co. 2, del codice civile, concernenti rispettivamente la sostituzione auto- matica delle clausole dei contratti con le norme di legge imperative eventualmente violate e gli effetti della nullità parziale del contratto6 (v. § 2.5.4).

Concludendo queste considerazioni iniziali, merita, infine, di essere ancora segnalato come, a maggior ragione dopo le novità introdotte dalla riforma del 2009, resta ancora aperto il problema della conformità della disciplina legale in materia di contrattazione nel settore pubblico con la libertà sindacale sancita dall’art. 39 Cost.; ma anche su questo aspetto ci si è già soffermati in precedenza (v. § 2.3.2).

@23.2. La struttura della contrattazione collettiva

@@23.2.1. Profili generali

La legge sembra individuare la fonte regolativa della struttura contrattuale esclusivamente nella contrattazione collettiva: il principio fondamentale in materia è che sono le parti negoziali a regolare, nella loro autonomia e libertà, la concreta articolazione del sistema contrattuale (come d’altronde avviene nell’ambito del lavoro privato). sempre ai sensi dell’art. 40, D.Lgs. n. 165/2001, spetta così alla contrattazione definire i c.d. comparti, i quali rappresentano l’ambito applicativo del contratto collettivo nazionale e l’ambito delle aree di contrattazione della dirigenza (co. 2), nonché i diver- si livelli contrattuali ed i relativi rapporti e la durata dei contratti collettivi nazionali ed integrativi (l’unico limite, a questo riguardo, è costituito dal vincolo, imposto all’autonomia collettiva, della «coerenza con il settore privato») (co. 3).

Peraltro, nonostante il rinvio alla contrattazione collettiva anche in materia di determinazione dei livelli di contrattazione, il legislatore fornisce un’indicazione diretta, individuando due livelli di contrattazione: quello nazionale e quello integrativo (anche di livello territoriale). Ulteriori indicazioni legislative riguardano, poi, anche la deter- minazione dei comparti e delle aree di contrattazione della dirigenza nonché la durata dei contratti collettivi.

@@23.2.2. Gli accordi quadro

Un primo particolare tipo di contratti collettivi nazionali è rappresentato dai contratti collettivi quadro7, cui compete la funzione di regolare una determinata materia o Page 310 un determinato istituto in modo uniforme per il personale di più comparti di contrattazione (o anche di più aree dirigenziali, per coerenza di sistema, anche se manca un riferimento espresso in tal senso nella legge): spetta alla stessa autonomia collettiva decidere in ordine sia alla attivazione di tale tipologia contrattuale sia alla determinazione del loro ambito di applicazione.

Un particolare tipo di accordo quadro è quello volto a definire o modificare i comparti o le aree di contrattazione collettiva, di cui si dirà tra breve (v. § 23.2.3).

Il contratto quadro viene negoziato e stipulato tra l’ARAN e le confederazioni rappresentative e non ha una periodicità fissa, in quanto si collega piuttosto ad inter- venti dilazionati nel tempo, con intervalli non necessariamente regolari.

@@23.2.3. Il contratto collettivo nazionale di comparto

Il contratto collettivo nazionale di comparto rappresenta ancora il baricentro del sistema contrattuale pubblico. Ad esso è attribuito, infatti, il compito di definire il trattamento normativo ed economico standard di tutti i lavoratori pubblici che sono destinatari delle sue prescrizioni.

L’ambito soggettivo di applicazione di questo contratto si identifica, appunto, con il comparto, che, sotto il profilo funzionale, rappresenta, per il lavoro pubblico, l’equivalente delle categorie merceologiche proprie della contrattazione del settore privato.

Fino ad oggi i dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono stati raggruppati in dieci comparti di contrattazione collettiva8. Il nuovo art. 40, co. 2 stabilisce ora che i comparti di contrattazione complessivamente non potranno essere superiori a quattro, demandandone ancora una volta la definizione a specifici accordi quadro, stipulati dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN: v. § 23.3.1.1) e dalle confederazioni sindacali rappresentative. Alla contrattazione collettiva spetta altresì la definizione della composizione interna di ciascun singolo comparto9: in tale attività negoziale le parti godono della più ampia autonomia, dato il venir meno del precedente limite legale per cui i comparti dovevano essere definiti con riferimento a ‘settori omogenei ed affini’. I comparti definiti dall’autonomia collettiva Page 311 come unità contrattuali, sono poi utilizzati dalla legge come ambito di riferimento per la...

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