Il principio di offensività alla luce della giurisprudenza costituzionale

AutoreFederico Piccichè
Pagine352-358

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@1. Le sentenze della Consulta che trattano del principio di offensività

Del principio di offensività, in diritto penale, la Corte costituzionale si è più volte occupata e lo ha fatto con alcune significative decisioni1, che coprono un periodo di oltre venti anni, da ripercorrere, seppure sommariamente, al fine di comprendere la sostanza del contributo inter- pretativo che da esse si può ricavare.

@@a) Sentenza n. 62, anno 1986

Con ordinanza emessa il 10 aprile 1978, nel corso di un procedimento penale in cui l’imputato era accusato di avere detenuto modicissime quantità di clorato di potassio e di polvere da sparo, il Giudice istruttore del Tribunale di Bolzano dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), modificato dall’art. 10 della legge 14 ottobre 1974, n. 497 (Nuove norme contro la criminalità), nella parte in cui la detenzione illegale di esplosivi di ogni genere è punita con la pena della reclusione da uno a otto anni e della multa da L. 200.000 a L. 1.500.000.

In particolare, fra i diversi profili, sollevati dal Giudice a quo, di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, spiccava quello secondo cui “un concetto astratto di esplosivo, senza l’indicazione di quantitativi minimi da non considerarsi rilevanti ai fini della sicurezza pubblica e degli scopi della legge stessa, renderebbe impossibile un concreto adeguamento della norma alla gravità delle fatti- specie e dei comportamenti”.

Il Giudice delle Leggi risolveva il problema introducendo il principio di offensività, usando parole che sarebbero divenute, sull’argomento, un incrollabile punto di riferimento per tutte le decisioni future: “Può certo discutersi sulla costituzionalizzazione o meno del principio d’offensività: ma che lo stesso principio debba reggere ogni inter- pretazione di norme penali è ormai canone unanimemente accettato. Spetta al giudice, dopo aver ricavato dal sistema tutto e dalla norma particolare interpretata, il bene od i beni tutelati attraverso l’incriminazione d’una determinata fattispecie tipica, determinare, in concreto, ciò (= il quantitativo minimo d’esplosivo) che, non raggiungendo la soglia dell’offensività dei beni in discussione, è fuori del penalmente rilevante. Non è certo consentito a questa Corte prendere posizione sul significato, nel sistema, del reato impossibile: se cioè esso, nella forma dell’inidoneità, dell’azione, costituisca il rovescio degli atti idonei di cui all’art. 56 codice penale oppure sia espressione di un principio generale integratore del principio di tipicità formale di cui all’art. 1 del codice penale (oppure ancora esprima il così detto tentativo impossibile); ma, anche a voler tacere sulle discussioni in tema di così detta concezione realistica del reato, certo è che l’art. 49, secondo comma, codice penale non può non giovare all’interprete al fine di determinare, in concreto, la soglia del penalmente rilevante. È appunto compito del giudice, e non del legislatore, stabilire se una minima quantità d’esplosivo sia, nella concreta fattispecie, inidonea ad offendere i beni tutelati dalle normative in discussione: e per giungere alle conclusioni ora indicate il giudice non ha che da valersi di tutti gli strumenti ermeneutici che l’intero sistema offre”.

@@b) Sentenza n. 24, anno 1989

Con ordinanza emessa il 12 gennaio 1988, nel corso di un procedimento penale in cui l’imputato doveva rispondere del delitto di arbitrarie adunanze militari, il Tribunale militare di Padova dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 184, comma secondo, del Codice penale militare di pace.

Anche in questo caso, il Giudice a quo evidenziava “l’eccessività di una tutela addirittura penale nei riguardi di violazioni” che, come quella che caratterizzava il caso di specie, poteva in concreto considerarsi pacifica e innocua.

Restando fedele al principio di offensività, la Corte costituzionale scioglieva il nodo così argomentando: “Resta, però, il problema sollevato dall’ordinanza, giacché, nell’espressione letterale del dato testuale vengono ricomprese anche ipotesi che di quell’offensività sono prive, in quanto si presentano pacifiche e dirette a fini innocui che possono persino possedere un contenuto positivo. Ebbene, in tali casi, da vagliarsi volta per volta dal giudice di merito nel contesto delle concrete circostanze in cui il fatto si svolge, la soluzione è da ricreare sul piano interpretativo. Per il quale valgono sia l’evoluzione generale dell’esperienza giuridica circa taluni principi fondamentali del giure penale (esclusione di presunzioni di pericolosità, accertamento dell’offensività concreta di condotte tipiche etc.), sia la stessa giurisprudenza di questa Corte che ha legittimato talune situazioni che il codice penale militare incriminava. Così se risulta acclarato che la finalità dell’adunanza non aveva carattere ostile, ma soltanto quello di discutere iniziative comuni dirette a rappresentare ai superiori la necessità di migliorare il rancio, appare evidente che, proprio nella prospettiva di cui alla citata sentenza n. 126 del 1985 di questa Corte, la liceità penale Page 353dei fini si riverbera - come in tutte le riunioni di cui all’art. 17 della Costituzione - nella liceità stessa dell’adunanza”.

@@c) Sentenza n. 144, anno 1991

Con ordinanza emessa il 9 ottobre 1990, nel corso di un procedimento penale in cui l’imputato era accusato del reato di cui all’art. 2, ventiseiesimo comma, del decreto legge 19 dicembre 1984, n. 853, convertito in legge 17 febbraio 1985, n. 17, per aver effettuato, in regime forfettario d’IVA, acquisti non fatturati ai fini dell’imposta sul valore aggiunto senza avere provveduto tempestivamente alla successiva regolarizzazione fiscale, il Pretore di Lucca sollevava l’incidente di costituzionalità osservando, fra l’altro, che la norma oggetto di scrutinio, sancendo a discapito dei contribuenti in regime forfettario la rilevanza penale di qualsiasi acquisto effettuato senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, li esponeva al rischio di una sanzione penale anche a fronte di evasioni irrisorie.

Sempre mantenendosi fedele al principio di offensività, la Corte costituzionale rispondeva: “... va ricordato che, come già affermato da questa Corte (sent. n. 62 del 1986), il generale principio di offensività deve, comunque ed in ogni caso, ispirare il giudice del merito nell’interpretazione della norma incriminatrice ancorché questa non preveda una soglia minima di punibilità”.

@@d) Sentenza n. 333, anno 1991

Con alcune ordinanze, emesse nel corso di diversi procedimenti penali, in cui gli imputati erano stati chiamati a rispondere del reato di cui all’art. 71 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, come modificato dalla legge 26 giugno 1990, n. 162 per aver illecitamente detenute sostanze stupefacenti in misura superiore alla dose media giornaliera, i giudici rimettenti osservavano, in aggiunta a diversi altri profili di illegittimità, che gli artt. 71, 72 e 72 quater della legge n. 685 del 1975 (corrispondenti rispettivamente agli artt. 73, 75 e 78 del T.U. 9 ottobre 1990, n. 309) si ponevano in contrasto con il principio della necessaria offensività del reato in quanto, nel caso di detenzione per comprovato uso personale o di effettivo consumo personale di sostanze stupefacenti in quantità superiore alla dose media giornaliera, come era avvenuto nelle fattispecie sottoposte al loro esame, non sarebbe stata configurabile una lesione o una esposizione a pericolo di alcuno dei beni giuridici tutelati dalla norma penale.

La Corte costituzionale, in risposta, pur non ritenendo illogica la scelta del legislatore di fissare un limite al consumo personale di droga, ricorreva ad argomentazioni particolarmente significative, soprattutto in relazione all’ipotesi della eccedenza marginale rispetto alla dose media giornaliera predeterminata dal legislatore: “La anelasticità dell’attuale discrimine fra illecito penale e illecito amministrativo - identificato nella “dose media giornaliera” normativamente predeterminata in misura fissa per ciascun tipo di sostanza - può provocare il verificarsi di situazioni particolarmente delicate - di cui questa Corte si sente avvertita - in tutti i casi in cui l’eccedenza rispetto al limite di tolleranza si presenti in termini quantitativamente marginali o comunque modesti. È questo, peraltro, un conseguenziale effetto della scelta legislativa - in sé, come si è visto, non viziata da illegittimità costituzionale - di un limite obiettivo fisso, predeterminato con valenza generale. E se è innegabile che alla peculiarità della situazione verificantesi per il mero detentore nelle ipotesi di eccedenza marginale avrebbe potuto farsi corrispondere una configurazione della fattispecie criminosa più articolata rispetto a quella già adottata con la disposizione di cui all’art. 73, comma 5, t.u., cit., è anche vero che l’essersi il legislatore - fino ad oggi - diversamente determinato concretizza una scelta di politica criminale che (la si voglia oppur no condividere nel merito) rientra nella sua discrezionalità, e non presenta connotati di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà - gli unici censurabili da questa Corte in tema di individuazione della fattispecie (ord. n. 439/1987: sent. n. 132/1986; sent. n. 62/1986; sent. n. 126/1983) - trattandosi di scelta coerente con una delle plausibili conseguenze della predeterminazione normativa di un limite fisso. D’altra parte non può non tenersi conto, sempre sul piano del controllo di ragionevolezza, che il legislatore non ha comunque mancato di configurare una ipotesi di attenuante specifica ovvero di autonomo reato attenuato (questione interpretativa di cui non deve darsi conto in questa sede) riguardo ai fatti da ritenersi di “lieve entità” in considerazione, fra l’altro, proprio della quantità di sostanza detenuta. Rimane precipuo dovere del giudice di merito - nelle ipotesi...

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