n. 140 SENTENZA 9 giugno - 9 luglio 2015 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2-bis e 4-bis del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita' culturali e del turismo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 ottobre 2013, n. 112, promossi dalle Regioni Veneto e Campania con ricorsi entrambi notificati il 9 dicembre 2013, e depositati in cancelleria il 17 e il 18 dicembre 2013, rispettivamente iscritti ai nn. 101 e 102 del registro ricorsi 2013;

nonche' degli artt. 4 e 16, commi 5 e 6, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 luglio 2014, n. 106, promossi dalle Regioni Veneto e Campania, con ricorsi notificati il 29 settembre 2014 e il 29 settembre-6 ottobre 2014, depositati in cancelleria il 7 ed il 9 ottobre 2014, rispettivamente iscritti ai nn. 72 e 73 del registro ricorsi 2014. Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 giugno 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi gli avvocati Luigi Manzi, Ezio Zanon e Daniela Palumbo per la Regione Veneto, Almerina Bove per la Regione Campania e gli avvocati dello Stato Ettore Figliolia, Maria Gabriella Mangia e Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso notificato il 9 dicembre 2013 e depositato il successivo 17 dicembre (iscritto nel registro ricorsi del 2013 al n. 101), la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, ha proposto questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita' culturali e del turismo), introdotto dalla legge di conversione 7 ottobre 2013, n. 112. La norma censurata - che aggiunge il comma 1-bis al comma 1 dell'art. 52 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) - prevede che le Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e le Sovrintendenze, sentiti gli enti locali, adottino apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione delle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, quali le attivita' commerciali e artigianali in forma ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi altra attivita' non compatibile con tali esigenze. La Regione Veneto osserva, innanzitutto, che la formulazione dell'art. 52 del d.lgs. n. 42 del 2004, come modificato dal d.l. n. 91 del 2013 nel testo convertito in legge, presenta un doppio comma 1-bis, il primo dei quali introdotto dall'art. 2-bis della medesima legge di conversione ed il secondo dalla norma censurata. Orbene, per la ricorrente, l'armonia legislativa dei commi 1 e 1-bis del citato art. 52 (che attribuisce ai Comuni la competenza di individuare le aree pubbliche nelle quali imporre il divieto o limitazioni all'esercizio del commercio, per preminenti ragioni di tutela di beni o siti di valenza archeologica, storica, artistica e paesaggistica;

nonche' i locali da destinare ad attivita' di artigianato tradizionale ed altre attivita' commerciali tradizionali, con finalita' tutt'altro che impeditive, ma anzi promozionali) risulta «completamente stravolta» dalla norma censurata, che appunto, introduce un ulteriore comma 1-bis nell'art. 52 di contenuto diametralmente opposto a quello immediatamente precedente, assegnando una funzione di amministrazione attiva alle Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici ed alle Sovrintendenze, relegando contestualmente i Comuni in un ruolo di interlocutore con funzioni consultive obbligatorie ma non vincolanti. Ripercorso, analiticamente, l'excursus normativo che ha regolato la ripartizione delle diverse competenze tra Comuni ed organi statali in subiecta materia - con specifico riferimento a quanto disposto dagli artt. 10 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), 53 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), e 52 del citato d.lgs. n. 42 del 2004;

nonche' dalle direttive emanate dal Ministero per i beni e le attivita' culturali, in data 9 novembre 2007 (Esercizio del commercio in aree di valore culturale di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) e 10 ottobre 2012 (Esercizio di attivita' commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi altra attivita' non compatibile con le esigenze di tutela del patrimonio culturale), il contenuto della quale ultima e' stato trasfuso nel censurato art. 4-bis - la ricorrente osserva come proprio l'impugnato intervento legislativo, «disgiunto dal necessario, conseguente, riordino ordinamentale ed istituzionale», abbia «creato un affastellamento normativo, fonte di grave incertezza giuridica, precludendo, altresi', il ricorso a quei meccanismi di collaborazione e concertazione posti a presidio della regolazione di ambiti connotati da un rilevante intreccio di una pluralita' di interessi pubblici». Da cio' essa desume, in primo luogo, che la disposizione lede il canone di ragionevolezza, che travalica il mero vizio di tecnica legislativa, incidendo sul corretto esercizio della potesta' legislativa regionale che, specialmente in contesti di potesta' normativa residuale, quale certamente e' quello relativo al commercio, subisce restrizioni cosi' rilevanti da risultarne svuotata. In secondo luogo - poiche' la disposizione stessa non offre neppure canoni e parametri omogenei che consentano alle Direzioni regionali per i beni culturali ed alle Sovrintendenze l'esercizio uniforme del potere discrezionale di cui si ritrovano ad essere tributari - la ricorrente ne denuncia il contrasto con l'art. 97 della Costituzione. Nel merito, la Regione osserva che la finalita' espressa della norma (nel cui incipit e' enunciato il proposito di «contrastare l'esercizio [...] delle attivita' commerciali e artigianali in forma ambulante o su posteggio, nonche' di qualsiasi altra attivita' non compatibile», allo scopo dichiarato di «assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale [...] nonche' delle aree a essi contermini») piu' che ad esigenze di tutela del patrimonio culturale riservata allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sembrerebbe piuttosto riconducibile alla «valorizzazione dei beni culturali» di cui al successivo comma terzo (conformemente ai criteri distintivi enucleati da questa Corte nelle sentenze n. 212 del 2006 e n. 9 del 2004, secondo cui la valorizzazione e' diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicche' anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest'ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione e con riferimento ai modi di questa). Evidenziato come il fulcro della questione consista non tanto nell'apposizione di vincoli all'esercizio di determinate attivita', quanto piuttosto nell'individuazione dei soggetti istituzionali a cio' competenti, la Regione osserva che - quanto ai limiti apponibili all'esercizio del commercio, al fine appunto di garantire le esigenze di valorizzazione e migliore fruibilita' del patrimonio culturale, nel rispetto del principio della liberta' dell'iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost. - la relativa potesta' regolamentare spetta alla amministrazione comunale (ex art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali»), cui si aggiunge una potesta' legislativa regionale residuale (ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.), come riconosciuto con la sentenza n. 247 del 2010, con riferimento alla legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 7 (Disposizioni di riordino e semplificazione normativa - collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di miniere, acque minerali e termali, lavoro, artigianato, commercio e veneti nel mondo). Viceversa, per effetto della censurata novella statale, la portata precettiva delle disposizioni regionali, che avessero trovato puntuale attuazione nelle conseguenti e consequenziali determinazioni comunali, potrebbe subire un'inammissibile compromissione a seguito di un atto provvedimentale emanato dal sovrintendente nell'esercizio di potesta' amministrative, connotate da un'estensione tale da travolgere qualsiasi competenza costituzionalmente garantita, sino a rasentare l'arbitrio. La Regione dunque sottolinea che l'odierno ricorso e' diretto a sollecitare una pronuncia della Corte, che chiarisca la reale portata legislativa della disposizione impugnata, restituendo certezza giuridica agli operatori economici del settore e ricomponendo in termini di coerenza quello che attualmente e' un insieme frammentario e non coordinato di una pluralita' di competenze soggettivamente ed oggettivamente simultaneamente interferenti, secondo un «modello di rovesciamento prospettico che emargina le amministrazioni comunali ad un ruolo meramente valutativo, e neppure vincolante, con riverberi decisivi sulla restante e rilevantissima attivita' di governo del territorio, sia pianificatoria che organizzativa». Per questi motivi, la ricorrente deduce la violazione del terzo comma dell'art. 117 Cost., atteso che, trattandosi di ambito soggetto a potesta' legislativa concorrente, esso avrebbe dovuto essere...

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