Il rapporto tra conviventi di fatto: contratti di convivenza e obbligazioni naturali

AutoreProf. Avv. Luigi Balestra
Occupazione dell'autoreUniversità di Bologna
Pagine39-48

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@1. I rapporti patrimoniali

Il matrimonio, o meglio il suo contenuto essenziale, costituisce il modello al quale ancorare l'individuazione di una famiglia di fatto, nel senso che solo quelle forme di convivenza che si nutrano di un contenuto simile a quello matrimoniale possono, per comune opinione, prospettare problemi di protezione. La necessità di ravvisare comportamenti analoghi a quelli previsti dall'alt. 143 c.c. per poter configurare una famiglia di fatto, nondimeno, depone soltanto nel senso di una doverosità morale e sociale, e non giuridica, di tali comportamenti1.

Nonostante non sia mancato chi ha sostenuto, in modo più o meno ampio, l'applicabilità in via analogica delle disposizioni che governano i rapporti personali tra i coniugi2, si esclude che possano concepirsi controversie concernenti i rapporti personali, rilevandosi come ogni questione ad essi attinente, se non risolta spontaneamente, determiniPage 40"una pura e semplice cessazione della convivenza" e l'insorgenza eventuale di questioni patrimoniali3.

In effetti, la stabilità degli affetti e la comunione di vita che caratterizzano la famiglia di fatto non possono non comportare ripercussioni sul piano patrimoniale, nel senso di creare un legame tra due sfere patrimoniali in precedenza assolutamente distinte. La relazione affettiva determina l'intrecciarsi dei patrimoni facenti capo ai conviventi, i quali, in misura più o meno marcata, appaiono destinati a soddisfare le esigenze derivanti dal vivere insieme come coniugi. Esigenze che non solo sono espressione della necessità di soddisfare bisogni imprescindibili di vita, ma, in modo più ampio, possono ad esempio sottendere la volontà di manifestare il proprio affetto verso il partner mediante regali o acquisti che rappresentino un investimento nell'interesse della stabile unione. Di qui la necessità di precisare la natura e il regime applicabile alle elargizioni effettuate da un convivente all'altro per provvedere ai bisogni derivanti dalla vita in comune ovvero con l'intento di realizzare una liberalità. Si tratta ancora di accertare se il convivente che non sia stato parte del contratto di acquisto di un bene possa vantare qualche pretesa sul piano della titolarità o, quantomeno, sotto il profilo obbligatorio; e, inoltre, se ciò possa avvenire per il sol fatto che un bene sia stato acquistato durante la convivenza o in virtù di una contribuzione o collaborazione fornita.

In assenza di una disciplina assimilabile a quella dettata per i coniugi, il settore dei rapporti patrimoniali palesa situazioni di debolezza bisognose di tutela, che si manifestano in tutta la loro evidenza alla cessazione della convivenza. Invero, la rottura rappresenta il momento in cui con maggiore forza emergono i nodi problematici della fattispecie4. Proprio in relazione a tale momento risulta evidente la funzione che potrebbe svolgere il contratto, concepito dalla dottrina, a seconda dei casi, come strumento esclusivo, alternativo o concorrente di tutela5. E tuttavia non può non osservarsi come l'evidente utilità che per i conviventi, o almeno per quello economicamente più debole, lo strumento contrattuale presenta, si scontri con le difficoltà insite nella stessa decisione di concludere un contratto che si proponga di disciplinare situazioni il cui substrato è di chiara natura affettiva. Difficoltà che sono per lo più di natura psicologica, considerato che un contratto siffatto andrebbe stipulato proprio nel momento in cui il rapporto affettivo funziona, cioè in un momento in cui si è portati a ritenere che il substrato affettivo di cui è esso è permeato impedirà il sorgere di ogni problematica o, comunque, ne consentirà il superamento senza che si creino attriti. In altri termini, il contratto - strumento tradizionalmente preposto alla risoluzione di un conflitto di interessi - dovrebbe essere stipulato in una fase - quella dell'inizio o dello svolgimento della relazione di coppia - in cui non è in attoPage 41alcun conflitto di interessi e, quindi, nella mera previsione del suo possibile profilarsi. Ciò testimonia come lo strumento contrattuale, che è certamente da incoraggiare, non possa tuttavia costituire l'unico rimedio ipotizzabile.

@2. Il regime dell'obbligazione naturale

In passato, le attribuzioni patrimoniali tra conviventi erano valutate alla stregua di una donazione, peraltro nulla, per illiceità della causa, ogniqualvolta vi fosse la dimostrazione che erano dirette a consentire l'avvio o la prosecuzione di una illecita relazione6. In particolare, veniva qualificata come donazione rimuneratoria la prestazione eseguita per riparare il pregiudizio causato alla donna in seguito alla seduzione ed alla successiva instaurazione della convivenza7.

È noto, tuttavia, come la questione relativa alle elargizioni corrisposte durante la convivenza da oltre quarant'anni venga impostata configurando un vero e proprio dovere di assistenza in capo a ciascuno dei conviventi, la cui rilevanza, almeno nel periodo che precede l'eventuale adempimento, sarebbe da ricercare unicamente sul piano morale e sociale8. Avvenuto l'adempimento in modo spontaneo, siffatta rilevanza assume una dimensione anche giuridica mediante la possibilità di invocare la soluti retentio: si configura dunque una vera e propria obbligazione naturale9.

Allo schema dell'obbligazione naturale, dunque, la giurisprudenza ormai da tempo - superando l'originario inquadramento nell'ambito della donazione rimuneratoria - fa riferimento ogniqualvolta si tratta di decidere in ordine alla richiesta di restituzione di somme corrisposte da un convivente a favore dell'altro durante il rapporto. Peraltro, il predetto schema è configurabile solo allorquando la prestazione costituisca adempimento dei doveri morali scaturenti dalla convivenza suscettibili di essere adempiuti mediante una prestazione di carattere patrimoniale. Conseguentemente, l'attribuzione patrimoniale a favore del convivente non costituisce sempre e comunque l'adempimentoPage 42di un dovere morale, ben potendo essere espressione della volontà di conformarsi agli usi o sottendere lo spirito di liberalità o, ancora, essere collocata dalle parti, nonostante la relazione affettiva, nell'alveo dell'onerosità10.

Affinchè sia in concreto configurabile un'obbligazione naturale, d'altra parte, occorre che la prestazione sia proporzionata al dovere morale di cui costituisce esecuzione; secondo un costante orientamento giurisprudenziale, infatti, "un'attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio può configurarsi come adempimento di un'obbligazione naturale allorché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens"11.

@3. Le liberalità

Maggiormente controverso appare il regime da applicare ai doni che un convivente abbia fatto all'altro. Il problema consiste nello stabilire se l'autore possa pretenderne la restituzione. I motivi di incertezza derivano anche da una decisa presa di posizione della Corte di Cassazione la quale, con riguardo a una fattispecie in cui vi era stata un'elargizione di gioielli di rilevante importo fatta allo scopo di consentire la prosecuzione del rapporto, nel confermare la pronuncia d'appello, ha affermato che in detto caso si era fuori dalla liberalità d'uso "caratterizzata dal fatto che colui che la compie intende osservare un uso, cioè adeguarsi ad un costume vigente nell'ambiente sociale di appartenenza, costume che determina, anche, la misura dell'elargizione in funzione della diversa posizione sociale delle parti, delle diverse occasioni ed in proporzione delle loro condizioni economi-che, nel senso che, comunque, la donazione non debba comportare un depauperamento apprezzabile del patrimonio di chi la compie"12.

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La presa di posizione del Supremo Collegio è stata valutata come il segno di un ritorno al Medioevo, per avere i giudici completamente ignorato il contesto in cui le elargizioni erano avvenute - una convivenza stabile e affidabile - e, soprattutto, per aver dato peso al rilevante valore degli oggetti donati come elemento capace di escludere la ricorrenza di una liberalità d'uso13. Non può infatti dimenticarsi che il ricorso allo schema dell'obbli-gazione naturale - ovvero della liberalità d'uso - negli intendimenti della giurisprudenza che sul finire degli anni Cinquanta del secolo trascorso iniziò ad applicarlo, era diretto a tutelare il convivente ed. debole, segnatamente la donna, la quale al termine della convivenza si vedeva sovente costretta a restituire le elargizioni ricevute sul presupposto che, trattandosi di donazioni, quasi mai veniva rispettato il requisito della forma solenne15. Senza tener conto poi, indipendentemente da ogni richiesta di restituzione, del gravoso regime cui sono sottoposte le donazioni per quel che concerne la loro impugnabilita (revocatoria, riduzione per lesione di legittima, revoca per soprawenienza di figli), che ponevano il destinatario dell'attribuzione in una situazione di incertezza praticamente senza fine.

L'obiettivo perseguito dalla giurisprudenza era dunque evidente ed è stato peraltro agevolato, sotto il profilo dei rapporti sociali, dal progressivo venir meno del giudizio di disvalore che ha caratterizzato per lungo tempo l'unione non fondata sul matrimonio; e, sotto quello più strettamente giuridico, dall'idoneità delle varie situazioni concrete a essere "senza difficoltà ricondotte all'uno o all'altro degli istituti considerati", tenuto anche conto della quasi identità sostanziale dei casi previsti nel 1° e 2° comma dell'alt. 770 c.c, che consente "sempre di salvare una donazione rimuneratorio, priva della forma solenne sol che la si qualifichi (e la possibilità di una simile trasformazione si realizza senza grandi difficoltà) come una liberalità non donazione, prevista, nel 2° comma dell'alt. 770 cod. civ."15.

E in effetti, sempre più frequentemente si sottolinea l'eccessiva rigidità di un...

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