Il punto di vista del giudice: famiglia di fatto e filiazione naturale

AutoreDott. Rita Russo
Occupazione dell'autoreGiudice del Tribunale di Messina
Pagine79-96

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@1. Introduzione

La rilevanza della famiglia di fatto si segnala nella pratica giurisprudenziale con sempre maggiore frequenza. Specialmente numerosi i casi in cui si chiede di regolare diversamente i rapporti patrimoniali tra coniugi separati o divorziati in ragione di una intrapresa nuova convivenza nonché i casi in cui si chiede di regolare i rapporti tra genitori e figli naturali. La giurisprudenza si è così trovata ben presto a distinguere tra i rapporti di fatto effettivamente irrilevanti per il diritto, come le relazioni occasionali o che pur dando luogo a convivenza non si caratterizzano per la loro stabilità e i rapporti di fatto che connotandosi per la stabilità e la condivisone degli stessi valori che reggono la famiglia legittima, meritano innanzi tutto un nome (famiglia di fatto, convivenza more uxorio, rapporto paraconiugale) il che è già un primo passo verso il riconoscimento della loro rilevanza e, pur non ricevendo un esplicito e generalizzato riconoscimento, tuttavia rilevano nella pratica del diritto ed in alcuni casi specifici ricevono anche l'attenzione del legislatore. Dire che il nostro ordinamento non riconosce la famiglia di fatto è una espressione riduttiva ed imprecisa: bisognerebbe meglio dire che alla convivenza more uxorio la legge italiana non riconnette il sorgere dei diritti e doveri matrimoniali, ma pur tuttavia tanto il legislatore che il giudice non possono fare a meno di occuparsi della sua incidenza specie quando devono regolarsi e tutelarsi i diritti della persona.

@2. La rilevanza della convivenza more uxorio sulla determinazione dell'assegno di divorzio

La costituzione di nuclei familiari di fatto, che corrispondono esattamente al modello della famiglia fondata sul matrimonio e quindi caratterizzati dalla stabilità e dall'essere regolati dal principio della solidarietà e della mutua assistenza è spesso collegata a un divorzio o ad una separazione.

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Il nostro sistema normativo prevede lo scioglimento del matrimonio e quindi la possibilità di contrarne uno nuovo, e in questo caso la legge stabilisce che l'ex coniuge avente diritto a un assegno lo perde a seguito del nuovo matrimonio.

Nulla di specifico è previsto per il nuovo matrimonio del coniuge onerato dell'assegno e nulla per il caso della convivenza more uxorio. Il che non toglie che esso sia uno dei problemi che nella pratica si presentano con maggiore frequenza. In particolare, sulla rilevanza della convivenza more uxorio del coniuge avente diritto all'assegno di divorzio si confrontano opposte opinioni.

Ai sensi del comma decimo dell'alt. 5 legge div. l'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze; si è evidenziato, da un lato che per legge solo il nuovo matrimonio determina il cessare dell'assegno, dall'altro che ritenere irrilevante la convivenza more uxorio da parte del beneficiario dell'assegno può incentivare condotte, certamente non commendevoli sotto il profilo di lealtà, da parte di ex coniugi che pur consolidano un rapporto connotato, in via di fatto, dagli stessi doveri del matrimonio, e quindi godendo pienamente della solidarietà ed assistenza tuttavia si astengono dal celebrarlo al solo fine di continuare a percepire l'assegno1.

Si quindi può osservare che l'assegno divorzile non spetta al soggetto dotato di mezzi adeguati, e quindi mezzo adeguato può ritenersi anche l'avere istaurato con altra persona, sia pure in fatto e senza il vinculum juris, quello stesso legame di solidarietà, connotato da reciproca assistenza morale e materiale fondato sulla convivenza e la relazione affettiva, che è proprio del matrimonio. La tesi favorevole a riconoscere rilevanza alla convivenza more uxorio si fonda sul rilievo che pur avendo le prestazioni assistenziali del convivente more uxorio carattere di obbligazione naturale, deve comunque valutarsi l'effetto pratico di questa circostanza di fatto e cioè se, in conseguenza di una convivenza stabile l'avente diritto all'assegno non si trovi più in stato di bisogno, inteso come inadeguatezza dei mezzi, e se beneficia (e finché ne beneficia) di assistenza morale e materiale da parte del suo nuovo partner.

In questo senso sembra anche orientata, sebbene con qualche oscillazione, la giurisprudenza della corte di Cassazione la quale distingue tra rapporti occasionali e convivenza stabile e da indica la strada di una valutazione "quantitativa" della rilevanza della convivenza sul tenore di vita2. La Corte di Cassazione non disdegna talvolta di parlare di "rilevanza sotto il profilo giuridico" della convivenza se connotata da tali caratteri3.

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Ci si deve però intendere sul punto: la convivenza more uxorio in sé non ha rilevanza giuridica nel senso che non dà luogo un vinculum juris dal quale derivano conseguenze giuridiche. Vale a dire che l'accordo dei conviventi di dare luogo a una situazione para-coniugale, anche se essa è protratta nel tempo non fa sorgere gli stessi diritti e doveri del matrimonio neppure se ciò è conforme alla volontà di entrambi. Gli effetti giuridici si possono riconnettere a un singolo contratto tra i conviventi, anche atipico, in cui la convivenza è il presupposto di fatto del contratto ma due persone non possono in virtù del mutuo accordo dare vita ad un matrimonio se non seguono lo schema legale tipico. La questione della rilevanza giuridica è quindi da intendersi nel senso che per effetto di un fatto connotato in certa maniera (la convivenza more uxorio) si determina una fattispecie legale tipica e cioè la sussistenza di mezzi adeguati da parte del soggetto che chiede l'assegno di divorzio.

Il tutto diviene così una questione di prova, innanzitutto sull'effettiva circostanza che le persone vivano secondo il principio della reciproca assistenza morale e materiale, e quindi sul quantum e la prova può essere anche presuntiva, perché per certi versi può rappresentare una probatio diabolica verificare la misura concreta della contribuzione del convivente, e quindi la prova può essere data ad esempio facendo riferimento ai redditi e al tenore di vita della persona con la quale il titolare dell'assegno convive, i quali possono far presumere, secondo il prudente apprezzamento del giudice, che dalla convivenza more uxorio il titolare dell'assegno tragga benefici economici idonei a giustificare la revisione dell'assegno4.

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Sulla'alternativa dell'elisione o riduzione dell'assegno le risposte date dalla giurisprudenza non sono univoche e ciò dipende probabilmente anche dalla circostanza che in questi casi la valutazone in fatto è decisiva.

Ma si deve anche rilevare che esistono quelle che si potrebbero definire due correnti di pensiero: da un lato quella più rigorosa che tende a valutare solo l'incidenza delle prestazioni del convivente sul tenore di vita ed ecco quindi che si parla di convivenza che abbia portato un miglioramento in melius, di tenore di vita adeguato, e, in certo senso se ne fa una questione matematica, di misura dell'assegno in proporzione ai redditi e alle capacità economiche del nuovo convivente5.

Quindi se in ipotesi la moglie di un facoltoso professionista dopo il divorzio inizia una convivenza con un operaio e per quanto questi si dimostri generoso nella contribuzione domestica, al limite della sue possibilità economiche, il fatto sarebbe sostanzialmente inlnfluente o al più potrebbe portare ad una riduzione dell'assegno divorzile. Con la sostanziale conseguenza che il facoltoso professionista finisce per garantire il tenore di vita correlativo non solo al coniuge divorziato ma anche, in parte, al suo convivente.

Appare più convincente, anche se al momento non è molto seguito, un ragionamento che la S.C. ha operato qualche anno fa, più aderente al senso della realtà, e che tiene conto del fatto che la convivenza more uxorio è un rapporto solidale e che si caratterizza per avere in fatto le stesse caratteristiche del rapporto coniugale (o assai simili) e non soltanto una fonte di erogazioni in denaro di cui tenere la contabilità6.

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Le incertezze sulla questione sopra esaminata riflettono la singolare dicotomia tra diritto e realtà sociale ancora esistente nel nostro ordinamento con riguardo agli effetti giuridici della convivenza more uxorio. Nonostante sia noto che di norma la convivenza quando assume caratteri di continuità e serietà si organizzi sulla scorta degli stessi principi e valori che sorreggono il matrimonio, non si ritiene ancora di intaccare il principio che la convivenza è uno stato di fatto che non genera diritti ed obblighi, al più riconoscendo la qualificazione di obbligazione naturale (al pari dei debiti di gioco) alle prestazioni che ne conseguono. Con il curioso effetto di ricorrere da acrobazie giuridiche per giustificare i diritti cui sono comunque ammessi a godere i conviventi more uxorio (ad esempio la facoltà di chiedere un ordine di protezione ex art. 342-bis c.c.) e di dubitare che si possa elidere l'assegno divorzile, fondato sulla solidarietà coniugale, o meglio su ciò che ne resta dopo lo scioglimento del matrimonio, quando l'avente diritto gode di analoga solidarietà, anzi collegata ad un rapporto in corso e non ad un rapporto estinto, da parte di altro soggetto.

E con l'effetto - che appare irragionevole in via di fatto - di eliminare l'assegno di mantenimento se l'avente diritto contrae matrimonio con un soggetto poverissimo, dubitando che si possa invece elidere se il convivente more uxorio, per quanto solidale e costante nella sua assistenza morale e materiale tuttavia non riesca a garantire lo stesso tenore di vita del precedente coniuge.

In questo senso sebbene in epoca non recentissima (2005) anche il Tribunale di Messina si è qualche tempo fa pronunciato7 osservando che la convivenza connotata daPage 84stabilità istituisce tra i partner un legame di solidarietà personale ed economica identico, quanto ai contenuti, a quello che si insatura nel matrimonio, con...

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