Il rapporto di filiazione naturale. Affidamento, mantenimento e assegnazione della casa familiare

AutoreAvv. Adndrea Renda
Occupazione dell'autoreScuola Superiore Sant'Anna
Pagine49-78

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@1. Presupposti per l'applicazione della legge n. 54/2006 alla prole naturale

Il presupposto di applicazione della legge n. 54/2006 alla filiazione naturale è evocato dall'alt. 4 comma 2 della legge stessa, che ne prevede l'applicazione anche "ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati". Si tratta di definire la latitudine di questa formula. Già ad una prima lettura, risulta chiaro che il riferimento ai procedimenti allude all'instaurazione di un giudizio tra i genitori naturali, evidentemente avente ad oggetto la comune prole di minore età.

Occorre coordinare questa previsione con la norma relativa all'esercizio della potestà nella famiglia naturale, cioè l'art. 317-bis c.c. Com'è noto, questa disposizione prevede quale presupposto minimo per l'esercizio della potestà l'avvenuto riconoscimento del figlio naturale ad opera del genitore, quale strumento di certezza formale dello stato stesso, valevole erga omnes fino a contestazione nei modi di legge. La scindibilità della filiazione naturale, dipendente dalla mera eventualità di un accertamento di stato nei confronti di entrambi i genitori e comunque dalla non necessaria contestualità dell'accertamento da ambo i lati, da luogo alla possibilità che ad operare il riconoscimento sia uno solo dei genitori. In ragione di ciò, il legislatore prevede per tale ipotesi che la potestà sia esercitata sul figlio minore dal genitore che ha effettuato il riconoscimento, che è l'unico genitore agli effetti di legge (art. 317-bis comma 1 c.c).

Se entrambi i genitori effettuano il riconoscimento, occorre distinguere. Se i genitori convivono (così instaurando una famiglia di fatto, che va concettualmente tenuta distinta dalla famiglia naturale instaurata per il semplice fatto della procreazione al di fuori del matrimonio), la legge prescrive che la potestà sia esercitata congiuntamente da entrambi i genitori, e trovi applicazione l'art. 316 c.c, relativo alla potestà dei genitori coniugati rispetti al figlio legittimo. Vale, quindi, che le decisioni di maggiore interesse devono essere concordate, mentre quelle di minore interesse possono essere adottate disgiuntamente da ciascun genitore. In tale ipotesi, che potremmo definire di fisiologia della famiglia natura-Page 50le, non trova applicazione la disciplina dell'affidamento condiviso, la quale presuppone un contenzioso: del resto, tale disciplina non trova applicazione alla normale convivenza del figlio con padre e madre coniugati, che è specularmente ipotesi di fisiologia della famiglia legittima. I genitori hanno peraltro margine per modificare convenzionalmente la disciplina di legge, purché con ciò non arrechino pregiudizio al minore1.

Qualora invece i genitori non convivano, la disciplina è diversa. La legge prevede che la potestà sia esercita da colui con il quale il figlio convive. La norma, già prima dell'entrata in vigore della disciplina sull'affidamento condiviso, era interpretata nel senso che, presupponendo già individuato il genitore con il quale il minore convive, desse azione a ciascun genitore per chiedere al giudice competente - il Trib. min. in forza del richiamo dell'alt. 317-bis c.c. ad opera dell'alt. 38 disp. att. c.c.2 - la determinazione del genitore con il quale il figlio dovesse convivere, ove non vi fosse accordo in tal senso: per chiedere, in altri termini, l'affidamento del figlio3. Una volta pronunciato l'affidamento, all'affidatario sarebbe spettata la potestà esclusiva sul figlio, non diversamente da quanto prescritto dall'alt. 155 comma 3 c.c. per l'affidatario in sede di separazione. Se peraltro fosse stato disposto l'affidamento congiunto, la potestà sarebbe stata esercitata da entrambi, comePage 51nell'affidamento congiunto della prole legittima ed in generale nella fisiologia matrimoniale4. La norma lasciava peraltro spazio all'accordo dei genitori, nel senso che questi avrebbero potuto concordare con chi il figlio dovesse vivere e chi e come avesse dovuto esercitare la potestà. La circostanza che, subentrata la crisi della coppia non coniugata, non sia necessario ed anzi non sia neanche possibile chiedere l'intervento del giudice per regolare i rapporti tra ex-conviventi rendeva superfluo devolvere al giudice la disciplina dei rapporti genitori-figlio, ove tra i genitori vi fosse accordo.

Con la riforma sull'affidamento condiviso il quadro resta in sostanza inalterato, sia pur mutatis mutandis5. Inalterata resta la possibilità che vi sia un accordo tra i genitori naturali, tacito od espresso. Si pensi sia alla rottura consensuale di una convivenza, come pure al caso di genitori naturali che mai abbiano convissuto e che abbia generato un figlio a seguito di un rapporto occasionale o comunque non sulla base di una scelta di convivenza. Può darsi che essi si accordino tacitamente nel senso che il minore resti o vada a vivere con uno di essi. Su questo accordo si innesta la disciplina di legge che attribuisce l'esercizio esclusivo della potestà al genitore con cui il minore convive ed il potere di vigilanza all'altro genitore. Può darsi che essi si accordino espressamente, o dando veste pattizia allo stesso regime di legge appena richiamato, o derogandovi e prevedendo la condivisione della potestà pur in presenza del collocamento del minore presso uno di essi, con un margine di manovra assai ampio6. In tal caso la disciplina sull'affidamento condiviso non viene ad applicarsi ex se, ma semmai in quanto rinviata dall'accordo. Non v'è infatti un procedimento in corso, che giustifichi l'applicazione della 1. n. 54/2006 da parte del giudice. Questo potrebbe semmai instaurarsi allorché un genitore lamenti la violazione dell'accordo da parte dell'altro o il carattere pregiudizievole dell'accordo stesso, per sé o per il minore, e agisca in giudizio chiedendo una pronuncia del giudice sull'affidamentoPage 52del figlio. Un procedimento potrebbe pure instaurarsi in quanto si attivino i meccanismi degli artt. 330 -333 c.c, su denuncia anche di terzi, allorché la condotta genitoriale sia pregiudizievole per il minore. Per converso, la presenza dell'accordo non esclude che i genitori ricorrano al giudice per conferirvi maggiore impegnatività, chiedendone quella che nella prassi giudiziale ha assunto le vesti di una sorta di omologa7.

Se però accordo non c'è o viene meno8, ecco che il giudice, adito da uno dei genitori e richiesto di pronunciarsi sull'affidamento del minore, è chiamato ad applicare la disciplina riformata, onde il regime della potestà seguirà il tipo di affidamento che il giudice ritenga di disporre, con la nota preferenza per l'affidamento condiviso9. Non c'è abrogazione della norma dell'alt. 317-te, almeno nella parte sino ad ora vista, poiché ora come un tempo il 317-bis si combina con la disciplina sull'affidamento, in quanto scatti l'intervento del giudice. Può ritenersi allora che (anche) la parte della disposizione che dispone che in caso di non convivenza del minore con alcuno dei genitori la potestà sia esercitata da quello che lo ha riconosciuto per primo sia ancora operativa, per l'ipotesi in cui vi sia accordo tra i genitori (anche nel senso minimale di mancanza di contenzioso), e salva la possibilità di un diverso accordo10. Nel caso in cui scatti la cognizione del giudice a seguito della domanda di un genitore, vale quanto detto prima, cioè che il giudice dovrà applicare la legge n. 54/2006. Semmai, pare che ad essere stata abrogata sia l'ultima parte, relativa al potere del giudice di disporre anche diversamente ed escludere entrambi i genitori dall'esercizio della potestà11.

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@2. L"omologazione" degli accordi genitoriali sulla prole naturale

Si è accennato alla tendenza dei tribunali per i minori a "omologare" gli accordi sulla prole dei genitori naturali che li sottopongano, a mezzo di ricorso congiunto, alla ratifica dell'autorità giudiziaria, previo vaglio di non contrarietà all'interesse del minore. Ci si può in primo luogo porre il problema del titolo in forza del quale i tribunali per i minorenni ammettono il proprio ufficio di "omologare" tali accordi, avuto riguardo alla nota non necessità dell'intervento giudiziario in presenza dell'accordo tra i genitori naturali12.

Invero, sia l'ampiezza del dettato testuale del 317-bis e la genericità dei poteri assegnati al giudicante, sia soprattutto l'esigenza di realizzare appieno l'interesse del minore e di impedire che esso venga trascurato o pregiudicato proprio dall'accordo dei genitori, possono ragionevolmente prestare un fondamento al diritto dei genitori di chiederePage 54l'omologa giudiziale dell'accordo, cui corrisponde il potere-dovere del giudice di renderla, in quanto ne sussistano i presupposti13. Ciò, peraltro, ha da ultimo trovato avallo in un obiter della Cassazione, là dove essa fa salva "in ogni caso la possibilità per i genitori non coniugati di rivolgersi congiuntamente al tribunale per i minorenni per la verifica della non contrarietà all'interesse dei figli di quanto tra loro concordato"14.

Più blando pare invece l'argomento testuale in virtù del quale a sostegno del diritto dei genitori a provocare l'omologa può invocarsi - in forza del richiamo ex art. 4 comma 2 l. n. 54/2006 - il nuovo alt. 155 comma 2 c.c, che prevede che il giudice "prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori"15. Si potrebbe obiettare che la norma è dettata nell'ambito della separazione giudiziale, nella quale il potere del giudice di disattendere gli accordi coniugali si abbina a quello di emettere in positivo i provvedimenti più adatti16, laddove nel caso di specie l'omologa dell'accordo dei genitori naturali è assimilabile all'omologa dell'accordo dei coniugi in sede di separazione consensuale - la cui disciplina non pare essere stata toccata dalla riforma -nella quale il potere del giudice di disattendere gli accordi si esprime attraverso il rifiuto dell'omologa e non nella sostituzione autoritativa delle pattuizioni dei...

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