Sentenza nº 333 da Constitutional Court (Italy), 18 Dicembre 2009

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione18 Dicembre 2009
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 333

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di Pinerolo nel procedimento penale a carico di C. N. ed altra con ordinanza del 18 settembre 2008, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 2009 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 18 settembre 2008, il Tribunale di Pinerolo, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al processo concernente il reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale».

Il giudice a quo premette di essere investito del processo nei confronti di due persone imputate di un reato urbanistico, per avere realizzato lavori edili senza permesso di costruire in zona sottoposta a vincolo paesistico. A seguito delle dichiarazioni rese da un teste nel corso dell’istruzione dibattimentale, il pubblico ministero aveva contestato in via suppletiva agli imputati, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., anche un reato paesaggistico connesso.

Concesso il richiesto termine a difesa, alla nuova udienza dibattimentale i difensori degli imputati avevano prodotto permesso di costruire in sanatoria, chiedendo l’immediato proscioglimento dei loro assistiti, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., in ordine alla contravvenzione urbanistica; mentre gli imputati personalmente avevano proposto istanza di definizione del procedimento relativo al reato paesaggistico mediante giudizio abbreviato, condizionata all’acquisizione di documenti contestualmente esibiti.

Disposta la separazione dei procedimenti, il giudice a quo aveva quindi pronunciato, con riguardo all’illecito urbanistico, sentenza di non doversi procedere per essere il reato estinto per intervenuta sanatoria.

Ciò premesso, il rimettente osserva, in punto di rilevanza della questione, che l’istanza di definizione con giudizio abbreviato del processo relativo al reato paesaggistico, contestato in dibattimento – costituente, ormai, l’unico oggetto del giudizio – andrebbe accolta, se non vi ostasse la preclusione derivante dalla disposizione combinata dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen. (secondo cui, nei procedimenti a citazione diretta, la facoltà di chiedere il rito alternativo deve essere esercitata, a pena di decadenza, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento) e dell’art. 517 cod. proc. pen. (che non prevede una rimessione in termini per poter effettuare la richiesta, nell’ipotesi in cui intervenga in dibattimento la contestazione di un reato concorrente).

Nella specie, inoltre, i fatti su cui si fonda la contestazione suppletiva risultavano completamente accertati sin dalla fase delle indagini preliminari, giacché il sovrintendente del Corpo forestale dello Stato, a seguito della cui deposizione è stata effettuata detta contestazione, si è limitato a riferire degli accertamenti svolti nel corso delle indagini.

Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo ricorda come la Corte costituzionale abbia inizialmente affermato che l’impossibilità di beneficiare dei vantaggi connessi ai riti alternativi, nel caso di modifica dell’imputazione nel corso del dibattimento, rientra nelle «regole del gioco», note alle parti processuali: sicché l’imputato, il quale non abbia optato nei termini per detti riti, «non ha che da addebitare a sé medesimo le conseguenze della propria scelta».

Successivamente, tuttavia, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., gli artt. 516 e 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale (sentenza n. 265 del 1994). In tale ipotesi, non può parlarsi «di una libera assunzione del rischio del dibattimento da parte dell’imputato»: infatti, «le valutazioni dell’imputato circa la convenienza del rito speciale vengono a dipendere anzitutto dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero», sicché, quando, «in presenza di una evenienza patologica del procedimento, quale è quella derivante dall’errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato in cui è incorso il pubblico ministero, l’imputazione subisce una variazione sostanziale, risulta lesivo del diritto di difesa precludere all’imputato l’accesso ai riti speciali».

Un ulteriore, e più ampio, profilo di irragionevolezza – ricorda ancora il rimettente – è stato ravvisato dalla sentenza n. 530 del 1995, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei medesimi artt. 516 e 517 cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedono la facoltà dell’imputato di proporre domanda di oblazione in relazione al fatto diverso e al reato concorrente contestati in dibattimento.

Con riguardo, invece, al rito abbreviato – aggiunge il giudice a quo – la giurisprudenza costituzionale consta, sinora, solo di pronunce di inammissibilità: e ciò sebbene già nella sentenza n. 129 del 1993 la Corte avesse auspicato un intervento del legislatore, al fine di correggere una disciplina «evidentemente ritenuta non conforme ai precetti costituzionali».

Nella perdurante assenza di tale intervento legislativo, e tenuto conto anche delle innovazioni intervenute medio tempore nella disciplina del giudizio abbreviato, il Tribunale rimettente reputa che la questione debba essere nuovamente sollevata.

La preclusione alla fruizione dei vantaggi connessi al rito abbreviato, nell’ipotesi in cui la contestazione dibattimentale di un reato concorrente concerna un fatto che già risultava dagli atti di indagine, implicherebbe, anzitutto, una indebita compressione del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.). All’imputato non potrebbe essere, difatti, addebitata alcuna colpevole inerzia né potrebbero essergli addossate le conseguenze negative di un «prevedibile» sviluppo dibattimentale il cui rischio sia stato liberamente assunto.

La norma censurata si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento tra imputati che si trovino in situazioni eguali, a seconda che il...

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