Sentenza nº 237 da Constitutional Court (Italy), 26 Ottobre 2012

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione26 Ottobre 2012
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 237

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Franco GALLO Giudice

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 517 del codice di procedura penale, promosso dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento penale a carico di T.G. con ordinanza del 23 settembre 2011, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 23 settembre 2011, la Corte d’appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che non risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale.

    La Corte rimettente riferisce che, nel giudizio di primo grado, era stato contestato all’imputato, ai sensi dell’art. 517 cod. proc. pen., un reato concorrente emerso a seguito delle dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso dell’istruzione dibattimentale. In relazione a detto reato, l’imputato aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, eccependo l’illegittimità costituzionale della norma censurata, nella parte in cui non consente di proporre tale richiesta.

    L’eccezione, disattesa in prime cure, era stata riproposta nei motivi di appello.

    Al riguardo, il giudice a quo osserva come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 333 del 2009, abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che l’imputato possa richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale.

    Ad avviso della Corte torinese, la medesima ratio che sorregge la declaratoria di illegittimità costituzionale ora ricordata varrebbe anche in relazione all’ipotesi in cui il reato concorrente, oggetto della contestazione suppletiva, sia emerso – come nel giudizio a quo – solo nel corso e a seguito dell’istruzione dibattimentale. Se è vero, infatti, che, quando la nuova contestazione riguarda un fatto non risultante dagli atti di indagine, non può essere mosso alcun rimprovero al pubblico ministero per non averla formulata tempestivamente in precedenza, d’altra parte, neppure l’imputato potrebbe essere censurato per non aver «previsto» la contestazione stessa. Non essendo addebitabile all’imputato alcuna colpevole inerzia, né potendogli essere addossate le conseguenze negative di un prevedibile sviluppo dibattimentale, il cui rischio sia stato deliberatamente assunto, la preclusione dell’accesso al giudizio abbreviato si tradurrebbe in una irragionevole discriminazione, lesiva del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, Cost.).

    Sarebbe violato anche l’art. 3 Cost., posto che, a fronte della contestazione suppletiva in questione, l’imputato potrebbe recuperare – secondo la Corte rimettente – i vantaggi connessi ad altri riti speciali, quali l’applicazione della pena su richiesta e l’oblazione, sulla base della normativa risultante dalle sentenze n. 265 del 1994 e n. 530 del 1995 della Corte costituzionale, mentre si vedrebbe irrazionalmente inibito l’accesso al giudizio abbreviato.

    Il giudice a quo si dichiara, per altro verso, consapevole del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in forza del quale non è ammessa la richiesta di giudizio abbreviato «parziale», limitata, cioè, ad una parte soltanto delle imputazioni cumulativamente formulate contro la stessa persona. Tale orientamento, elaborato con riguardo a richieste tempestivamente proposte, potrebbe, tuttavia, non valere per la fattispecie di cui si discute, nella quale la nuova contestazione è diretta ad adeguare l’imputazione alle risultanze dibattimentali, senza che venga garantita all’imputato la possibilità di formulare una tempestiva richiesta di giudizio abbreviato.

    La questione sarebbe, di conseguenza, rilevante nel giudizio a quo, giacché, nell’ipotesi di suo accoglimento, l’imputato – una volta ammesso al rito alternativo – potrebbe beneficiare, nel caso di conferma della sentenza di condanna, della riduzione di un terzo della pena ritenuta equa.

  2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

    L’interveniente rileva che la Corte costituzionale si è già reiteratamente espressa sulla tematica evocata dall’ordinanza di rimessione, evidenziando come l’impossibilità di beneficiare dei vantaggi connessi ai riti alternativi, nel caso di modifica dell’imputazione correlata agli esiti dell’istruzione dibattimentale, rientri nelle «regole del gioco» note alle parti processuali: con la conseguenza che l’imputato, il quale non abbia optato nei termini per detti riti, «non ha che da addebitare a sé medesimo le conseguenze della propria scelta». Ciò, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di contestazione dibattimentale relativa ad un fatto che già emergeva dagli atti di indagine: situazione nella quale le valutazioni dell’imputato circa la convenienza del rito speciale risultano sviate da una condotta «anomala» del pubblico ministero.

    Nessuna lesione del diritto di difesa sarebbe, dunque, ravvisabile nella fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio, posto che l’imputato, rimanendo inerte, si è privato della possibilità di accedere al rito abbreviato, con riferimento al reato oggetto di contestazione suppletiva, non per una condotta anomala dell’organo dell’accusa, ma per propria libera determinazione, implicante l’assunzione del «rischio» della possibile modifica dell’imputazione nel corso dell’istruzione dibattimentale.

    Ciò, senza considerare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 265 del 1994, ha ravvisato nel giudizio abbreviato una procedura inconciliabile con quella dibattimentale, ritenendo, in pari tempo, non costituzionalmente obbligata la soluzione di prevedere, nell’ipotesi in esame, un meccanismo di trasformazione del rito.

    Neppure, infine, sarebbe configurabile una lesione del principio di eguaglianza, «non sussistendo la denunciata disparità di trattamento tra imputati per i quali sia stato aperto il dibattimento e imputati per i quali non lo sia stato trattandosi di situazioni assolutamente non omogenee e raffrontabili».

    Considerato in diritto

  3. – La Corte d’appello di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa chiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che non risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale (ossia, in pratica, quando si tratti di fatto emerso solo nel corso dell’istruzione dibattimentale).

    Ad avviso della Corte rimettente, la preclusione dell’accesso al rito abbreviato si tradurrebbe in una irragionevole compressione del diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione), non essendo addebitabile all’imputato, nel caso considerato, alcuna colpevole inerzia, con correlata impossibilità di addossargli le conseguenze negative di un prevedibile sviluppo dibattimentale, il cui «rischio» sia stato deliberatamente assunto.

    Sarebbe violato, altresì, l’art. 3 Cost., posto che, a fronte della contestazione suppletiva in questione, l’imputato potrebbe, secondo il giudice a quo, recuperare i vantaggi connessi ad altri riti speciali – in particolare, il patteggiamento e l’oblazione, per effetto delle sentenze n. 265 del 1994 e n. 530 del 1995 della Corte costituzionale – mentre si vedrebbe ingiustificatamente inibito l’accesso al giudizio abbreviato.

  4. – In via preliminare, va rilevato come non costituisca motivo di inammissibilità della questione il fatto che, alla stregua di un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, non sarebbe consentita la richiesta di giudizio abbreviato «parziale», limitata, cioè, a una parte soltanto delle imputazioni cumulativamente formulate nei...

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