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AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@CORTE DI CASSAZIONE PENALE sez. un., 19 maggio 2010, n. 18775 (c.c. 17 dicembre 2009). Pres. Fazzioli – Est. Siotto – P.G. Lo Voi (diff.) – Ric. Mammoliti

Istituti di prevenzione e pena (ordinamento penitenziario) – Misure alternative alla detenzione in genere – Istanza – Omessa dichiarazione o elezione di domicilio – Inammissibilità

La richiesta di misura alternativa proposta ai sensi dell’art. 656, comma 6, c.p.p. deve essere corredata, a pena di inammissibilità, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio del condannato prevista dall’art. 677, comma 2 bis, c.p.p.; tale obbligo non può essere assolto con modalità diverse da quelle previste; l’obbligo in questione sussiste pur quando l’istanza sia presentata dal difensore, a meno che il condannato risulti in atti irreperibile o latitante. (Mass. Redaz.) (c.p.p., art. 656; c.p.p., art. 677) (1)

    (1) Nel risolvere il contrasto giurisprudenziale esistente sull’argomento le SS.UU. hanno inoltre ritenuto inammissibile la richiesta di misura alternativa presentata dal difensore, nella quale era indicato il domicilio del proprio assistito, nella specie né latitante né irreperibile.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio di Calabria ha in data 3 marzo 2009 emesso nei confronti di Mammoliti Domenico – residente in San Luca, via Campania, e domiciliato in Bovalino, via San Nicola n. 10 – un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti (contemplante la pena residua di anni due di reclusione ed euro 30.151, 98 di multa, nonché la misura di sicurezza della libertà vigilata per anni tre), ordinandone contestualmente la sospensione ai sensi dell’art. 656, comma 5, c.p.p.. In tale provvedimento veniva dato avviso al condannato della facoltà di presentare richiesta di misura alternativa alla detenzione o di altro provvedimento attribuito dalla legge alla Magistratura di Sorveglianza nonché l’obbligo di presentare, unitamente ad essa, la dichiarazione o l’elezione di domicilio; si dava inoltre atto che il condannato risultava assistito dal difensore di fiducia Avv. Francesco Lojacono.

Con istanza rivolta al predetto P.M., depositata il 28 marzo 2009, l’Avv. Francesco Lojacono, in qualità di difensore di fiducia del Mammoliti, ha chiesto l’ammissione del suo assistito alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale e, in subordine, a quella della semilibertà o alla detenzione domiciliare, rappresentando che “costui risiedeva, per ragioni di lavoro, in Formello, viale delle Rughe 42”.

Il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Reggio di Calabria, al quale l’istanza era stata trasmessa ai sensi del comma 6 dell’art. 656 c.p.p., precisato che il Mammoliti risultava residente in Formello, viale delle Rughe n. 42, ha, con decreto 26 maggio 2009, dichiarato de plano inammissibile l’istanza stessa sul duplice rilievo che il condannato non aveva dichiarato o eletto domicilio, come previsto dall’art. 677, comma 2 bis, c.p.p. e che difettava il mandato difensivo. Il decreto veniva notificato al Mammoliti in data 8 giugno 2009 in Bovalino, via San Nicola n. 10, luogo indicato nella relata come residenza di quest’ultimo.

Per l’annullamento di tale decreto ha proposto ricorso per cassazione (depositato il 26 giugno 2009) il difensore di Domenico Mammoliti, Avv. Francesco Lojacono.

Nel ricorso è stata prospettata la violazione degli artt. 656, commi 5 e 6, e 677, comma 2bis, c.p.p per essere stata dichiarata la inammissibilità de plano dell’istanza di misure alternative alla detenzione sulla base dell’errato presupposto dell’assenza del mandato a favore del difensore e del difetto di dichiarazione o di elezione di domicilio da parte dell’interessato. Sotto il primo profilo il ricorrente difensore ha prospettato l’errore materiale in cui sarebbe incorso il Tribunale di Sorveglianza, in quanto l’Avv. Lojacono aveva assistito il Mammoliti sia nel fase del giudizio sia nella fase dell’esecuzione, sicché, in base a quanto previsto dall’art. 656, comma 5, c.p.p. (l’istanza può essere presentata “dal difensore nominato per la fase dell’esecuzione” o dal “difensore che ... ha assistito [il condannato] nella fase del giudizio”) non si sarebbe potuto esigere un ulteriore atto di nomina. Sotto il secondo profilo, afferente la mancata dichiarazione o elezione di domicilio da parte dell’interessato, il ricorrente ha rammentato che in ogni caso la residenza risultava evidenziata anche nell’istanza presentata dal difensore ex art. 656 c.p.p. e che tale indicazione era di per sé idonea a soddisfare l’esigenza imposta dall’art. 677, comma 2 bis, c.p.p. (in proposito citando, Cass. Sez. I, 12 marzo 2004, n. 15330, Poggi, non massimata). Il difensore, infine, ha rappresentato che, in conseguenza del provvedimento impugnato, Domenico Mammoliti era stato tratto in arresto per l’espiazione della pena.

Il P.G., nella requisitoria del 23 luglio 2009, ha chiesto l’annullamento senza rinvio del decreto impugnato, ritenendo palesemente errati i presupposti su cui era fondata la pronuncia.

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La Sezione Feriale di questa Corte, assegnataria del ricorso, all’udienza camerale del 27 agosto 2009 ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto sull’interpretazione dell’art. 677, comma 2 bis, c.p.p. in ordine alla possibilità che la dichiarazione o la elezione di domicilio possa essere fatta dal difensore, anziché dall’interessato.

Il Collegio, premesso che nella specie il difensore aveva ricevuto regolare mandato difensivo, esso risultando chiaramente dal decreto del Procuratore della Repubblica di Reggio di Calabria del 3 marzo 2009, ha rilevato, in merito alla questione della titolarità del potere di effettuare la elezione o la dichiarazione di domicilio, che correttamente era stato richiamato dalla difesa il precedente reso da Sez. I, n. 15330 del 2004, che aveva affermato la ammissibilità, pur in difetto di dichiarazione o elezione di domicilio da parte del condannato, della istanza del difensore recante “l’indicazione del domicilio”, ritenendola “equipollente” alla dichiarazione di domicilio fatta dall’interessato; ma ha, di converso, rammentato la esistenza di un contrario principio di diritto (cfr. ex multis: Sez. I, 10 febbraio 2004, n. 9678, Ronga, RV. 227233; Sez. I, 23 gennaio 2004, n. 11042, Zuccalà, non massimata; Sez. I, 18 febbraio 2004, n. 15308, Nappi, non massimata; Sez. I, 16 marzo 2004, n. 15425, Larocca, RV. 227758; Sez. I, 20 marzo 2004, n. 20968, Genovese, RV. 228367; Sez. I, 16 febbraio 2004, n. 25666, Guarino, non massimata; Sez. I, 9 ottobre, n. 42290, Curci, non massimata), secondo il quale siffatta formalità non può essere surrogata dalla mera indicazione di un domicilio nell’istanza sottoscritta e presentata dal difensore, stante la sua natura strettamente personale. E dell’uno e dell’altro indirizzo ha accuratamente scrutinato le ragioni a sostegno.

Con decreto del 2 ottobre 2009, il Presidente Aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone la trattazione all’odierna udienza camerale.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria del 9 novembre 2009, ha sostenuto che, in base al principio generale di cui all’art. 99 c.p.p. ed all’assenza nella specie di una riserva espressa a favore del solo condannato, sarebbe contraddittorio, in un sistema che consente la proposizione dell’istanza anche al difensore, imporre il contestuale intervento del condannato per l’effettuazione della dichiarazione di domicilio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – L’oggetto del contrasto segnalato dall’ordinanza di rimessione – e delineato dal confronto tra le sopra citate pronunce – può essere sintetizzato nel seguente quesito:

“Se, ai fini dell’ammissibilità della richiesta di misura alternativa alla detenzione o di altro provvedimento attribuito alla competenza della magistratura di sorveglianza, la dichiarazione od elezione di domicilio possano essere validamente effettuate, oltre che personalmente dallo stesso condannato anche dal difensore”.

Va al riguardo rilevato che la giurisprudenza di questa Corte è pressoché unanime nel ritenere la dichiarazione od elezione di domicilio di cui all’art. 677, comma 2 bis, c.p.p., come un atto personalissimo che può essere fatto soltanto dal condannato (Sez. I, 19 febbraio 2004, n. 9678, Ronga, RV. 227233; Sez. I, 23 gennaio 2004, n. 11042, Zuccalà, non massimata) e, quindi non delegabile al difensore (Sez. I, 20 marzo 2004, n. 20968, Genovese, RV. 228367; Sez. I, 10 marzo 2004, n. 23907, Cisterna, RV. 229521; Sez. I, 16 marzo 2004, n. 23900, Feltre, non massimata; Sez. I, 18 febbraio 2004, n. 155308, Nappi, non massimata; Sez. I, 3 febbraio 2004, n. 25666, Guarino, non massimata; Sez. I, 19 ottobre 2004, n. 42290, Curci, non massimata; Sez. I, 26 aprile 2006, n. 18492, Gliori, non massimata); che tale onere sussiste non soltanto nel caso di istanza presentata personalmente dal condannato (Sez. I, 16 marzo 2004, n. 15425, Larocca, RV. 227758; Sez. I, 16 gennaio 2004, n. 3940, Vinaccio, non massimata; Sez. I, 25 febbraio 2004, n. 14934, Sollo, non massimata; Sez. I, 18 febbraio 2004, n. 15308, Schiano, non massimata; Sez. I , 16 marzo 2004, n. 14934, non massima; Sez. I, 16 marzo 2004, n. 22707, Viterbo, non massimata; Sez. I, 26 aprile 2006, n. 18492, Gliori, non massimata), ma anche quando l’istanza sia presentata dal difensore (Sez. I, 16 marzo 2004, n. 23900, Feltre, non massimata), poiché la dichiarazione o l’elezione di domicilio da parte dell’interessato può ben essere contenuta o allegata all’istanza del difensore.

In contrasto con tali approdi giurisprudenziali si pone la sentenza Sez. I. 12 marzo 2004, n. 15330, Poggi, non massimata, che ha ritenuto equipollente alla dichiarazione od elezione di domicilio, senza tuttavia indicarne la ragione, la “indicazione” del domicilio fatta dal difensore nella istanza. Si é espressa criticamente anche parte della dottrina; questa, infatti, ha rilevato: che la...

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