Sentenza nº 199 da Constitutional Court (Italy), 20 Luglio 2012

RelatoreGiuseppe Tesauro
Data di Resoluzione20 Luglio 2012
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 199

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Franco GALLO Giudice

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

- Paolo GROSSI "

- Giorgio LATTANZI "

- Aldo CAROSI "

- Marta CARTABIA "

- Sergio MATTARELLA "

- Mario Rosario MORELLI "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, promossi con ricorsi delle Regioni Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e della Regione autonoma della Sardegna, notificati il 12 ottobre, il 14-16, il 14-18 ed il 15 novembre 2011, depositati il 21 ottobre, il 18, il 22, il 23 ed il 24 novembre 2011, rispettivamente iscritti ai nn. 124, 134, 138, 144, 147 e 160 del registro ricorsi 2011.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per le Regioni Emilia-Romagna ed Umbria, Massimo Luciani per la Regione autonoma della Sardegna, Renato Marini per la Regione Lazio, Ugo Mattei e Alberto Lucarelli per la Regione Puglia, Stefano Grassi per la Regione Marche e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — Con ricorso (reg. ric. n. 124 del 2011), notificato il 12 ottobre 2011 e depositato il successivo 21 ottobre, la Regione Puglia ha impugnato, fra l’altro, l’articolo 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, nella parte in cui la predetta norma, intitolata «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», detta la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, per violazione degli articoli 117, primo e quarto comma, 118, nonché degli articoli 5, 75, 77 e 114 della Costituzione.

    1.1.— In particolare, la ricorrente sostiene che il citato art. 4, limitando le ipotesi di affidamento in house dei servizi pubblici locali senza gara al di sotto di 900.000 euro alle società a capitale interamente pubblico, ed in generale comprimendo in capo agli enti territoriali e locali il potere di qualificare la natura dei predetti servizi e di scegliere i relativi modelli di gestione, al di là di ogni obiettivo di tutela degli aspetti concorrenziali inerenti alla gara, contrasterebbe con i principi di autodeterminazione degli enti locali (artt. 5, 114, 117 e 118 Cost.). La norma impugnata contrasterebbe poi anche con l’articolo 345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), espressione del principio di neutralità rispetto agli assetti proprietari delle imprese e alle relative forme giuridiche, e con il principio della cosiddetta preemption, in virtù del quale l’esistenza di una regolamentazione europea precluderebbe l’adozione di discipline divergenti, ponendo peraltro nel nulla intere disposizioni dei Trattati (gli artt. 14 e 106, comma 2, TFUE, ma anche l’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

    Il predetto art. 4, inoltre, reintrodurrebbe la disciplina contenuta nell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, che era stato abrogato dal referendum del 12-13 giugno 2011, riproducendone i medesimi principi ispiratori e le medesime modalità di applicazione, in violazione della volontà popolare espressa ex art 75 Cost., e ricorrendo ad un’interpretazione “estrema” delle regole della concorrenza e del mercato, lesiva delle competenze regionali in tema di servizi pubblici locali e di organizzazione degli enti locali.

    La Regione Puglia evoca, infine, la violazione dell’art. 77 Cost., considerato che, essendo direttamente applicabili nel nostro ordinamento le norme dell’Unione europea a seguito dell’abrogazione dell’art. 23-bis, non sussisterebbero, nella specie, le prescritte ragioni di «straordinaria necessità ed urgenza» per l’adeguamento della legislazione alla normativa sovranazionale, ben potendosi effettuare un simile intervento in coerenza con gli assetti decentrati introdotti dalla Costituzione e con il pieno rispetto della volontà del suo popolo, espressa attraverso il referendum.

  2. — Anche la Regione Lazio, con ricorso (reg. ric. n. 134 del 2011) spedito per la notifica il 14 novembre 2011 e depositato il successivo 18 novembre, ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’intero art. 4 del citato d.l. n. 138 del 2011 innanzitutto, per violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost. in quanto la norma impugnata, rimettendo all’ente locale la possibilità di sottrarre i servizi pubblici locali alla liberalizzazione, dopo aver verificato l’esistenza di benefici per la comunità derivanti dal mantenere il regime di esclusiva dei servizi stessi, senza alcun fine di tutela della concorrenza, conseguirebbe l’effetto illegittimo di “espropriare” l’ente regionale della regolazione della materia dei servizi pubblici su cui ha una competenza legislativa residuale.

    L’impugnata disciplina sarebbe, inoltre, costituzionalmente illegittima proprio in quanto riproduttiva di quella oggetto dell’abrogazione referendaria. Infatti, pur ritenendo che lo Stato goda, attraverso la tutela della concorrenza, di una competenza trasversale ed abbia la capacità di incidere sulle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali, a seguito dell’abrogazione referendaria di analoga disciplina legislativa statale, un simile intervento del legislatore statale «dovrebbe essere in concreto ritenuto radicalmente escluso», in conseguenza dell’effetto vincolante che su di esso deriva dalla suddetta abrogazione, incidendo in modo illegittimo, attraverso la concorrenza, su una materia di legislazione esclusiva della Regione.

  3. — Con ricorso spedito per la notifica il 14 novembre 2011, depositato il successivo 22 novembre, (reg. ric. n. 138 del 2011), la Regione Marche ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, dell’art. 4, commi 1, 8, 9 10, 11, 12, 13, 18 e 21, del medesimo d.l. n. 138 del 2011, in riferimento agli artt. 75 e 117, quarto comma, Cost.

    In particolare, essa ha impugnato, in primo luogo, i commi 1, 8, 9, 10, 11, 12 e 13 dell’art. 4, sia in relazione all’art. 75 che all’art. 117, quarto comma, Cost. in quanto, riproducendo pressocché integralmente l’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008, eluderebbero l’esito conseguito dal referendum popolare del giugno 2011 sul medesimo art. 23-bis, determinando una lesione indiretta delle proprie attribuzioni costituzionali ed in specie della propria potestà legislativa in materia di servizi pubblici locali. Dette disposizioni sarebbero costituzionalmente illegittime, in quanto affidando, al comma 1, direttamente agli enti locali il compito di decidere circa il regime giuridico dei servizi pubblici locali, sottrarrebbero alla Regione la scelta in questione, in violazione della competenza legislativa residuale in materia di servizi pubblici locali.

    La Regione Marche ha, inoltre, impugnato: il comma 18 del medesimo art. 4, nella parte in cui prevede che, in caso di affidamento in house, la verifica del rispetto del contratto di servizio avvenga secondo modalità definite dallo statuto dell’ente locale, in quanto, in tal modo, sottrarrebbe la disciplina di tale aspetto alla competenza legislativa regionale residuale in materia di servizi pubblici locali; il comma 21, in quanto, nella parte in cui dispone che «non possono essere nominati amministratori di società partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, di cui all’art. 77 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa società», invaderebbe la competenza legislativa regionale residuale in materia di ordinamento degli enti locali.

  4. — La Regione Emilia-Romagna e la Regione Umbria, con ricorsi, notificati il 15 novembre 2011, depositati il successivo 23 novembre (rispettivamente, reg. ric. n. 144 e n. 147 del 2011), hanno promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale, dei commi 8, 12, 13, 14, 32 e 33, del citato art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, in riferimento agli artt. 75 e 117, quarto comma, Cost.

    Esse impugnano, in primo luogo, i commi 8, 12, 13, 32 e 33, nella parte in cui, ripristinando norme già contenute nell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del...

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