Sentenza nº 31 da Constitutional Court (Italy), 23 Febbraio 2012

RelatoreAlessandro Criscuolo
Data di Resoluzione23 Febbraio 2012
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 31

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Franco GALLO Giudice

- Gaetano SILVESTRI “

- Sabino CASSESE “

- Giuseppe TESAURO “

- Paolo Maria NAPOLITANO “

- Giuseppe FRIGO “

- Alessandro CRISCUOLO “

- Paolo GROSSI “

- Giorgio LATTANZI “

- Aldo CAROSI “

- Marta CARTABIA “

- Sergio MATTARELLA “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 569 del codice penale promosso dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di M.L.F. con ordinanza del 31 gennaio 2011, iscritta al n. 141 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti l’atto di costituzione di De Rui Laura, nella qualità di curatore speciale della minore M.N., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 novembre 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Marilisa D’Amico e, in giudizio in proprio, Laura De Rui nella qualità di curatore speciale della minore M.N., per la parte civile, e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. — Il Tribunale di Milano, in composizione collegiale, con ordinanza del 31 gennaio 2011, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 27, terzo comma, 30 e 31 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 569 del codice penale, nella parte in cui prevede «l’applicazione automatica della pena accessoria della perdita della potestà genitoriale a seguito della commissione del reato di cui all’art. 567 c.p.».

  2. — Il rimettente premette di essere chiamato a celebrare un processo a carico di M.L.F., imputata del reato previsto e punito dall’articolo 567, secondo comma, cod. pen., «per avere alterato lo stato civile della figlia neonata M.N. nella formazione dell’atto di nascita, mediante false attestazioni consistite nel dichiararla come figlia naturale, sapendola legittima in quanto concepita in costanza di matrimonio con E.N.S.».

    Il collegio dà atto che, nella fase degli atti preliminari, la persona offesa minorenne M.N., tramite curatore speciale, si è ritualmente costituita parte civile. Nel corso del dibattimento la difesa di quest’ultima ha sollevato la questione di legittimità costituzionale nei termini sopra indicati, illustrandola con due memorie.

    In punto di rilevanza il tribunale rimarca che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale, perché in caso di condanna si troverebbe necessariamente ad applicare all’imputata anche la sanzione accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale. Invero, il tenore della norma non consente al giudice alcuno spazio di discrezionalità nell’applicare la citata pena accessoria.

    Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che, ai sensi dell’art. 2 Cost., la Repubblica garantisce e riconosce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e non si potrebbe dubitare che tra i diritti inviolabili del fanciullo vi sia quello di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che ciò comporti un grave pregiudizio.

    Ciò discenderebbe, in primo luogo, dagli artt. 30 e 31 Cost. e dall’art. 147 del codice civile, ma anche da una serie di norme internazionali, vigenti nel nostro ordinamento, e segnatamente dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176.

    L’art. 7 della Convenzione, infatti, attribuisce al bambino il diritto di conoscere i genitori e di essere allevato da essi, mentre il successivo art. 8 obbliga gli Stati a preservare le relazioni familiari del fanciullo, sempre fermo restando il suo interesse superiore (art. 3), a tutela del quale è possibile adottare provvedimenti di allontanamento o di ablazione della potestà genitoriale.

    Il collegio, inoltre, ritiene evidente che, proprio per tutelare i preminenti interessi del minore, gli eventuali provvedimenti di sospensione o decadenza dalla potestà genitoriale devono essere adottati caso per caso, all’esito dell’attento esame di tutte le peculiarità della fattispecie, al fine di stabilire se quei provvedimenti corrispondano effettivamente al preminente interesse del minore stesso. Ciò escluderebbe, ad avviso del rimettente, che la perdita della potestà genitoriale possa essere comminata in via del tutto automatica a seguito di una condanna per il delitto di alterazione di stato, reato che – a differenza di quello di cui all’art. 609-bis cod. pen. – non è di per sé sintomatico di una generalizzata pericolosità del genitore.

    Viceversa, il denunciato art. 569 cod. pen. prevede, secondo il rimettente, un automatismo de iure che escluderebbe qualsiasi valutazione discrezionale da parte del giudice circa l’interesse del minore nel caso concreto e violerebbe, quindi, gli evidenziati parametri costituzionali.

    Il tribunale non ignora che la Corte costituzionale si è già espressa sulla questione con l’ordinanza n. 723 del 1988, dichiarando la questione stessa manifestamente infondata ed affermando che, in caso di decadenza dei genitori, i diritti dei minori non sono pregiudicati in senso assoluto, perché la legge disciplina l’esercizio dei relativi compiti ad opera di terzi.

    Tuttavia, poiché l’interesse primario del figlio è quello di crescere ed essere educato all’interno della famiglia naturale, si dovrebbe porre in evidenza che occorre un vaglio da parte dell’autorità giudiziaria, al fine di verificare quale sia la migliore tutela per il minore nel caso concreto, ben potendo risultare irragionevole e, quindi, in contrasto con l’art. 3 Cost., l’applicazione automatica della pena accessoria della decadenza dalla potestà genitoriale a seguito di condotte (in ipotesi) ispirate proprio da una finalità di tutela del figlio, a causa di comportamenti pregiudizievoli posti in essere dall’altro genitore.

    Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 253 del 2003, è intervenuta sull’art. 222 cod. pen., che imponeva l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in un manicomio giudiziario in caso di proscioglimento per infermità psichica. In detta decisione la Corte ha affermato l’irragionevolezza di una norma «che esclude ogni apprezzamento della situazione da parte del giudice, per imporgli un’unica scelta, che può rivelarsi, in concreto, lesiva del necessario equilibrio fra le diverse esigenze».

    Il rimettente prosegue osservando che l’irragionevolezza dell’automatismo in questione emerge anche ove si consideri che i provvedimenti di sospensione o decadenza dalla potestà genitoriale, attribuiti al tribunale per i minorenni, di cui agli artt. 330 e 333 cod. civ., sono adottati all’esito di approfondita analisi della situazione, «solo quando vi sia la ricorrenza di un pregiudizio agito dai genitori nei confronti dei figli derivante da una mancata osservanza dei doveri nascenti dalla titolarità della potestà».

    Infine, ad avviso del rimettente, detta applicazione automatica della pena accessoria della potestà genitoriale si porrebbe in contrasto anche con l’art. 27, terzo comma, Cost., secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

    Sotto tale profilo, qualora il delitto di alterazione di stato commesso da un genitore sia stato motivato dalla finalità di preservare il figlio dai pregiudizi che potrebbero essergli arrecati dall’altro genitore, non si vede quale utile rieducazione possa ricavare il condannato dalla propria decadenza genitoriale. Ciò confermerebbe l’esigenza di un vaglio caso per caso circa l’opportunità di applicare al genitore, condannato per il delitto di cui all’art. 567 cod. pen., la pena accessoria di cui al successivo art. 569, prevista in via automatica e necessaria.

  3. — Con atto depositato in data 31 luglio 2011 si è costituita in giudizio...

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