n. 239 SENTENZA 22 ottobre 2014 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Firenze nel procedimento relativo a M.F. con ordinanza del 31 gennaio 2013, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2013. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 settembre 2014 il Giudice relatore Giuseppe Frigo. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 31 gennaio 2013 il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30 e 31 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), nella parte in cui estende il divieto di concessione dei benefici penitenziari, stabilito nei confronti dei detenuti e degli internati per taluni gravi delitti che non collaborino con la giustizia, anche alla misura della detenzione domiciliare speciale, prevista dall'art. 47-quinquies della medesima legge a favore delle condannate madri di prole di eta' non superiore a dieci anni. Il giudice a quo premette di essere investito dell'istanza di concessione della detenzione domiciliare speciale, presentata ai sensi del citato art. 47-quinquies da una donna di origine nigeriana, detenuta per l'espiazione della pena di nove anni e sei mesi di reclusione, risultante dal cumulo delle pene inflittele con tre sentenze irrevocabili di condanna, una delle quali relativa, tra l'altro, ai delitti di cui agli artt. 600 e 601 del codice penale (riduzione o mantenimento in schiavitu' o in servitu' e tratta di persone), compresi tra quelli in relazione ai quali opera il divieto sopra indicato. Al riguardo, il rimettente riferisce che l'interessata e' madre di un bambino nato il 9 febbraio 2008 (dunque di eta' inferiore a dieci anni) tenuto con se' dalla donna all'atto dell'ingresso in carcere - avvenuto l'11 febbraio 2009 - in quanto minore di tre anni a quella data. Dopo il compimento del terzo anno di eta', il Tribunale per i minorenni di Firenze aveva disposto l'affidamento del bambino ai servizi sociali, con provvedimento, peraltro, non ancora divenuto definitivo, a seguito del ricorso proposto dalla cognata della detenuta. Grazie all'iniziativa degli operatori dell'area educativa della casa circondariale era stata individuata una soluzione per permettere alla detenuta di occuparsi del figlio fuori del circuito carcerario, in una struttura di accoglienza messa a disposizione dal Comune di Firenze: soluzione che consentirebbe al Tribunale per i minorenni di rivedere la propria decisione. Nel rendere le informazioni richieste ai sensi dell'art. 4-bis, comma 2, della legge n. 354 del 1975, il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Firenze si era, d'altra parte, espresso nel senso dell'impossibilita' di escludere collegamenti della condannata con la criminalita' organizzata, senza, peraltro, offrire alcun elemento da cui desumere l'attualita' e la concretezza di detti collegamenti. Si dovrebbe, di conseguenza, ritenere che il periodo di carcerazione subito abbia dissolto ogni eventuale legame o contatto con organizzazioni criminali dell'interessata (peraltro, non condannata per delitti di tipo associativo). Ancorche' la soluzione proposta dagli operatori della casa circondariale appaia adeguata, soprattutto in rapporto alle esigenze del minore - il quale «in pratica sta crescendo in carcere con la madre per i reati da costei commessi» - e sebbene non sia ravvisabile alcun attuale e concreto pericolo di reiterazione delle condotte illecite da parte della condannata, la sua richiesta non potrebbe, allo stato, essere accolta. Vi osterebbe, infatti, la preclusione prevista dall'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, in forza del quale le misure alternative alla detenzione previste dal Capo VI del Titolo I di detta legge, esclusa la liberazione anticipata - misure che ricomprendono anche la detenzione domiciliare speciale - possono essere concesse ai detenuti e agli internati per taluni gravi delitti, ivi elencati, solo ove essi collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter. Tra i reati ostativi figurano, infatti, come sopra accennato, anche quelli di cui agli artt. 600 e 601 cod. pen., per i quali l'istante sta scontando la pena;

ne', d'altro canto, risulta accertata dal competente Tribunale di sorveglianza una collaborazione della detenuta con la giustizia, ovvero l'impossibilita', l'inesigibilita' o l'irrilevanza di tale collaborazione, che, consentirebbero di rimuovere la preclusione ai sensi del comma 1-bis dell'art. 4 della legge n. 354 del 1975. Neppure, poi, gioverebbe alla richiedente la scissione delle pene cumulate, al fine di verificare se quelle inflitte per i reati ostativi siano state integralmente espiate, con conseguente venir meno dei relativi effetti preclusivi. La pena irrogata all'interessata per i delitti di cui agli artt. 600 e 601 cod. pen. e' pari, infatti, a sette anni di reclusione, sicche' la sua integrale espiazione risulta ancora lontana. Cio' premesso, il giudice a quo dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui estende la disciplina da esso dettata anche alla misura prevista dall'art. 47-quinquies. Il rimettente osserva che la norma censurata preclude l'accesso ai benefici penitenziari ai soggetti riconosciuti responsabili di gravi delitti, sancendo nei loro confronti «una sorta di presunzione di pericolosita'» che prescinde quasi del tutto dall'esame della personalita' del condannato e dagli esiti del trattamento penitenziario. Detta preclusione assoluta, che esclude ogni discrezionalita' della magistratura di sorveglianza nella concessione del beneficio, trova un temperamento solo in presenza di un particolare comportamento attivo del condannato, rappresentato dalla collaborazione con la giustizia, accertata dal tribunale di sorveglianza con procedura camerale (art. 58-ter, comma 2, della legge n. 354 del 1975), ovvero nel caso di riconoscimento dell'inesigibilita', impossibilita' o irrilevanza di tale collaborazione. Siffatto regime preclusivo e' sancito in rapporto ai benefici penitenziari, e specialmente alle misure alternative alla detenzione, costituenti uno dei principali strumenti di realizzazione della finalita' rieducativa della pena, enunciata dall'art. 27, terzo comma, Cost. Peraltro, se puo' apparire «comprensibile e ragionevole» che il legislatore, nella sua discrezionalita', individui per i responsabili di alcuni gravi delitti un percorso piu' complesso e impegnativo di quello normalmente necessario per accedere ai benefici penitenziari, la conclusione muterebbe necessariamente di segno quando il «diritto "ostacolato"» abbia «poco o nulla a che vedere con la situazione esecutiva di un condannato». Benche' inclusa, ratione materiae, nel Capo VI del Titolo I della legge n. 354 del 1975, la detenzione domiciliare speciale differirebbe profondamente dalle altre misure alternative alla detenzione. Essa prescinderebbe, infatti, «da qualsiasi contenuto rieducativo o trattamentale», essendo volta unicamente a ripristinare, ove possibile, la convivenza tra madre e figli, cosi' da consentire alla prole di fruire delle cure di cui abbisogna per un corretto sviluppo fisio-psichico. La misura in questione sarebbe finalizzata, dunque, alla tutela di quel «superiore interesse» del minore cui fa riferimento l'art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza del quale «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorita' amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente». La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 31 del 2012, ha posto puntualmente l'accento sull'importanza dell'interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione, «interesse complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che hanno trovato riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento internazionale sia in quello interno». In tale prospettiva, risulterebbe lesivo del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) sottoporre indiscriminatamente tutte le misure alternative alla detenzione ai vincoli e alle preclusioni di cui all'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, trascurando la diversita' «quasi ontologica» tra le misure che hanno come finalita' il reinserimento sociale del condannato, e che costituiscono percio' dei «benefici», e la detenzione domiciliare speciale, che mira invece a proteggere l'infanzia. In questo modo, il «superiore interesse» del minore, anziche' prevalere, «cedere[bbe] il passo innanzi alla pretesa punitiva dello Stato ed ai rigori che il Legislatore ha inteso prevedere per l'accesso ai benefici penitenziari per i responsabili di gravi delitti». Non sarebbe, in effetti, ragionevole addossare sulle «fragili spalle» del minore le conseguenze delle gravi responsabilita' penali della madre, e tantomeno quelle della sua scelta...

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