Sentenza nº 349 da Constitutional Court (Italy), 28 Luglio 1993

RelatoreMauro Ferri
Data di Resoluzione28 Luglio 1993
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 349

ANNO 1993

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'Ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), introdotto dall'art.19 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n. 356, promossi con n. 6 ordinanze emesse il 9 gennaio 1993 dal Tribunale di sorveglianza di Ancona, iscritte ai nn. 106, 107, 175, 176, 177 e 178 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 18, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

l.l. Con due ordinanze di identico contenuto, entrambe emesse il 9 gennaio 1993, il Tribunale di sorveglianza di Ancona ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, secondo comma, della legge sull'Ordinamento penitenziario, in riferimento agli artt. 13, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo, chiamato a deliberare in merito ad alcuni reclami proposti avverso l'applicazione del regime detentivo di cui al citato art. 41 bis, dopo aver affermato, in seguito ad ampia disamina, sia la propria giurisdizione che la propria competenza, ritiene che la normativa introdotta della norma impugnata (improntata all'esigenza di predisporre un trattamento di particolare rigore nei confronti di detenuti che, in ragione del reato loro ascritto, appaiono forniti di un elevato grado di pericolosità sociale) sia, sotto diversi profili, confliggente con i parametri costituzionali prima indicati.

l.2. In primo luogo, premesso che la tutela prevista dal secondo comma dell'art. 13 della Costituzione si sostanzia in una riserva di legge e in una riserva di giurisdizione sul diritto alla libertà personale, il remittente ritiene che il concreto contenuto precettivo del regime introdotto dalla disposizione in esame comporti una restrizione della libertà personale riconducibile alla citata tutela costituzionale: il detenuto sottoposto a tale regime detentivo vede ulteriormente compressi i propri spazi residui di libertà personale (permanenza all'aria aperta, possibilità di esperire attività lavorativa artigianale per conto proprio e per conto terzi, acquisto di generi alimentari, colloqui con i familiari, sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, possibilità di ricevere pacchi dall'esterno, ecc.) rispetto a ciò che costituisce il trattamento ordinario. Il fatto che tali restrizioni vengano applicate da un atto della pubblica amministrazione (nella specie: dell'amministrazione penitenziaria) senza che sia previsto un intervento, neanche in via di ratifica, dell'Autorità giudiziaria, costituisce, ad avviso del remittente, un evidente contrasto con il disposto del secondo comma dell'art.13 della Costituzione.

l.3. Inoltre, premesso che il principio di rieducazione della pena sancito dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, va correttamente inteso come finalizzazione dell'esecuzione penale al raggiungimento del reinserimento sociale del reo, il Tribunale di sorveglianza di Ancona ravvisa un'ulteriore illegittimità della disciplina in esame per la sottoposizione di alcuni detenuti, selezionati quasi semplicemente in base al titolo di reato, ad un regime indiscriminatamente sanzionatorio, ispirato ad un ottica di mera neutralizzazione, contrastante, per di più, anche con il principio di individualizzazione dell'esecuzione penale.

Per altro verso, prosegue il remittente, la violazione dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, viene anche in rilievo considerando che la sospensione delle regole di trattamento per un tempo indubbiamente rilevante (tre anni decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge di con versione del decreto legge n. 306 del 1992) implica la rinunzia a qualsivoglia intervento dello Stato inteso a rimuovere le cause del disadattamento sociale; proprio ciò cui dovrebbe tendere, invece, il trattamento rieducativo, che costituisce un vero e proprio diritto del condannato.

  1. l. Il medesimo art. 41 bis, secondo comma, viene impugnato con censure sostanzialmente identiche (pur se riferite formalmente anche al primo comma dell'art. 13 della Costituzione e non solo al secondo) dal medesimo Tribunale remittente con altre tre ordinanze pronunciate il 9 gennaio 1993.

  2. l. Con un'ultima ordinanza emessa il 9 gennaio 1993 il Tribunale di sorveglianza di Ancona, dopo aver reiterato i dubbi di costituzionalità sulla citata norma in riferimento al principio rieducativo della pena sancito dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione, solleva ulteriori censure, in riferimento agli artt. 15, secondo comma, 97, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione.

    3.2. Sussisterebbe, in primo luogo, la violazione dell'art. 15, secondo comma, della Costituzione, in quanto la disposizione impugnata, sospendendo la vigenza delle norme dell'Ordinamento penitenziario in ordine al visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, esclude il motivato provvedimento del magistrato di sorveglianza. Rileva il giudice remittente che il provvedimento ministeriale emesso in applicazione della norma impugnata prevede, tra l'altro, la sottoposizione della corrispondenza epistolare e telegrafica del detenuto direttamente al...

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