Sentenza nº 189 da Constitutional Court (Italy), 28 Maggio 2010

RelatoreGaetano Silvestri
Data di Resoluzione28 Maggio 2010
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 189

ANNO 2010

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA ”

- Alfio FINOCCHIARO ”

- Alfonso QUARANTA ”

- Franco GALLO ”

- Luigi MAZZELLA ”

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Maria Rita SAULLE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 1, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Palermo con ordinanza del 19 maggio 2009, iscritta al n. 276 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 maggio 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto in fatto

  1. − Con ordinanza deliberata il 19 maggio 2009, il Tribunale di sorveglianza di Palermo ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 29, 30 e 31 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), che stabilisce il divieto di concessione dei benefici penitenziari ai condannati resisi responsabili di condotte punibili ai sensi dell’art. 385 del codice penale.

    Il rimettente è chiamato a provvedere sull’istanza di ammissione ad una delle misure alternative previste dagli artt. 47, 47-ter e 48 della legge n. 354 del 1975, presentata il 20 giugno 2008 da una condannata – madre di figli minori conviventi, di cui uno infradecenne – che deve espiare la pena di mesi tre e giorni ventotto di reclusione, inflitta per il reato di evasione, con sentenza divenuta esecutiva il 20 marzo 2007.

    Il reato di evasione, per quanto riferito dal giudice a quo, è stato commesso il 21 ottobre 2006, durante l’esecuzione di una misura cautelare – gli arresti domiciliari – applicata nell’ambito di un procedimento poi concluso con sentenza irrevocabile di condanna ad una pena detentiva, in seguito integralmente espiata. La censurata preclusione trova dunque applicazione al caso di specie, non essendo ancora trascorso il triennio dal momento della commissione del reato di evasione.

    Il Tribunale evidenzia inoltre la carenza dei requisiti per l’ammissione dell’istante ai regimi di detenzione domiciliare specificamente previsti per le condannate madri, di cui agli artt. 47-quinquies, 47-ter, comma 1-ter, della legge n. 354 del 1975 ed all’art. 147 cod. pen., da ritenersi non compresi nel novero delle misure per le quali vige la censurata preclusione: ciò in quanto per un verso la prole risulta avere superato i tre anni di età e, per altro verso, la condannata non ha espiato un terzo della pena in esecuzione.

    1.1. – Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente osserva come la previsione contenuta nell’art. 58-quater, comma 1, dell’ordinamento penitenziario meriti di «essere censurata sia in radice sia in parte qua».

    Le censure «radicali» vertono essenzialmente sulla violazione del canone di ragionevolezza, del principio di uguaglianza e della finalità rieducativa della pena. Secondo il rimettente, la disciplina in esame accomuna irragionevolmente, ai fini della preclusione triennale perl’accesso ai benefici, «una varietà di condotte tra loro profondamente diverse quanto a gravità oggettiva e soggettiva, a pericolosità sintomatica, a rilevanza prognostica ai fini della concedibilità dei benefici penitenziari», con l’effetto paradossale che, ove la pena inflitta abbia durata inferiore ai tre anni, «l’interdizione da parziale e temporanea diventa totale e definitiva».

    Il rimettente lamenta inoltre che il medesimo trattamento penitenziario riguardi tanto coloro i quali evadono dal carcere, così dimostrando elevata pericolosità e inaffidabilità prognostica, quanto coloro i quali evadono dagli arresti domiciliari, allontanandosi dal domicilio anche per poco tempo, in contesti di vita quotidiana ove le condotte di allontanamento assumono piuttosto il carattere dell’infrazione prescrittiva, e sono dunque prive di reale offensività.

    Lirragionevolezza della norma, a parere del giudice a quo, risulterebbe ulteriormente aggravata dopo l...

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