Costituzione e perquisizione dei detenuti

AutoreTania Ceccarini
Pagine320-323

Page 320

@1. Il detenuto nella giurisprudenza della Corte costituzionale.

Con la sentenza che si annota, la Corte costituzionale, in anticipo su recenti fatti di cronaca, ha affrontato la delicata questione della sindacabilità dei provvedimenti d'urgenza della P.P. nei confronti di persona detenuta.

La vicenda trae origine dal reclamo con il quale un detenuto lamentava l'illegittimità della sanzione disciplinare irrogatagli a causa del suo rifiuto di effettuare nudo le flessioni sulle gambe davanti agli agenti di polizia penitenziaria in sede di perquisizione personale.

Il giudice a quo si era posto, in primo luogo, la domanda circa «l'illegittimità costituzionale della sanzione inflitta per l'inosservanza di un ordine non legittimo» e, in secondo luogo, «circa la non manifesta infondatezza dell'art. 34 dell'ordinamento penitenziario con gli artt. 3, 13, 24, 97, 113 della Costituzione».

L'inserimento dell'art. 34 risale all'introduzione della riforma penitenziaria del 1975, con l'intento, tra gli altri, di dare una risposta alla crisi del sistema carcerario con una ristrutturazione in conformità alle norme costituzionali 1.

Il risultato complessivo individua un meccanismo particolarmente attento al rispetto della dignità del detenuto con alcune zone d'ombra là dove l'esigenza di sicurezza dell'organizzazione carceraria si scontra con quella opposta del rispetto della personalità del detenuto 2.

A complicare il coordinamento con le norme costituzionali era intervenuta la cosiddetta legislazione d'emergenza, che il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, poi conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 203 aveva previsto agli artt. 4 bis, 14 ter, 41 bis norme speciali per i detenuti per taluni delitti 3.

È stata proprio l'introduzione di questa normativa ad offrire alla Corte costituzionale l'occasione per affermare alcuni principi di ordine generale, rilevanti per il caso in esame 4.

In particolare, con la sentenza del 18 ottobre 1996, n. 351 la Corte ha riconosciuto l'esistenza di un «limite interno» all'esercizio del potere ministeriale ravvisato nel fatto che «non possono disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento». Nell'affermazione di questi principi, la Corte non ha mancato di sottolineare che in difetto di «tale congruità» viene meno la rispondenza «al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate», non solo, ma il significato complessivo di tali misure verrebbe stravolto, con l'effetto di trasformarle in «deroghe ingiustificate al regolamento carcerario, con una portata puramente afflittiva non riconducibili alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale» 5.

Più oltre, la Corte si preoccupa di individuare un ulteriore limite all'esercizio del potere ministeriale «nel divieto di disporre trattamenti contrari al senso di umanità e all'obbligo di dar conto dei motivi di un'eventuale deroga del trattamento rispetto alle finalità rieducative della pena» 6.

Quest'ultimo concetto è ripreso direttamente dalla precedente sentenza n. 349 del 1993 della Corte costituzionale, nella quale tra l'altro riconosceva all'amministrazione penitenziaria il potere di «adottare provvedimenti in ordine alle modalità di esecuzione della detenzione che non eccedono il sacrificio della libertà già potenzialmente imposto al detenuto con la sentenza di condanna, e che naturalmente rimangono soggetti ai limiti ed alle garanzie previsti dalla Costituzione in ordine al divieto di ogni violenza fisica e morale (art. 13 comma 4), di trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27 comma 3), ed al diritto di difesa (art. 24)».

Nella medesima occasione, la Corte non ha mancato di affermare con estremo rigore che «i diritti inviolabili dell'uomo, fra cui quello della libertà personale, rispondono ad un principio fondamentale che ha carattere generale: la loro limitazione o soppressione ha carattere derogatorio ad una regola generale e quindi ha natura eccezionale».

Da queste premesse, la Corte traeva la qualificazione dell'ordinamento penitenziario quale «tipico ordinamento derogatorio dei diritti inviolabili dell'uomo», con il conseguente divieto dell'applicazione analogica e dall'altro l'interpretazione in modo rigorosamente restrittivo e, infine, la necessità della «puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui vanno rivolti» 7.

Lo scopo di quest'ultima affermazione, reso esplicito senza ambiguità nella sentenza, va ricondotto al fine di «consentire all'interessato un'effettiva tutela giurisdizionale», il cui contenuto è ravvisato nel divieto di «disporre trattamenti contrari al senso di umanità» e del controllo «di un'eventuale deroga del trattamento rispetto alle finalità rieducative della pena».

Su questa posizione si assesta la successiva sentenza n. 410 del 1995, che con estrema chiarezza ribadisce che i provvedimenti che l'amministrazione penitenziaria può «certamente» adottare in ordine alle modalità di esecuzione della pena sono «naturalmente» soggetti ai limiti ed alle garanzie previste dalla Costituzione in ordine al diritto di difesa, al divieto di ogni violenza fisica e morale, e di trattamenti contrari al senso di umanità 8. Da qui, l'importantePage 321 riconoscimento della sindacabilità da parte del giudice ordinario «in via generale sull'operato dell'amministrazione penitenziaria e sui provvedimenti concernenti l'esecuzione».

Dalla ricostruzione di questo panorama giurisprudenziale, si perviene al riconoscimento di importanti principi: a) il detenuto, non diventa una res, ma conserva la dignità di persona, sia pure in stato di libertà coartata;

b) il giudice ordinario è competente a conoscere qualsiasi controversia sorta in sede di applicazione della pena;

c) il controllo viene effettuato sulla motivazione degli atti, posti in essere dall'amministrazione penitenziaria.

@2. La perquisizione personale e la sindacabilità dei provvedimenti d'urgenza della P.P.

Giunti a questo punto si pone in maniera forte l'esigenza di ricostruire in concreto il quadro normativo, che prevede le perquisizioni 9.

In particolare, l'art. 34 della legge 354 del 1975 prevede espressamente «I detenuti e gli internati possono essere sottoposti a perquisizione personale per motivi di sicurezza». Il legislatore ha la massima cura di precisare che «La perquisizione deve essere effettuata nel pieno rispetto della personalità».

Sulle concrete modalità d'esecuzione, interviene l'art. 69 del Regolamento penitenziario che precisa che «il personale che effettua la perquisizione e quella che vi assiste deve essere dello stesso sesso del soggetto perquisito».

In proposito, è appena il caso di sottolineare la cautela non solo raccomandata, ma stabilita come presupposto di legittimità della perquisizione. La Corte ribadisce per fugare qualsiasi dubbio che «la perquisizione non può essere eseguita, quando è possibile compiere l'accertamento con strumenti di controllo» e «il rispetto...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT