Vincoli di destinazione e aree di parcheggio

AutoreAntonio De Mauro
Pagine51-58

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La disciplina degli spazi di parcheggio1, da realizzarsi all’edificazione di una nuova costruzione, ha sempre posto, fin dal suo sorgere, problemi inerenti sia alla natura del bene, che alla effettiva destinazione dello stesso.

La norma, che introduce il tema delle aree di parcheggio, è l’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 che, modificando l’art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, prevede testualmente che: “nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenze delle stesse, debbano essere ricavati appositi spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato ogni venti metri cubi di costruzione”.

Tale disposizione evidentemente nulla dice sulla natura delle dette aree, né su eventuali vincoli di destinazione esistenti sulla stessa, tant’è che, come spesso accade, le questioni ora prospettate sono state risolte in termini del tutto opposti e confliggenti tra loro. Le due teorie, denominate soggettiva ed oggettiva, pervengono a risultati opposti, che possono così sintetizzarsi.

La teoria c.d. oggettiva individuava una mera definizione di uno standard urbanistico, ancorché con un preciso vincolo di destinazione a parcheggio, priva di qualsivoglia collegamento con l’immobile da costruirsi. Si riteneva, in altri termini, che il vincolo potesse operare solo tra privato costruttore e pubblica amministrazione, senza alcun rilievo sui rapporti privatistici. Sotto altro profilo, la norma perseguiva, sì, la finalità di agevolare il parcheggio degli autoveicoli, restando però indifferente se l’utilizzatore fosse il proprietario dell’immobile o un soggetto diverso da questi che avesse acquistato l’area di parcheggio in questione. Il vincolo di destinazione, pertanto, avrebbe potuto operare in senso appunto “oggettivo” con la conseguenza di essere rispettato le quante volte, in una nuova costruzione o in terreni con la stessa limitrofi, fossero state individuate aree destinate a parcheggio.

La teoria c.d. soggettiva, invece, riteneva che le dette aree, in quanto necessariamente, funzionalmente e legalmente individuate all’interno dell’immobile da costruire, costituissero parte comune dell’edificio condominiale o, in caso di terreno adiacente al fabbricato, pertinenze legali dello stesso. Da tanto, sarebbe disceso, per un verso il necessario collegamento tra atti di disposizione del bene principale (appartamento) e quello comune o pertinenziale (area di parcheggio), per altro la inderogabilità del vincolo, operante tra privati, in quanto disposto dalla legge e non eliminabile in applicazione delPage 52 disposto di cui all’art. 818 2° comma c.c.; una pattuizione difforme avrebbe dato luogo alla violazione di una normativa vincolistica, che individuava all’evidenza una fattispecie inderogabile nei rapporti tra privati, pena la nullità parziale dell’atto di disposizione per la parte in cui avesse disposto del bene principale in un senso e di quello accessorio (o pertinenziale) in un altro.

In giurisprudenza ha prevalso la tesi c.d. soggettiva, ed in tal senso tre pronunce delle Sezioni Unite2 ebbero a ritenere che il citato art. 18 della cosiddetta legge “ponte” avesse previsto un vincolo inderogabile, di natura pubblicistica, operante sia nei rapporti tra costruttore e pubblica amministrazione che all’interno di dinamiche intersoggettive di diritto privato.

Il panorama positivo ha registrato un mutamento con l’entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in cui l’art. 27 prevedeva che “gli spazi di cui all’art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi e per gli effetti degli artt. 817, 818 e 819 del codice civile”.

È ovvio che dalla disposizione appena citata i fautori di entrambi le tesi trovarono ulteriori argomenti a sostegno delle proprie ragioni, e ciò pur sul presupposto della definitività dell’accertamento del rapporto pertinenziale tra bene principale e spazio di parcheggio.

I primi ritennero che il riferimento alla disciplina delle pertinenze comportasse l’integrale applicazione dell’istituto, ivi compreso il secondo comma dell’art. 818 c.c., che ritiene il bene destinato ad uso o ad ornamento del bene principale suscettibile di atti di disposizione separati. I secondi, col rafforzamento del vincolo pertinenziale, ritennero vieppiù inderogabile il vincolo di destinazione anche nei rapporti tra privati, risultando accertato a favore del proprietario del bene principale il diritto di uso dell’area di parcheggio.

La giurisprudenza preferì, pur tra altalenanti interpretazioni, la tesi soggettiva3, ritenendo sì la libera alienabilità separata dell’area di parcheggio, ma statuendo la indefettibilità del vincolo d’uso a favore di coloro che “stabilmente occupano l’edificio o ad esso abitualmente accedono4. Il problema fu quello di verificare se il trasferimento potesse individuarsi come oneroso in relazione alla sussistenza di una causa dell’attribuzione che si presentasse giusta e lecita5: la giurisprudenza lo risolse nel senso di riconoscere il diritto di uso, prevedendo, però, al contempo, il versamento di un corrispettivo6.

La disciplina delle aree di parcheggio è mutata nuovamente con la legge 24 marzo 1989, n. 122, c.d. legge Tognoli. L’art. 2 ha aumentato il rapportoPage 53 tra costruzione e aree di parcheggio, portandolo a un metro quadrato per ogni dieci metri cubi; ha consentito di poter realizzare i parcheggi anche in deroga ai vigenti strumenti di pianificazione urbanistica, assentibili con autorizzazione gratuita; ha ridotto il quorum assembleare condominiale per le delibere inerenti a quella materia. Ha, altresì, stabilito che tali spazi “non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli”.

Anche tale disposizione ha finito col rafforzare entrambe le tesi descritte. La teoria oggettiva fu sostenuta dalla considerazione che solo le aree di parcheggio realizzate con la legge Tognoli fossero soggette a quella regolamentazione; i sostenitori di quella soggettiva ritennero, invece, che la norma avesse rafforzato l’esistenza del vincolo pertinenziale e il necessario collegamento tra unità immobiliare e relativa area di parcheggio.

È ovvio che tutto il dibattito, brevemente dianzi compendiato, fa riferimento alle aree identificate come standard obbligatorio, in virtù del disposto dell’art. 18 legge ponte, nel mentre, per eventuali spazi realizzati in eccedenza rispetto a quel parametro, alcuna considerazione può consentire di ritenerle sottoposte a vincoli di sorta7.

Secondo l’interpretazione maggioritaria, fino al 2005 era possibile individuare tre tipologie di aree di parcheggio: 1) realizzate in virtù dell’art. 18 della legge ponte e, pertanto, ad utilizzazione vincolata e legate all’immobile con vincolo pertinenziale, in virtù del disposto di cui all’art. 26 legge n. 47/85, ancorché circolanti indipendentemente dalla proprietà del bene principale; 2) realizzate secondo la legge Tognoli e, quindi, ad utilizzazione vincolata, ma anche a circolazione controllata; 3) non ricadenti in nessuna delle previsioni normative e, quindi, prive di destinazione e a libera circolazione.

Nel 2005 cambia tutto. Il legislatore, con la legge 28 novembre 2005, n. 246, intitolata “Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”, all’art. 12, comma 9, intitolato “Disposizioni in materia di atti notarili”, ha modificato l’art. 41 sexies della legge 1150/42...

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