Assetto urbanistico e convenzioni per le destinazioni d’uso

AutoreGiovanni Enriquez
Pagine59-74

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@1. Una nuova metodologia di gestione dell’attività amministrativa e la vincolatività degli strumenti negoziali nei confronti del soggetto pubblico

Il proliferare degli strumenti di urbanistica contrattata comporta la necessità di negoziare il potere discrezionale della pubblica amministrazione e di valutare se gli elementi strutturali degli stessi siano riconducibili nell’ambito dei contratti di scambio oppure se la funzione collaborativa richiesta per la determinazione degli effetti negoziali non possa orientare a costruire in senso associativo l’impostazione della problematica.

L’ondata di privatizzazioni, verificatesi sul finire degli anni novanta, è testimonianza di una presa d’atto da parte del legislatore della possibilità di utilizzare lo strumento privatistico nei rapporti in cui è coinvolto il soggetto pubblico, quanto meno dal punto di vista della determinazione delle strutture soggettive dei rapporti. Il processo di privatizzazione è iniziato con la legge 29 gennaio 1992, n. 35, ed è proseguito con la legge 8 agosto 1992, n. 359 e con quella del 30 luglio 1994, n. 4741. Al di là di formule dubitative2 espresse in merito all’utilizzo dello strumento della privatizzazione nei singoli casi concreti, in cui la giurisprudenza ha cercato di individuare le regole applicabili3, si denota nello scenario legislativo descritto un perseguimento dell’interesse pubblico attraverso la privatizzazione degli enti pubblici “e non tramite laPage 60 pubblicizzazione delle società private”4. La legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo ha sviluppato, invece, la tendenza, presente già sul finire degli anni settanta in singoli settori della legislazione speciale, all’utilizzo di strumenti consensuali per agevolare l’incontro tra l’attività dei soggetti pubblici e gli interessi privati coinvolti nell’azione amministrativa. La norma principale, ai fini del presente discorso, è quella contenuta nell’art. 11 della legge sul procedimento amministrativo. Questa disposizione consente al soggetto pubblico di concludere accordi non solo integrativi, ma anche sostitutivi del contenuto discrezionale del provvedimento e per quanto riguarda questi ultimi, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, senza alcuna delimitazione ai casi previsti della legge.

La giurisprudenza, fino agli inizi degli anni novanta, distingueva in maniera netta sul piano degli effetti i c.d. contratti della p.a. dai moduli convenzionali attinenti al procedimento. Si riteneva che questi ultimi intervenissero tra il soggetto pubblico e quello privato “come mera tecnica organizzatoria di individuazione e selezione degli interessi in gioco”5. Una prima lettura restrittiva del descritto art. 11 ne attenuava la portata innovativa6 e l’affermazione del principio della contrattualità risultava limitata, nella sua applicazione, a fattispecie attinenti a settori speciali7. Sono emersi anche tentativi rivolti a ritenere inammissibile la negoziabilità del potere discrezionale della pubblica amministrazione a vantaggio di una visione autoritativa del fenomeno in questione8. Gli accordi si caratterizzerebbero come tecnica organizzatoria di individuazione e selezione degli interessi rilevanti, ma il fondamento della composizione delle esigenze sottese alle dinamiche giuridiche menzionate si rintraccerebbe sempre nel provvedimento amministrativo9. Tuttavia, non sono assenti decisioni che pongono l’accento sull’elemento privatistico presente nella struttura della convenzioni di edilizia convenzionata intervenienti tra l’amministrazione e i privati, rilevando che sul Comune graverebbe un obbligo di fare, il quale nascerebbe dalla convenzione stipula-Page 61ta senza inerire all’esercizio di un potere pubblico. Questa possibilità di programmazione degli usi del territorio si sarebbe esercitata con la delibera tesa a concludere il contratto e, in conseguenza della convenzione contratta, sul soggetto pubblico graverebbe l’obbligo di eseguire un’attività meramente materiale10.

Sul finire degli anni novanta, tuttavia, il S.C. si rende conto che il menzionato art. 11 “si limita” a descrivere “una modalità procedimentale” in relazione all’esercizio di un potere dell’amministrazione e che la disciplina della lottizzazione convenzionata ha costituito uno dei “settori di elezione” in relazione alle problematiche relative alla qualificazione degli accordi fra pubblica amministrazione e privati11. La caratterizzazione contrattuale delle convenzioni urbanistiche emerge anche nella giurisprudenza amministrativa12, quando ricostruisce la realizzazione a scomputo delle operazioni di urbanizzazione alla stregua di una prestazione di natura corrispettiva “non dissimile” dal contratto di appalto13. Le c.d. concessioni-contratto sono attratte nell’ambito degli accordi tra soggetti pubblici e privati. Si ritiene che l’amministrazione pubblica sia vincolata ad osservare “i punti sottoscritti”, salvo la facoltà di recesso per ragioni di pubblico interesse e previo indennizzo. Tutto ciò determina la presa d’atto che quando l’amministrazione assume obbligazioni, le quali hanno per oggetto l’esercizio di pubblici poteri, per accertare l’inadempimento della stessa occorrerà ricorrere ad un “giudizio di legittimità” in relazione ai provvedimenti non conformi emanati e ciò anche “alla stregua degli impegni contrattuali assunti”. Se l’inadempimento è conseguenza della omissione o ritardo nell’emanare atti che il soggetto pubblico era obbligato ad adottare, l’«accertamento dell’omissione o ritardo è sufficiente a far ritenere l’inadempimento»14.

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Anche la modifica dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990, che prevede l’eliminazione della riserva di legge per gli accordi sostitutivi, sembra propendere a favore di una privatizzazione del rapporto che si instaura tra il soggetto pubblico e i privati15. L’interesse pubblico assume “rilevanza funzionale” nei contratti conclusi tra il soggetto pubblico e i privati. Al tempo stesso incide “sul controllo di liceità e meritevolezza”. Il bilanciamento degli interessi trova una sua conferma e “non già una negazione” nel potere di recesso attribuito alla pubblica amministrazione, ex art. 11, comma 4, della legge n. 241 del 1990. Questo potere assicura la continua persistenza del pubblico interesse che ha consentito la costituzione del rapporto, ma è subordinato alla corresponsione di un indennizzo al privato a causa del pregiudizio subito16.

L’ampia formulazione dell’art. 11 della legge n. 241/1990 consente di realizzare lo schema causale voluto senza che lo stesso debba rimanere delimitato operativamente ad una fattispecie di scambio tra un provvedimento verso un corrispettivo in denaro17. Il meccanismo dello scambio non è escludibile in maniera aprioristica, anzi occorre analizzare la causa del singolo negozio per poterne determinare la disciplina applicabile. Questa funzione causale si potrà rinvenire, a titolo esemplificativo, nelle cessioni volontarie ex art. 45 d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (c.d. Testo unico in materia di espropriazione), ove la fattispecie traslativa è funzionalmente orientata alla sostituzione di un’attività ablativa del soggetto pubblico18. Nella programmazione contrattata, invece, il vincolo collaborativo che lega le parti sembra che ne caratterizzi la causa in chiave associativa. L’obbligo negoziale di adottare un determinato provvedimento, o eventualmente di impegnarsi a mantenerlo fermo nel tempo per poter realizzare le finalità sulle quali le parti si sono accordate nella programmazione convenzionale del territorio, deriva dai moduli contrattuali conclusi tra la parte pubblica e quella privata. Il reale momento di incertezza è rappresentato invece dalla conciliabilità, durante lo svolgimento del rapporto, dell’interesse pubblico, sintesi delle plurime esigenze presenti sul territorio, con l’interesse privato. Invero, la soluzione è prevista dallo stesso legislatore conPage 63 l’attribuzione del diritto di recesso alla pubblica amministrazione. Il vincolo contrattualmente assunto non presenta pertanto una impegnatività assoluta, ma è condizionato al persistere dell’interesse pubblico, alla cui realizzazione è funzionalizzata la stessa causa dell’accordo. Il recesso sarà legittimo, dando luogo all’attribuzione di un indennizzo a favore del privato, solo se collegato a motivate ragioni di interesse pubblico. D’altronde anche in giurisprudenza si è ricollegato all’inadempimento da parte della pubblica amministrazione, dopo che la stessa abbia assunto “un impegno contrattuale” ad emanare un determinato provvedimento, la “fonte di un diritto al risarcimento del danno”19.

@2. La funzione pratica della programmazione negoziata: incidenza dell’interesse pubblico nelle fattispecie di programmazione negoziata e la tutela degli interessi privati attraverso l’utilizzo di moduli negoziali

È necessario approfondire il ruolo assunto dall’interesse pubblico nelle operazioni di programmazione negoziata per evitare le obiezioni che potrebbero fondarsi sulla irriducibilità dello stesso in fattispecie contrattuali e per comprendere se esso sia conciliabile con gli interessi dei privati.

L’interesse pubblico, ad eccezione dei casi di attività vincolata, non può essere determinato in maniera aprioristica, poiché si pone come l’esito di una ponderazione delle diverse esigenze presenti nella vicenda giuridica concreta e perciò è dotato di una certa variabilità. Si rinviene a seguito di una valutazione comparativa dei differenti interessi emergenti nel caso concreto20.

La legge del 1990 sul procedimento amministrativo configura un metodo procedimentale idoneo a rendere effettivi gli interessi pubblici. Essa richiede la partecipazione del privato in funzione di un apporto che non sia meramente conoscitivo, ma come mezzo per concorrere alle stesse scelte dell’amministrazione (anche nell’ipotesi di “interessi «forti», definiti in sede legislativa”). Quando è lo stesso legislatore ad assegnare...

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