Lo “stalking” reato di interferenza vitale

AutoreIgnazio Augusto Santangelo
Pagine341-350

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1. Dall’attenzione essenzialmente polarizzata sulla prospettiva d’individuare la pericolosità del soggetto attivo per la difesa e la prevenzione sociale, l’indagine in ambito criminologico s’è estesa sul soggetto passivo proponendosi di stabilirne l’incidenza per quanto ne sia la genesi e la dinamica del reato 1. Nella sistemazione delle ipotesi si distinguono, anzitutto, quelle in cui il soggetto passivo divenga tale per circostanze ininfluenti sulla sua scelta oppure quelle di predisposizioni vittimogene che, occasionali o stabili, consistono in fattori di natura fisica (quali l’età, il sesso femminile, le menomazioni) o psichica (quali le deficienze intellettive od aspetti caratteriali) le quali inducano a provocare ed a subire l’altrui aggressione; s’includano su quant’ultimo fattori socio-ambientali che la predispongano (quale la condizione di immigrato o di appartenenza a minoranze etniche e religiose), la preesistenza di rapporti leciti interindividuali (quali le relazioni amorose e neurotiche) ed, infine, la condotta antecedente della vittima (quale la seduzione od il suo comportamento imprudente) che determinano il movente nella condotta dell’autore. La branca vittimologica s’è trasposta, quindi, sugli ulteriori aspetti di forte rilevanza che sono segnalati da una percussione violenta sulla vita e sul circuito ambientale-affettivo del soggetto passivo - in ragione delle sue particolari qualità o delle situazioni relazionali intercorse con il soggetto attivo - ove si esige una tutela che assurga al massimo grado. Ma anche quello attivo può considerarsi come un soggetto sacrificato dalla propria ossessione, in quanto egli non tende al male del suo obbiettivo, bensì ad acquistarne o recuperarne un ritorno amorevole nonostante che la sua degenerazione comportamentale esondi la normalità relazionale e psicologica tra gli individui, un significante aspetto che implica, oltre ai provvedimenti tipologicamente processuali e cautelari volti a precludere la continuazione persecutoria, anche delle misure terapeutiche e di supporto socio-psicologico verso l’autore.

È un asserto fondamentale l’enunciare che la pericolosità del soggetto delinquente cresca con il venir meno nella sua determinazione al crimine della importanza individuale della vittima2; infatti, nei reati a vittima personalizzata, la pericolosità si esaurisce nell’ambito circoscritto del rapporto intersoggettivo con un’altra specifica persona, laddove nei reati a vittima impersonale essa si allarga a sfere più ampie assurgendone a motivazione il conseguimento di una utilità in cui il soggetto passivo più non rientra in relazione all’autore, ma ne è solo strumentale alla finalità utilitaristica3. Quivi può anche asserirsi che la legge penale colpisce una condotta intendendovi il tipo normativo di autore (Taetertyp) per il suo modo di essere; la figura, ricavata da una visuale naturalistica o da notazioni bio-psicologiche, fluttua con determinate caratteristiche e la punibilità dipende dalla sua personalità asociale, attribuendo al soggetto attivo ed ai suoi motivi un peso notevole4.

In ordine agli elementi compostativi della aggressività, nella parte penalistica speciale è un concetto difficile a delimitarsi quello della violenza5; di essa, addirittura, non viene offerta alcuna definizione riferita a quella personale, dappoiché, nelle adozioni locutive “alla” e “verso” la persona, non se ne precisa il significato, e segnatamente di violenza-fine. Ad un primo approdo si perviene ritenendo che basti ad ipotizzarne la sussistenza, non l’effettiva lesione e minaccia, bensì la messa in pericolo del bene personale, ma, ove la violenza operi come un mezzo di costrizione, i contorni concettuali si ampliano, comprendendovi qualsiasi azione diretta alla persona (e non soltanto alla sua fisicità) quale mezzo idoneo all’offesa della sua libertà morale, nel senso che possono ricorrere dei casi limite in cui la violenza fisica venga in considerazione in ragione di tale effetto6. Se nel diritto civile la violenza rientra a pieno titolo tra i vizi della volontà (e sub specie di violenza morale o di minaccia), in quello penale la situazione di coazione - sia o meno fisica ed anche comprensiva dell’ipotesi di una violenza c.d. implicita - viene ravvisata nell’alterazione del processo motivazionale difensivo del soggetto passivo o nella particolare capacità intimidatrice7. Ne consegue che l’esplicita previsione della violenza come elemento essenziale del fatto tipico emerga connotata in termini sociologici, laddove la condotta materiale potrà coincidere con il fatto tipico di altre figure di reato. Quanto all’ulteriore concetto correlato alla minaccia8 - che appare in numerose fattispecie penali e di cui s’è anche tentata una costruzione unitaria9 - essa può integrare strutturalmente, sia un elemento (positivo o negativo) fattuale del reato, sia il nucleo di una specie autonoma quale mezzo di costrizione o di determinazione attraverso la pressione psichica. Le note caratterizzantiPage 342non conducono ad una coincidenza formale, nonostante una adozione spesso indistinta, in quanto, se la violenza opera direttamente con il danno attuale e finalizzato a se stesso, la minaccia agisce in via mediata con la prospettazione del danno futuro e richiede un quid pluris attraverso la ripercussione nell’animo del soggetto passivo, pur non escludendosi che in essa già esista un male in atto, arrecato dal turbamento psichico su colui che la subisce.

2. La legge 23 aprile 2009 n. 38 - che ha convertito con modificazioni il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11, avente ad oggetto “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori” - ha introdotto tra i reati posti a tutela della libertà morale (libro II, titolo XII, sezione III cod. pen.) l’art. 612 bis c.p..

Rubricandola in quella di “Atti persecutori”, le fattispecie è definitoria, in linea più generale, di tutte le condotte dell’agente che siano materiate dall’insistita interferenza nella sfera privata dei soggetti passivi e - pur essendo affiorate in sede di votazione delle notazioni critiche attinenti a questioni esegetiche ed in cui si osservava un futuro miglioramento testuale della norma per la carente determinatezza delle fattispecie richieste - nella votazione è stata pressoché unanime la conferma dell’opportunità di dotare con una disposizione ad hoc l’ordinamento. Fenomenologicamente lo stalking assume evidente risalto nell’approccio di politica criminale per via dell’insita varietà tipologica espressa dalla fattispecie e che l’ordinamento non affrontava adeguatamente come adattabile al caso in discorso: si pensi ad altre figure di reato (leggasi sub art. 610, 612, 660, 609 bis e segg., 582 c.p.) o che ne avessero espresso la specificità della situazione apprezzabile sul piano socio-statistico. Le fattispecie applicabili apparivano inadeguate in ordine alla catalogazione delle sequenze più incisive delle condotte persecutorie; segnatamente, circa l’ipotesi base figurale, la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. non rispondeva con adeguatezza alla pericolosità ed alla gravità delle molestie invasive e perduranti, mentre i delitti di cui agli artt. 610 e 612 c.p. offrivano risposte di contrasto punitivo non collegabili con la sostanza criminologica fondante dello stalking10.

Residua, tuttavia, da investigarsi sulla vexata quaestio inerente alla metodica di procedere attraverso la decretazione di urgenza; è questa un’opzione legislativa che richiede, per il ricorso a tale strumento eccezionale, la preesistenza di una situazione di fatto che comporti la necessità, quale requisito costitutivo della validità costituzionale11, una problematica riproponibile sul rilievo che l’insieme ordinamentale non avesse già positivamente previsto. Al riguardo, va anche richiamato che - sebbene il fondamento politico della riserva di legge in materia penale imponga di interpretare nell’art. 25 Cost. come legge formale, escludendo dalle sue fonti i decreti-legge - la prassi governativa (antecedente al sancito divieto di reiterazione dei decreti-legge non convertiti12 è avallata dalla dottrina maggioritaria13 nel ritenere la riserva di legge come tale in senso materiale ed anche comprensiva degli atti normativi del potere esecutivo che hanno forza di legge. Ne consegue, in relazione al decreto-legge, che, mentre in caso di sua conversione i contenuti vengono incorporati in una legge formale, gli effetti, in caso contrario, risulterebbero ex tunc integralmente travolti secondo il disposto dell’art. 77 Cost.; l’inclusione, quanto al decreto legislativo, nel concetto di legge ai sensi dell’art. 25 Cost. troverebbe legittimazione secondo l’art. 76 Cost. per cui il Parlamento detta i principi ed i criteri direttivi per l’esecutivo14.

Attesa da tempo e preceduta da spessa sensibilizzazione massmediale nel contesto sociologico, nella sua novità essa è indicata come stalking ricorrendo ad una terminologia (ritratta dal lessico venatorio del “fare la posta, seguire ossessivamente la preda”) dei Paesi di common law15.

Ponendosi come delicato punto di equilibrio tra l’esigenza repressiva e la necessità di non precludere le possibili forme di composizione inter partes, la fattispecie penale presenta, tuttavia, profili di non agevole lettura anche per le implicazioni di ordine civilistico concernenti il risarcimento dei danni non patrimoniali16. Di vero, sebbene la tutela della libertà morale, intesa nel senso di facoltà di autodeterminazione (e su cui amplius si dirà più avanti), ne sia il primario obiettivo normativo, va ritenuto che mediante essa lo sia anche l’ulteriore bene giuridico dell’incolumità individuale a fronte di minacce e mole- stie il cui carattere consolidato provochi un perdurante e grave stato di ansia e di paura (patologie medicalmente accertabili) causali della lesione del bene salute, spingendo così finalisticamente la provvista di...

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