Il sistema sanzionatorio dei reati devoluti alla competenza del giudice di pace

AutoreArnaldo Maglino
Pagine339-341

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Il decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274 ha dato attuazione agli articoli 14 e seguenti della legge 24 novembre 1999 n. 468, che ha delegato il governo ad adottare una normativa concernente la competenza del giudice di pace in materia penale, il relativo procedimento e l'apparato sanzionatorio dei reati ad esso devoluti. Come si legge nella relazione governativa al decreto legislativo, «la competenza penale del giudice di pace reca con sè la nascita di un diritto penale più "leggero", dal volto "mite" e che punta chiaramente a valorizzare la "conciliazione" tra le parti come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti». Il legislatore intende deflazionare il carico di lavoro dei tribunali e, nel contempo, assicurare una giustizia rapida a fatti di «microconflittualità». Gli obiettivi che la legge persegue hanno portato a concepire istituti assolutamente innovativi rispetto alla tradizione processuale e sostanziale, che non mancheranno di avere importanti ripercussioni nella ricostruzione dogmatica dell'intero ordinamento penalistico. In questo scritto ci si occuperà del sistema sanzionatorio introdotto dal decreto legislativo 274/2000.

L'impostazione di fondo del decreto parte da una considerazione realistica: poiché la pena carceraria è ormai considerata sproporzionata rispetto a reati di non rilevante allarme sociale, immancabilmente interviene la sua sospensione condizionale. Da ciò deriva che, in concreto, il colpevole non avverta l'afflittività delle sanzioni che conseguono alla sua condotta illecita. Così il decreto 274 da una parte ha «addolcito» le pene e dall'altra ha impedito che esse potessero essere condizionatamente sospese 1. Le sanzioni sono state mitigate non già abbassando il minimo edittale di quelle già esistenti, ma prevedendo tipologie diverse dall'afflizione carceraria. Si sono introdotte le «blande sanzioni paradetentive» (così come le definisce il legislatore) 2 dell'«Obbligo di permanenza domiciliare» 3 e del «Lavoro di pubblica utilità» 4. L'obbligo di permanenza comporta il dovere del condannato di rimanere nei giorni di sabato e domenica presso la propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo di cura, assistenza o accoglienza.

L'utilizzazione di luoghi di privata dimora come spazio che circoscrive la libertà di movimento non è nuova al nostro ordinamento, che conosceva già la misura cautelare degli arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.) e quella alternativa della detenzione domiciliare (artt. 47 ter L. 354/75).

La funzione di tali istituti ne delinea anche la diversità rispetto alla permanenza domiciliare. Quest'ultima non ha finalità cautelari e non costituisce una modalità di esecuzione della pena. Essa è una sanzione principale che non ha carattere detentivo: l'art. 53, secondo comma, chiarisce che «il condannato non è considerato in stato di detenzione». Da ciò consegue che l'allontanamento dai luoghi di permanenza non costituisce il delitto di evasione ma lo specifico reato di «Violazione degli obblighi» previsto dall'art. 56, che punisce con la reclusione fino ad un anno anche chi contravviene reiteratamente e senza giusto motivo agli obblighi o ai divieti inerenti all'obbligo di permanenza. Le esigenze del reo sono oggetto di particolare considerazione: infatti, normalmente, il sabato e la domenica si hanno minori impegni sociali. Ma se i bisogni del reo non coincidono con l'astratta previsione normativa egli o il suo difensore, subito dopo la pronuncia della sentenza di condanna 5, possono chiedere che la pena sia eseguita in giorni diversi, oppure continuativamente, in modo da scontare senza soluzione di continuità il periodo di permanenza stabilito. Le esigenze che giustificano la richiesta attengono a condizioni familiari, di lavoro, di studio o di salute del condannato: la formula è tanto ampia da contemplare ogni necessità esistenziale. Il giudice decide sull'istanza (alla quale non è, ovviamente, vincolato) integrando il dispositivo della sentenza immediatamente o in una nuova udienza, che potrà all'uopo fissare a distanza di non più di dieci giorni. Il rinvio è tuttavia eccezionale, dovendo essere disposto solo ove sussistano giustificati motivi 6. La durata della misura non può essere inferiore ai sei e superiore ai quarantacinque giorni 7. Nel caso in cui la permanenza domiciliare non debba essere eseguita continuativamente, il giudice può vietare al condannato di recarsi in specifici luoghi nei giorni in cui non deve rimanere nel proprio domicilio. Il divieto consente di valorizzare e rendere più efficace la sanzione in relazione alle caratteristiche del caso di specie, ma deve essere contemperato con le esigenze familiari, di lavoro, di studio o di salute del reo 8. Anche qui si manifesta l'originalità dell'impostazione legislativa. L'ordine di non frequentare determinati luoghi poteva essere irrogato nell'ambito della misura di sicurezza della libertà vigilata 9, oltre che nello specifico caso previsto dall'art. 234 c.p. («Divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche»). Le misure di sicurezza, nell'ottica del «doppio binario» del legislatore fascista, differiscono dalla pena detentiva per la loro precipua funzione di rieducazione e di prevenzione speciale.

Poiché si applicano soltanto alle persone socialmente pericolose 10, la possibilità di modulare la sanzione in relazione alle peculiarità del caso di specie interdicendo la frequentazione di determinati luoghi, tipica dell'ordinamento...

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