Per l'omesso versamento di ritenute previdenziali, le sezioni unite riportano la giurisprudenza al senso della ragione

AutoreAlfredo Montagna
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@1. Premessa.

Con la legge 24 novembre 1981 n. 689 era stata prevista la sostituzione della sanzione amministrativa pecuniaria alla multa o all'ammenda ai sensi dell'art. 32 che espressamente prevedeva che non costituissero reato e fossero soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali fosse stata prevista la sola pena della multa o dell'ammenda (con esclusione delle disposizioni che nelle ipotesi aggravate fossero state punibili con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria).

La stessa legge individuava poi una serie di esclusioni dalla depenalizzazione nel successivo articolo 34, e fra queste i reati previsti dalle leggi relative ai rapporti di lavoro, anche per quanto riguarda l'assunzione dei lavoratori e le assicurazioni sociali (art. 34, comma 1, lett. m).

Un apparente contrasto con la richiamata esclusione dalla depenalizzazione poteva apparire contenuto nel successivo art. 35, per il quale non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro tutte le violazioni previste dalle leggi in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie, punite con la sola ammenda, ma in realtà entrambe le norme intendevano derogare al principio generale ricavabile dall'art. 32 per il quale risultavano depenalizzate tutte le contravvenzioni punite con pena pecuniaria, individuandosi nell'art. 35 non solo una deroga al principio generale ma anche una diversa modalità operativa della depenalizzazione (come regolata dai commi successivi).

La natura meramente amministrativa della omissione totale o parziale del versamento di contributi e premi in materia assistenziale e previdenziale era confermata dal successivo art. 36 che disciplina le modalità per il pagamento del dovuto da parte del datore di lavoro in termini prefissati o (a richiesta) in modo dilazionato e gli effetti sulla sanzione amministrativa prevista.

Contemporaneamente la legge 689 introduceva con l'art. 37 il delitto di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria prevedendo che: «Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, è punito con la reclusione fino a due anni quando dal fatto deriva l'omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore a cinque milioni.

La condanna importa le pene accessorie dell'interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e dell'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. Esse conseguono alla condanna anche nel caso in cui la disposizione del precedente comma non si applichi perché il fatto costituisce un più grave reato.

Si applicano in ogni caso anche le sanzioni amministrative previste nell'art. 35».

Così che il datore di lavoro che si sottrae dolosamente al versamento dei contributi e premi di previdenza ed assistenza obbligatoria viene perseguito in maniera più accentuata, sempre che ne sussistano le specifiche condizioni. Sulla natura delle stesse non può non condividersi quanto anche da ultimo affermato in giurisprudenza, ovvero che trattasi di condizioni oggettive di punibilità (Cass., sez. III, 16 gennaio 2003 n. 43, dep. 1 aprile 2003 n. 15164, Gravano, inedita).

A fronte di tale quadro normativo-sanzionatorio dopo la emanazione di ben tre decreti leggi decaduti per mancata conversione veniva emanato il D.L. 12 settembre 1983, n. 463 (in G.U. 12 settembre, n. 250). Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini, che all'art. 2, comma 1, prevedeva che «L'omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli artt. 20, 21 e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire 2.000.000, qualora le ritenute stesse eccedano le somme anticipate o denunciate nelle forme e nei termini di legge dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali. Il relativo versamento, prima del promovimento dell'azione penale, estingue il reato. (Convertito con legge 11 novembre 1983 n. 638, senza modificazioni sul punto).

Successivamente intervenivano il D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 (G.U. 10 ottobre, n. 237). Disposizioni in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati (convertito con legge 7 dicembre 1989 n. 389, senza modificazioni sul punto) ed il D.L.vo 24 marzo 1994 n. 211, Norme in materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, così che l'attuale formulazione si presenta così articolata:

Art. 2, comma 1. Le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli artt. 20, 21 e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, debbono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne che a seguito del conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro.

Art. 2, comma 1 bis. L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1 è punito con la reclusione fino a tre anniPage 1071 e con la multa fino a lire due milioni. Il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione tre mesi dalla contestazione».

@2. La tesi della sussistenza del reato anche in assenza di retribuzione.

Nelle prime pronunce con la quale risultava affrontato in modo organico la questione della configurabilità o meno del reato de quo in caso di mancato pagamento delle retribuzioni risulta affermato 1 che «in tema di delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, il termine «ritenuta» non va collegato con il materiale esborso delle somme dovute al dipendente, quale retribuzione, ma al diritto insorto a seguito di una prestazione di lavoro non svolta a titolo gratuito. Ne deriva che il datore di lavoro deve ugualmente versare all'ente i relativi importi entro i termini all'uopo fissati, anche quando, pur essendovi tenuto, non abbia corrisposto la retribuzione: l'omissione configura il delitto de quo».

Nella specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza assolutoria, la S.C. aveva ulteriormente osservato che «diversamente il datore di lavoro, che corrisponda la retribuzione, sarebbe punito per l'omissione de qua e quello che non ottempera neppure a tale dovere fondamentale andrebbe esente da responsabilità». Tale ultima prospettazione risulta ripresa in altra decisione 2 che fonda l'adesione a tale filone interpretativo anche sulla base «di una doverosa interpretazione adeguatrice della norma che ne escluda la possibilità di contrasto con l'art. 3 Cost. e con il principio di ragionevolezza, dal momento che, diversamente opinando, si verificherebbe l'assurda conseguenza che il datore di lavoro che corrisponda la retribuzione sarebbe punito per l'omissione in questione mentre quello che non ottempera neppure a tale dovere fondamentale andrebbe esente da responsabilità».

Inoltre il riferimento alle «ritenute operate» viene in più occasioni letto nella giurisprudenza della Corte solo quale indicazione di un criterio di calcolo per la qualificazione del tributo 3, sul presupposto che il rapporto giuridico previdenziale sia autonomo rispetto a quello di lavoro.

Analogamente in altra pronuncia 4, dopo avere ribadito che «in tema di delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti il termine ritenuta non deve essere collegato con il materiale esborso delle somme dovute al dipendente, ma al diritto sorto a seguito di una prestazione di lavoro che si presume retribuita», veniva precisato sul punto che le difficoltà aziendali non incidono sul rapporto di diritto pubblico instaurato con la previdenza sociale, come non incidono su analoghi rapporti di tipo tributario, con la conseguenza che il datore di lavoro dovesse ugualmente versare all'ente i relativi importi entro i termini.

Secondo la Corte gli aspetti privatistici sottostanti non potevano forzare i termini di quello speciale rapporto trilaterale che si configura in materia di previdenza sociale, e ciò per vedere facilmente eluse le finalità pubbliche perseguite dalla legge.

L'obbligo di versamento all'istituto previdenziale delle somme dovute anche in assenza di retribuzione risultava altresì motivato anche affermando che il termine ritenuta, correlato a retribuzione, risultasse usato in funzione di un rapporto lavorativo fisiologico, che non presuppone il materiale...

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