Costituzionale

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine829-837

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@CORTE COSTITUZIONALE 8 luglio 2010, n. 249. Pres. Amirante – Est. Silvestri – Ric. Trib. pen. di Livorno ed altro

Circostanze del reato – Aggravanti – Fatto commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale – Illegittimità costituzionale – Conseguenze.

È costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, l’art. 61, numero 11 bis, del codice penale. In via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sono costituzionalmente illegittimi l’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) e l’art. 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’art. 61, primo comma, numero 11 bis), del medesimo codice,». (l. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27; c.p., art. 61; c.p.p., art. 656) (1)

    (1) Pronuncia di assoluto interesse che non mancherà di suscitare vasto eco sugli organi di stampa.

RITENUTO IN FATTO

  1. - Il Tribunale di Livorno in composizione monocratica, con ordinanza del 4 febbraio 2009 (r.o. n. 16 del 2010), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma (recte: numero) 11 bis, del codice penale.

    Il rimettente procede, nei confronti di un cittadino straniero, per il reato di cui all’art. 13, comma 13, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), contestato con l’aggravante dell’avere l’imputato commesso il fatto «trovandosi illegalmente sul territorio nazionale». Nell’ordinanza di rimessione vi sono riferimenti alla previsione circostanziale come introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica). La questione di legittimità, per altro, è stata deliberata molti mesi dopo che il citato provvedimento governativo è stato convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 luglio 2008, n. 125.

    Nel merito, il Tribunale non ritiene che la previsione aggravante possa giustificarsi in base ad una presunzione di pericolosità connessa alla condizione di «clandestinità» del reo. Una tale giustificazione, a prescindere dal suo fondamento, non si attaglierebbe infatti a tutti i casi disciplinati dalla nuova figura circostanziale, che si riferisce ad ogni situazione di presenza irregolare (ad esempio quella dello straniero munito di permesso di soggiorno scaduto), e dunque eccede i limiti della nozione corrente di «clandestinità». D’altra parte la disposizione censurata, secondo il rimettente, trova applicazione anche quando l’interessato non abbia tenuto, in epoca antecedente al reato, comportamenti che possano in seguito denotare una particolare inclinazione a delinquere.

    1.1. - Una prima violazione dell’art. 3 Cost. consisterebbe proprio - secondo il giudice a quo - nella parificazione indiscriminata tra situazioni fortemente eterogenee. Lo straniero può trovarsi in circostanze che ne determinano una specifica pericolosità criminale, ma tra queste non potrebbe annoverarsi, per se stessa, la carenza di un valido titolo di soggiorno.

    Non sarebbe proponibile una comparazione tra la norma censurata e le previsioni di cui ai numeri 9 e 11 dell’art. 61 cod. pen. (ove trova sanzione l’abuso di una posizione di comando, di protezione o di rapporto fiduciario). Neppure sussisterebbero effettive analogie, a parere del rimettente, con le aggravanti fondate sulla latitanza o sulla recidiva. Tali circostanze, infatti, riguardano persone delle quali è già stata accertata una responsabilità penale, o la cui condizione di personale pericolosità è attestata mediante un provvedimento cautelare del giudice: soggetti, dunque, il cui (nuovo) comportamento criminoso esprimerebbe una particolare determinazione nella devianza. La stessa logica non potrebbe essere riferita a persone che, magari per il solo effetto di circostanze contingenti o di difficoltà burocratiche, si trovano a violare una prescrizione a carattere amministrativo: sarebbe irragionevole, di conseguenza, l’identità del trattamento loro riservato rispetto a quello previsto per soggetti di accertata pericolosità.

    Anche la quantificazione della pena nella cornice edittale - prosegue il Tribunale - può essere fondata, in applicazione del secondo comma dell’art. 133 cod. pen., sulle condizioni o qualità personali del reo. Tuttavia la norma appena citata opererebbe su un piano diverso da quello proprio della disposizione censurata, perché quest’ultima, pur nell’ambito eventuale di un bilanciamento con altre circostanze, impone al giudice di valorizzare la condizione del reo, a prescindere dalla sua rilevanza.

    1.2. - L’art. 61, numero 11 bis, cod. pen. violerebbe anche il principio di personalità della responsabilità penale, in quanto, a parere del rimettente, connette un aumento di pena al «tipo d’autore» e non già alla pericolosità concretamente manifestata dall’interessato.

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    Il difetto di proporzione nel trattamento punitivo, d’altra parte, priverebbe la pena della sua funzione rieducativa, non potendo il condannato percepirla come strumento utile al suo reinserimento nella società, ma solo ed appunto come una punizione eccedente il grado della propria responsabilità.

    1.3. - Osserva infine il Tribunale, in punto di rilevanza, che non rileva l’astratta possibilità di neutralizzare gli effetti dell’aggravante attraverso il giudizio di comparazione regolato dall’art. 69 cod. pen. Proprio la ricorrenza della fattispecie, infatti, impone il bilanciamento con eventuali attenuanti, e produce quindi effetti nel procedimento di computo della sanzione, indipendentemente dall’esito del procedimento stesso.

  2. - Il Tribunale di Ferrara in composizione monocratica, con ordinanza del 26 gennaio 2010 (r.o. n. 121 del 2010), ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 27, primo e terzo comma, Cost. - questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11 bis, cod. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 92 del 2008, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 125 del 2008.

    Il rimettente procede, con rito direttissimo, nei confronti di un cittadino straniero imputato del reato di illecita detenzione di stupefacenti, previsto dal comma 1 bis dell’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). L’imputazione comprende la circostanza «dello status di soggetto illegalmente presente nello Stato», contestata in applicazione della norma oggetto di censura.

    Il giudice a quo riferisce che, in esito all’udienza del 15 luglio 2008, sentite le conclusioni delle parti, aveva già sollevato questione di legittimità costituzionale della nuova previsione aggravante, nella versione allora vigente, cioè quella introdotta dal decreto-legge n. 92 del 2008 e non ancora modificata dalla relativa legge di conversione. Il giudizio incidentale era stato definito dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 277 del 2009, di restituzione degli atti al rimettente, affinché procedesse ad una nuova valutazione in punto di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione sollevata.

    Secondo il Tribunale, la Corte aveva indicato essenzialmente tre elementi di novità sopravvenuti all’ordinanza introduttiva: le modifiche apportate dalla legge di conversione al tenore della nuova previsione circostanziale; la norma di interpretazione autentica, concernente i cittadini comunitari, introdotta con l’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica); l’inserimento nel sistema penale della figura criminosa dell’ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato, mediante il nuovo art. 10 bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, introdotto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della stessa legge n. 94 del 2009.

    In particolare, sempre a parere del rimettente, la Consulta avrebbe ritenuto necessaria una valutazione di impatto delle novità normative nella prospettiva della successione di leggi penali nel tempo. Per altro verso, il giudice a quo sarebbe stato richiesto di valutare l’attualità delle proprie censure alla luce del fatto che le condotte poste a fondamento della fattispecie aggravante costituiscono, ormai, l’oggetto di un’autonoma incriminazione, e non di un mero illecito amministrativo.

    Dopo la restituzione degli atti, il giudizio principale è ripreso. Nel corso della relativa udienza, anche su sollecitazione del difensore dell’imputato, il Tribunale ha ritenuto di sollevare nuovamente questione in merito alla legittimità della fattispecie aggravante contestata.

    2.1. - La questione sarebbe rilevante, anzitutto, pur dopo che la previsione aggravante ha subito le modifiche recate dalla legge di conversione: trattandosi di variazioni prive di incidenza sul contenuto precettivo della disposizione già introdotta dal decreto-legge, dovrebbe riconoscersi efficacia ex tunc alla norma attualmente vigente, la quale dunque sarebbe applicabile nei confronti dell’imputato, già dichiaratosi «clandestino» e privo di documenti utili per la sua identificazione.

    La rilevanza della questione non sarebbe intaccata, nella specie, neppure dalla seconda delle novità normative sottoposte all’attenzione del rimettente, posto che nel giudizio principale si procede nei confronti di persona con cittadinanza nigeriana, e dunque extracomunitaria.

    Sarebbe ininfluente sul piano della rilevanza, infine, la stessa introduzione del reato cosiddetto di «immigrazione clandestina». È vero, secondo il rimettente, che la previsione circostanziale non si applica al reato previsto dal nuovo art. 10 bis del...

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