Sentenza nº 120 da Constitutional Court (Italy), 16 Aprile 2004

RelatoreCarlo Mezzanotte e Piero Alberto Capotosti
Data di Resoluzione16 Aprile 2004
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 120

ANNO 2004

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente

- Valerlo ONIDA Giudice

- Carlo MEZZANOTTE “

- Fernanda CONTRI “

- Guido NEPPI MODONA “

- Piero Alberto CAPOTOSTI “

- Annibale MARINI “

- Franco BILE “

- Giovanni Maria FLICK “

- Francesco AMIRANTE “

- Ugo DE SIERVO “

- Romano VACCARELLA “

- Paolo MADDALENA “

- Alfonso QUARANTA “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, 3, 4, 5 e 7, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), promossi con ordinanze del 10 luglio 2003 del Tribunale di Roma, IV sezione penale, del 1° luglio 2003 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano e del 17 settembre 2003 del Tribunale di Bologna, I sezione penale, rispettivamente iscritte ai nn. 714, 715 e 1021 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 37 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visti gli atti di costituzione di Gian Carlo Caselli, Guido Lo Forte ed altri e di Gabriele Canè, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

uditi nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2004 i Giudici relatori Carlo Mezzanotte e Piero Alberto Capotosti;

uditi gli avvocati Carlo Federico Grosso, Carlo Smuraglia e Giuseppe Giampaolo per Gian Carlo Caselli, Carlo Smuraglia per Guido Lo Forte ed altri, Filippo Sgubbi per Gabriele Canè e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con ordinanza emessa il 10 luglio 2003 nel corso del giudizio penale nei confronti del parlamentare M. D. per il reato di cui agli articoli 595, terzo comma, del codice penale e 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa), il Tribunale di Roma, IV sezione penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), denunciandone il contrasto con gli artt. 68, primo comma, 24, primo comma, e 3 della Costituzione.

    1.1. — Espone in fatto il rimettente che, all’esito dell’udienza preliminare del 12 aprile 2001, il parlamentare M. D. veniva rinviato a giudizio per rispondere dell’imputazione di diffamazione aggravata a mezzo stampa, perché nel corso di una intervista - pubblicata in un quotidiano del 4 ottobre 1999, nell’articolo intitolato «Chi mi vuole in galera non ha letto le carte» e sottotitolato «Il deputato: i giudici di Palermo sono pazzi» - rilasciata a seguito della richiesta di custodia cautelare formulata dalla Procura della Repubblica di Palermo, nella persona dei magistrati Gian Carlo Caselli, Guido Lo Forte, Domenico Gozzo, Antonio Ingroia, Mauro Terranova, Lia Sava ed Umberto De Giglio, offendeva la reputazione di questi ultimi pronunciando, in risposta ad una domanda della giornalista (“Una battuta sui p.m. di Palermo”), le seguenti affermazioni: “Sono dei pazzi, pazzi come Milosevic”.

    Il giudice a quo prosegue ricordando che nel corso dell’udienza dibattimentale del 1° luglio 2003 la difesa dell’imputato eccepiva l’insindacabilità, ex art. 68 Cost., delle dichiarazioni oggetto dell’imputazione e, in base alla disciplina dettata dalla sopravvenuta legge 20 giugno 2003, n. 140, chiedeva l’assoluzione ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. ovvero, in subordine, la trasmissione alla Camera dei deputati di copia degli atti del procedimento al fine della deliberazione di quest’ultima in ordine all’insindacabilità. A siffatte richieste si opponevano sia il pubblico ministero, sia la difesa delle parti civili costituite: il primo contestando anzitutto l’applicabilità al caso di specie della legge n. 140 del 2003 ed entrambi sollecitando comunque la proposizione della questione di costituzionalità dell’art. 3 della legge medesima.

    1.2. — Tanto premesso, il Tribunale rimettente osserva in primo luogo che i fatti oggetto di giudizio penale a carico del parlamentare M. D. devono ritenersi ricompresi nella nozione di insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari che deriva dall’art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003, il quale stabilisce che l’art. 68, primo comma, Cost. si applica anche “per ogni altra attività […] di critica e denuncia politica, connessa alle funzioni di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento”. Secondo il giudice a quo, trattandosi di dichiarazioni rilasciate dal deputato ad un quotidiano “lo stesso giorno in cui la Giunta per le autorizzazioni a procedere aveva dato parere favorevole al suo arresto, richiesto dalla Procura della Repubblica di Palermo”, le stesse sarebbero riconducibili all’ambito di applicazione della citata disposizione, tenuto conto dell’“ampia e generale previsione della norma”, nonché della “circostanza della contiguità temporale tra il parere favorevole della Giunta e le espressioni contestate”.

    Ne consegue, ad avviso del rimettente, che l’imputato dovrebbe essere assolto ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., come previsto dal comma 3 dello stesso art. 3 della legge n. 140 del 2003: donde la rilevanza della questione concernente il comma 1 del medesimo art. 3, e non già delle altre disposizioni dello stesso articolo, delle quali il tribunale afferma non dovere, allo stato, fare applicazione.

    Sostiene peraltro il giudice a quo che la rilevanza della questione non verrebbe meno in ragione del fatto che la questione di costituzionalità verte su “norme penali di favore”, talché l’imputato dovrebbe essere in ogni caso prosciolto per il principio di irretroattività della legge penale. Alla luce di quanto statuito dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 148 del 1983, n. 167 del 1993 e n. 25 del 1994), ciò non sarebbe infatti preclusivo della proposizione dell’incidente di costituzionalità perché la Corte potrebbe assumere “una serie di decisioni certamente suscettibili di influire sugli esiti del giudizio penale”.

    1.3. — Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva anzitutto che il censurato art. 3, comma 1, “anziché limitarsi ad attuare l’art. 68, primo comma, Cost., ha finito […] per modificarne sensibilmente la portata”. Difatti, ad avviso del Tribunale di Roma, la norma costituzionale limiterebbe la garanzia della insindacabilità “alle sole opinioni riconducibili agli atti e alle procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari; alle opinioni, cioè, espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari tipiche”. Di qui la necessità, affinché la prerogativa dell’art. 68 Cost. possa operare anche per le dichiarazioni rese al di fuori del Parlamento, della “sostanziale corrispondenza” di significato con opinioni già espresse o contestualmente espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari tipiche.

    Tale sarebbe, secondo il giudice a quo, l’interpretazione dell’art. 68 Cost. data dalla stessa Corte costituzionale con le sentenze n. 10 e n. 11 del 2000 e successivamente sempre ribadita, con l’ulteriore precisazione che “la mera connessione con la funzione parlamentare, il semplice collegamento di argomento tra attività parlamentare e dichiarazione, la mera comunanza di tematiche, il riferimento al contesto politico parlamentare”, non costituiscono elementi sufficienti a rendere applicabile la prerogativa dell’insindacabilità.

    Alla luce di tali considerazioni il giudice rimettente sostiene dunque che la nozione di insindacabilità che si evince dall’art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003 si porrebbe in contrasto “con l’interpretazione dell’art. 68, primo comma, Cost. costantemente accolta dalla Corte costituzionale e con le esigenze di certezza e garanzia ad essa sottese”. La disposizione denunciata stabilisce infatti che l’art. 68 Cost. non debba applicarsi soltanto alle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari tipiche, ma anche ad ogni altra dichiarazione - “di divulgazione, di critica, di denuncia politica” - la quale sia comunque “connessa alla funzione parlamentare, espletata anche al di fuori del Parlamento” e non invece circoscritta “a riportare quanto già manifestato in un atto parlamentare”. In tal modo, secondo il rimettente, si verrebbe ad introdurre, “per il tramite di una legge ordinaria”, una nozione di insindacabilità che la stessa Corte costituzionale, a partire dalle sentenze innanzi ricordate, “ha censurato, ritenendola in contrasto con l’art. 68, primo comma, Cost.” e ciò in quanto la garanzia costituzionale coprirebbe dichiarazioni “difficilmente determinabili a priori, del tutto slegate dalle procedure parlamentari tipiche e da quelle forme di controllo ad esse inerenti, tramite le quali si realizza il bilanciamento tra prerogative dell’istituzione parlamentare e tutela dell’individuo”.

    Il giudice a quo afferma, pertanto, che la disposizione denunciata si collocherebbe oltre i limiti stabiliti dall’art. 68 Cost. e “la sua introduzione con semplice legge ordinaria” violerebbe anche l’art. 24 Cost., “comprimendo i diritti della persona offesa dal reato, senza che tale lesione sia legittimata da fonte di pari grado”.

    Infine il rimettente deduce il contrasto della norma censurata con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza: principio al quale l’art. 68, primo comma, della Costituzione apporta una deroga nei limiti innanzi precisati e che non potrebbe essere legittimante derogato “attraverso una legge ordinaria che introduca, solo per una determinata categoria, una causa di (non) punibilità che non si applica alla generalità dei consociati”.

  2. - Si è costituito in giudizio il dott. Gian Carlo Caselli, parte civile nel giudizio a quo, per sentir dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 3, comma 1...

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