Sentenza nº 189 da Constitutional Court (Italy), 12 Gennaio 2001

RelatoreMassimo Vari
Data di Resoluzione12 Gennaio 2001
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N.189

ANNO 2001

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO Giudice

- Massimo VARI "

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 56 e 56-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con undici ordinanze del Consiglio nazionale forense, emesse il 23 settembre 1999 (n. 10 ordinanze) e il 28 ottobre 2000, rispettivamente iscritte ai nn. da 348 a 357 e al n. 854 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2000 e n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visti gli atti di costituzione di Locane Vincenzo, di Romanazzi Maria, di Toscano Vincenzo, dei Consigli degli ordini degli avvocati di Lucca e di Bari, nonchè gli atti di intervento di Fratini Umberto, della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 febbraio 2001 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi gli avvocati Martino Sportelli e Luigi de Marco per Romanazzi Maria, Guido Belmonte per Toscano Vincenzo, Piero Biasotti per il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Lucca, Sergio Panunzio per il Consiglio dell'ordine degli avvocati di Bari, Fratini Umberto per sè medesimo, Massimo Luciani per la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense e l'avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. - Con undici distinte ordinanze (r.o. nn. da 348 a 357 e n. 854 del 2000), tutte analogamente motivate in punto di diritto - emesse in altrettanti procedimenti instaurati da taluni dipendenti pubblici al fine di ottenere l'annullamento delle deliberazioni di vari Consigli dell'ordine degli avvocati, in base alle quali sono state respinte o sospese le istanze di iscrizione all'albo, ovvero respinte le domande di passaggio da un elenco speciale all'albo ordinario degli avvocati, ovvero, ancora, si é provveduto alla cancellazione dell'iscritto dall'albo per asserita incompatibilità - il Consiglio nazionale forense sottopone all'esame della Corte la questione di costituzionalità dei commi 56 e 56-bis dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), norme che vengono denunciate in quanto rimuovono l'incompatibilità tra l'attività di dipendente pubblico part-time e l'esercizio di tutte le professioni intellettuali, e, più in particolare, in quanto prevedono "l'abrogazione parziale delle disposizioni che sanciscono l'incompatibilità tra esercizio della professione forense e la condizione di pubblico dipendente (art. 3 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578)" in regime di part-time, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno.

    1.1.- La medesima questione, a suo tempo sollevata dallo stesso rimettente nei giudizi principali nei quali sono state emesse le ordinanze distinte dai nn. 349, 352, 354, 355 e 357 del registro ordinanze 2000, anche in relazione ad ulteriori parametri e profili di censura ora non più riproposti (sebbene si aggiunga la novità del parametro dell'art. 4 della Costituzione), é stata dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 183 del 1999, non risultando che si era provveduto ad una corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti dei Consigli dell’ordine, i cui atti erano stati impugnati innanzi al Consiglio nazionale forense.

    1.2.- Il rimettente, dopo aver dato atto, in tutte le ordinanze, di aver provveduto a comunicare, a suo tempo, ai Consigli dell’ordine interessati, sia "l’avvenuta ricezione degli atti relativi al deposito del ricorso" (art. 59 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37), sia l’"avvenuta fissazione dell’udienza" (art. 61 del citato regio decreto n. 37 del 1934), svolge diffuse argomentazioni sulla legittimazione del Consiglio nazionale forense a sollevare questione di costituzionalità.

    1.3.- Quanto al merito, le ordinanze, nell'invocare una "declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme" denunciate, ovvero "una pronunzia di incostituzionalità delle suddette norme nella parte in cui non escludono la professione d'avvocato dal proprio campo di applicazione", ritengono, anzitutto, violati, in sostanziale connessione tra loro, gli artt. 24, 97 e 98 della Costituzione.

    A tal riguardo il rimettente osserva che l’attività del dipendente pubblico, seppure in regime di part-time, é caratterizzata, nonostante la progressiva equiparazione del rapporto a quello dell’impiego privato, da una serie di obblighi e facoltà "che identificano uno status particolare di lavoratore subordinato", qualificato "da uno stringente obbligo di fedeltà alla pubblica amministrazione presso la quale il soggetto é incardinato". Il rapporto di servizio si fonda, pertanto, "sul dovere d’ufficio di perseguire e proteggere l’interesse pubblico primario affidato alla cura dell’amministrazione stessa, in base al principio di legalità dell’azione amministrativa", sicchè, in tale contesto, gravano, sul pubblico dipendente, peculiari obblighi in virtù dei principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, come pure l’obbligo esclusivo di fedeltà alla Nazione.

    Invero, secondo le ordinanze, "tali doveri mal si conciliano con la fisiologica vicinanza agli interessi giuridicamente rilevanti - od anche ai meri interessi materiali - della clientela, che la condizione di libero professionista ontologicamente comporta". Vi sarebbe, pertanto, una inconciliabilità, di carattere generale, tra dovere d’ufficio del pubblico dipendente e dovere del professionista, la quale assume "particolare delicatezza con riferimento all’esercizio della professione d’avvocato, la cui indipendenza ed autonomia sono presupposto dell’effettività del diritto costituzionale di difesa, secondo il disposto dell’art. 24 della Costituzione, e laddove l’imparzialità e il buon andamento colpiti sarebbero quelli dell’amministrazione della giustizia".

    Ad avviso del rimettente sussisterebbe, quindi, un "conflitto tra le due appartenenze e le due responsabilità", giacchè l'avvocato dipendente pubblico part-time potrebbe, per un verso, non dispiegare tutte le attività difensive consentite dalla legge, "con evidente pregiudizio della posizione dell’assistito" e, per altro verso, potrebbe, invece, "giovarsi della sua posizione all'interno della amministrazione della giustizia per procurare indebiti vantaggi, con evidente pregiudizio dell'imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione".

    Le ordinanze ritengono, peraltro, che la violazione degli artt. 97 e 98 della Costituzione non risulta scongiurata dalle preclusioni che le norme censurate pongono all’esercizio della professione (divieto di assumere incarichi professionali dalle amministrazioni pubbliche e divieto di assumere il patrocinio in controversie nelle quali sia parte una pubblica amministrazione), giacchè da esse non deriva "alcun limite specifico", com’é, invece, previsto dall’art. 92, sesto e settimo comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, sulla disciplina della compatibilità tra l’esercizio della libera professione e l’attività di docenza nelle scuole.

    Il rimettente adduce, altresì, l'esistenza di un contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

    Anzitutto, per la violazione del principio di eguaglianza, "sia in senso formale, sotto il profilo della disparità di trattamento, sia in senso sostanziale, sotto il profilo della lesione del principio delle pari opportunità", posto che il professionista pubblico dipendente, a differenza degli altri esercitanti la libera professione, "si avvale di un bagaglio di nozioni tecniche, scientifiche, o anche di carattere solo organizzativo, che ha acquisito proprio grazie al suo inserimento all'interno dell'amministrazione".

    In secondo luogo, per la "assoluta mancanza di ragionevolezza e logicità" di una disciplina che, al fine di soddisfare esigenze di contenimento della spesa pubblica, "pone seriamente in pericolo valori costituzionali ben più rilevanti, quali l'integrità e l'effettività del diritto di difesa", nonchè "i principi di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione".

    Viene, infine, ravvisato un vulnus all'art. 4 della Costituzione, norma che, sebbene non garantisca l’effettivo accesso al lavoro delle persone prive di occupazione, non esclude, tuttavia, che il legislatore sia chiamato "ad effettuare scelte di politica occupazionale tese ad ampliare le concrete possibilità di impiego, e, conseguentemente, la generale offerta di lavoro del sistema pubblico e privato".

    Non sarebbe, pertanto, ragionevole, secondo il rimettente, consentire al medesimo soggetto "di svolgere più attività lavorative", le quali verrebbero inevitabilmente a sottrarre "al mercato del lavoro ambiti e spazi che potrebbero assorbire la domanda di occupazione di soggetti che ne sono totalmente sprovvisti".

  2. - Nel giudizio di cui all'ordinanza iscritta al n. 349 del registro ordinanze 2000, si é costituito Vincenzo Locane, ricorrente nel procedimento principale, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, ovvero, nel caso di accoglimento "totale o parziale", che siano dettati "i criteri interpretativi per la salvaguardia dei principi dell'incolpevole affidamento nella legge e dei diritti quesiti", affinchè l'interessato "possa venire reintegrato senza ulteriori ritardi delle perdite economiche e morali patite in riferimento agli artt. 3, 4, 30, 31, 35 e 41 della Costituzione".

    La parte costituita, nel dubitare che, per una corretta instaurazione del...

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