Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale - Intervento dell'Organismo unitario dell'Avvocatura - Inammissibilita'. Impiego pubblico - Dipendenti pubblici iscritti all'albo degli avvocati successivamente all'entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996, n. 662 ed ancor...

LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:

Presidente: Franco BILE;

Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;

ha pronunciato la seguente

Sentenza nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339 (Norme in materia di incompatibilita' dell'esercizio della professione di avvocato), promossi con ordinanze del 28 settembre 2005 dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra Brandi Massimo ed altro e la Presidenza del Consiglio dei ministri e del 25 febbraio 2006 dal Tribunale di Cuneo nel procedimento civile vertente tra Ciravegna Vincenzo e la Provincia di Cuneo, iscritte ai nn. 27 e 139 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6 e 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;

Visti gli atti di costituzione di Brandi Massimo, dell'ADIP, Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale, di Ciravegna Vincenzo, nonche' gli atti di intervento dell'OUA, Organismo Unitario dell'Avvocatura;

Udito nell'udienza pubblica del 26 settembre 2006 il giudice relatore Sabino Cassese;

Udito l'avv. Giovanni Romano per l'ADIP, Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale, e per Vincenzo Ciravegna.

Ritenuto in fatto

  1. - Il Tribunale di Napoli ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 4 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339 (Norme in materia di incompatibilita' dell'esercizio della professione di avvocato).

    L'art. 1 della legge impugnata prevede che le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 56, 56-bis e 57, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), - le quali consentono l'iscrizione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale agli albi professionali quando la prestazione lavorativa non sia superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno (c.d. part-time ridotto) - "non si applicano all'iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni".

    Il successivo art. 2, a sua volta, dispone: "I pubblici dipendenti che hanno ottenuto l'iscrizione all'albo degli avvocati successivamente alla data di entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e risultano ancora iscritti, possono optare per il mantenimento del rapporto d'impiego, dandone comunicazione al consiglio dell'ordine presso il quale risultano iscritti, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. In mancanza di comunicazione entro il termine previsto, i consigli degli ordini degli avvocati provvedono alla cancellazione di ufficio dell'iscritto al proprio albo" (comma 1); "Il pubblico dipendente, nell'ipotesi di cui al comma 1, ha diritto ad essere reintegrato nel rapporto di lavoro a tempo pieno" (comma 2); "Entro lo stesso termine di trentasei mesi di cui al comma 1, il pubblico dipendente puo' optare per la cessazione del rapporto di impiego e conseguentemente mantenere l'iscrizione all'albo degli avvocati" (comma 3); "Il dipendente pubblico part-time che ha esercitato l'opzione per la professione forense ai sensi della presente legge conserva per cinque anni il diritto alla riammissione in servizio a tempo pieno entro tre mesi dalla richiesta, purche' non in soprannumero, nella qualifica ricoperta al momento dell'opzione presso l'Amministrazione di appartenenza. In tal caso l'anzianita' resta sospesa per tutto il periodo di cessazione dal servizio e ricomincia a decorrere dalla data di riammissione" (comma 4).

    1.1.1. - In punto di rilevanza, riferisce il Tribunale che un dipendente dell'Avvocatura dello Stato con qualifica di operatore amministrativo, in possesso dell'abilitazione all'esercizio della professione forense, aveva chiesto all'amministrazione, ai sensi dell'art. 1, comma 58, della legge n. 662 del 1996, la trasformazione del proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale (part-time), al fine di esercitare la professione di avvocato; che l'amministrazione gli aveva negato tale trasformazione, motivando il diniego con il conflitto d'interessi che sarebbe scaturito dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con l'Avvocatura e dal contestuale esercizio della professione forense; che il dipendente, lamentando l'illegittimita' del diniego opposto dall'amministrazione, poiche' questa, ai sensi del citato art. 1, comma 58, avrebbe solo dovuto prendere atto dell'opzione formulata dal ricorrente, chiedeva dichiararsi l'avvenuta trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno con l'Avvocatura in rapporto di lavoro part-time, con condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno per perdita di chance; che si era ritualmente costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri, eccependo l'infondatezza delle ragioni poste a base della domanda e concludendo per il suo rigetto; che si era altresi' costituita, in qualita' di interventore volontario, l'associazione Adip - Avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale, deducendo che, essendo entrata in vigore - nel corso del giudizio - la legge n. 339 del 2003, ai pubblici dipendenti era nuovamente impedito di iscriversi all'albo degli avvocati, essendo stato reso ad essi inapplicabile l'art. 1, commi 56, 56-bis e 57, della legge n. 662 del 1996 ed essendo stato, invece, ripristinato il divieto di cui al r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni; che l'Adip aveva, pertanto, sollevato eccezione di legittimita' costituzionale, sotto numerosi profili, degli artt. 1 e 2 della legge n. 339 del 2003, comunque concludendo per il diritto del dipendente ad ottenere la trasformazione in rapporto part-time del proprio rapporto di lavoro a tempo pieno con l'Avvocatura dello Stato.

    1.1.2. - Ad avviso del Tribunale gli artt. 1 e 2 della legge n. 339 del 2003 violerebbero, anzitutto, l'art. 3 Cost., introducendo una serie di disparita' di trattamento sia rispetto a pubblici dipendenti che svolgono attivita' professionali diverse da quella di avvocato, sia rispetto a pubblici dipendenti in servizio presso amministrazioni statali diverse dall'Avvocatura dello Stato.

    Sotto il primo profilo, mentre l'esercizio della professione di avvocato e' preclusa ai pubblici dipendenti con rapporto di lavoro part-time, analoga preclusione non esiste per i pubblici dipendenti abilitati all'esercizio di altre professioni, come, ad esempio, quella di commercialista o quella di ingegnere.

    Sotto il secondo profilo, l'art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, richiamato dall'impugnato art. 1 della legge n. 339 del 2003, nel ritenere incompatibile la professione di avvocato con quella di pubblico dipendente, fa eccezione per "i professori degli istituti secondari dello Stato". Questi ultimi, pertanto, pur essendo dipendenti statali, non subiscono alcuna limitazione ai fini dell'esercizio della professione forense, non essendo neanche richiesta la trasformazione del loro rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro part-time.

    Ulteriore disparita' di trattamento sussisterebbe fra gli impiegati pubblici cui e' fatto divieto (salva la suddetta eccezione) di svolgere la professione di avvocato successivamente all'entrata in vigore dell'art. 1 della legge n. 339 del 2003 e quelli che, prima dell'entrata in vigore di tale legge, siano stati collocati...

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