N. 166 SENTENZA 20 - 27 giugno 2012

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente:Alfonso QUARANTA;

Giudici :Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,

Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI,

Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339 (Norme in materia di incompatibilita' dell'esercizio della professione di avvocato), promossi dalla Corte di cassazione con ordinanze del 6 e del 22 dicembre 2010, iscritte ai nn. 55 e 56 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2011.

Visti gli atti di costituzione di P. M., di F. F. ed altra e di T. D., nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 2012 e nella camera di consiglio del 23 maggio 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi gli avvocati Maurizio Perelli per se medesimo, Marco Frigessi Di Rattalma per T. D., Flora de Caro per F. F. ed altra e l'avvocato dello Stato Tito Varrone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 1.- La Corte di cassazione, sezioni unite civili, con due ordinanze di identico contenuto del 6 dicembre 2010, iscritte ai nn.

55 e 56 del registro ordinanze 2011, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale, sia in relazione agli articoli 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, sia in riferimento al parametro della ragionevolezza intrinseca di cui all'art. 3, secondo comma, Cost., degli articoli 1 e 2 della legge 25 novembre 2003, n. 339 (Norme in materia di incompatibilita' dell'esercizio della professione di avvocato).

L'art. 1 dispone che le norme contenute nell'art. 1, commi 56, 56-bis e 57, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) non si applicano all'iscrizione agli albi degli avvocati, per i quali 'restano fermi i limiti e i divieti di cui al regio decreto-legge 27 novembre 1933, n.

1578'. Il successivo art. 2 impone agli avvocati dipendenti pubblici a tempo parziale che hanno ottenuto l'iscrizione sulla base della normativa del 1996 di scegliere, nel termine di tre anni, fra il mantenimento del rapporto di pubblico impiego, che in questo caso ritorna ad essere a tempo pieno (comma 2), ovvero il mantenimento dell'iscrizione all'albo degli avvocati, con contestuale cessazione del rapporto di pubblico impiego (comma 3). In questo secondo caso l'ormai ex dipendente conserva per cinque anni il diritto alla riammissione (comma 4). L'art. 2, comma 1, inoltre, dispone che, in caso di mancato esercizio dell'opzione tra libera professione e pubblico impiego, i consigli dell'ordine territoriali provvedano d'ufficio alla cancellazione.

1.1.- Riferisce la Corte rimettente che i ricorrenti, tutti pubblici dipendenti a tempo parziale, erano stati iscritti nell'albo degli avvocati in virtu' della disposizione di cui all'art. 1, comma 56, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che consentiva tale doppia attivita'; che a seguito dell'entrata in vigore della legge 25 novembre 2003, n. 339, di modifica della precedente, essi avevano manifestato la loro intenzione di continuare a mantenere il rapporto di pubblico impiego, esercitando nel contempo anche la professione di avvocato; che i consigli dell'ordine territoriali, ritenendo la sussistenza della incompatibilita', ne avevano ordinato la cancellazione dai rispettivi albi, con decisioni poi impugnate con esito negativo davanti al Consiglio nazionale forense; che avverso le separate pronunce di questo i soccombenti avevano proposto singoli ricorsi per cassazione affidati a numerosi motivi.

Secondo il giudice a quo, la disposizione riguarda senza dubbio la situazione di coloro i quali, come gli attuali ricorrenti, avevano ottenuto l'iscrizione all'albo degli avvocati successivamente alla data di entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996, n. 662, passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 189 del 2001), e risultavano ancora iscritti.

A giudizio della Corte rimettente, il dato normativo non autorizza una interpretazione diversa da quella imposta dal testo con una formula sufficientemente chiara, cui si erano uniformate le decisioni impugnate. Donde la rilevanza delle questioni.

1.2.- Ritenuta la manifesta infondatezza delle questioni concernenti l'asserita violazione della normativa comunitaria con riferimento, in particolare, ai principi di eguaglianza, libera prestazione di servizi, tutela della concorrenza, diritti quesiti e ragionevolezza, la Corte di cassazione si sofferma sul denunciato contrasto delle disposizioni in esame con i parametri di cui agli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost.

In particolare, la Corte rimettente sospetta che sia stato violato il legittimo affidamento riposto dai soggetti che gia' si trovavano nello stato di avvocati e dipendenti pubblici part-time nella possibilita' di proseguire nel tempo nel mantenimento di tale duplice stato.

La lesione prospettata sarebbe resa evidente dalla vanificazione della scelta compiuta dai predetti soggetti sulla base di una precisa previsione normativa (a suo tempo ritenuta legittima dalla Corte costituzionale), frutto di un indirizzo legislativo di riforma chiaramente e logicamente di lungo termine. Donde gli effetti pregiudizievoli per chi, come loro, aveva fatto sicuro e giustificato affidamento di mantenere nel tempo la nuova situazione lavorativa;

effettuato investimenti per iniziare la nuova attivita' professionale; modificato il proprio stile di vita; sacrificato possibili miglioramenti nella carriera di pubblico dipendente.

In questa prospettiva, la deroga temporale prevista dall'art. 2 della legge n. 339 del 2003 in ordine all'efficacia del regime di incompatibilita' (con la concessione di un termine di tre anni per esercitare l'opzione imposta tra pubblico impiego ed esercizio della professione forense e con la possibilita', nel secondo caso, di riammissione in servizio nei successivi cinque anni), sarebbe, in se', insufficiente, atteso che la tutela dei pubblici dipendenti iscritti all'albo degli avvocati sarebbe circoscritta ad un limitato periodo, decorso il quale sarebbe destinato a riespandersi il divieto gia' rimosso da una precedente legge.

1.3.- Nel giudizio iscritto al n. 55 del 2011 si sono costituti gli avvocati M. P., F. F. e L. C., nonche' D. T., con atti depositati rispettivamente l'11, il 19 ed il 21 aprile 2011.

1.3.1.- Gli avvocati M. P. e D. T. chiedono in via principale che la Corte costituzionale rigetti le questioni di legittimita' prospettate dal giudice rimettente, in quanto manifestamente infondate per l'erroneita' del presupposto interpretativo di partenza. A loro avviso, infatti, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata da preferire a quella adottata nell'ordinanza di rimessione, la legge n. 339 del 2003 non sancisce alcuna incompatibilita' all'esercizio della professione forense per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a part-time ridotto (non superiore al 50% dell'orario ordinario di lavoro) che vennero iscritti negli albi forensi ex art. 1, commi 56 e seguenti, della legge n. 662 del 1996, ma introduce solamente, per il periodo successivo alla sua entrata in vigore, un divieto d'iscrizione nei predetti albi per ulteriori dipendenti pubblici a tempo parziale come sopra ridotto.

In via gradata, le suddette parti private eccepiscono l'inammissibilita' delle questioni prospettate dal rimettente per mancanza di rilevanza. Cio', in quanto il giudice a quo non avrebbe preventivamente verificato la praticabilita' di una ulteriore interpretazione del quadro normativo e, segnatamente, non avrebbe riconosciuto l'operativita' nei loro riguardi dell'art. 14-bis della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di...

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