Sentenza nº 64 da Constitutional Court (Italy), 05 Marzo 2009

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione05 Marzo 2009
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 64

ANNO 2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco AMIRANTE Presidente

- Ugo DE SIERVO Giudice

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

- Giuseppe FRIGO "

- Alessandro CRISCUOLO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 1, e 7 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi con ordinanze del 19 ottobre 2006 dal Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Albano Laziale, e del 14 dicembre 2006 dal Tribunale di Montepulciano nei procedimenti penali a carico di G.S. e di R.M. ed altro iscritte ai nn. 339 e 486 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 26, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visti l’atto di costituzione di R.M. nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 febbraio 2009 e nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi l’avvocato Renato Borzone per R.M. e l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. – Con ordinanza emessa il 14 dicembre 2006, nel corso di un processo penale nei confronti di due persone imputate di reati di lesioni personali e di minaccia commessi in danno reciproco, il Tribunale di Montepulciano in composizione monocratica ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale:

  1. dell’art. 6, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede che tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice si abbia connessione anche quando una persona è imputata di più reati commessi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso;

  2. dell’art. 7 del medesimo d.lgs. n. 274 del 2000, nella parte in cui non prevede che, davanti al giudice di pace, si abbia connessione di procedimenti anche quando una persona è imputata di più reati commessi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso.

Il giudice a quo osserva come, in deroga alla disciplina generale dettata dall’art. 12 del codice di procedura penale, le norme impugnate regolino in senso fortemente limitativo la competenza per connessione: stabilendo, in specie – quanto all’art. 6 del d.lgs. n. 274 del 2000 – che tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice si ha connessione solo se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (ossia unicamente nell’ipotesi di concorso formale); e – quanto al successivo art. 7 – che davanti al giudice di pace si ha connessione solo in caso di concorso formale di reati o quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro.

Recependo l’eccezione formulata dal difensore di uno degli imputati, il rimettente assume che dette disposizioni si porrebbero in contrasto con plurimi precetti costituzionali, nella parte in cui non prevedono – diversamente dall’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. – che la connessione operi anche quando una persona sia imputata di più reati commessi con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, vale a dire, nel caso di reato continuato.

Le norme denunciate violerebbero, in specie, i principi di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), giacché la distinzione – pur esistente sul piano naturalistico – tra le fattispecie del concorso formale di reati e della continuazione non giustificherebbe un loro diverso trattamento sotto il profilo considerato, tenuto conto delle identiche conseguenze giuridiche previste per entrambe dall’art. 81 del codice penale sul piano sanzionatorio con il cosiddetto cumulo giuridico delle pene. Questa unitarietà di effetti – implicante, secondo il rimettente, una uguale disciplina quanto alla connessione dei procedimenti – risulterebbe confermata dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), la quale, aggiungendo un comma all’art. 81 cod. pen., l’attuale quarto comma, ha previsto un uguale aumento minimo di pena per i recidivi reiterati, tanto in rapporto ai reati in concorso formale quanto a quelli in continuazione.

La disparità di trattamento censurata si risolverebbe, d’altronde, in un «danno sostanziale» per l’imputato, il quale, nel caso in cui la continuazione includa anche reati di competenza del giudice di pace, si troverebbe costretto ad affrontare plurimi processi di fronte a giudici diversi, con conseguenti rischi di giudicati contrastanti e di applicazione di pene più severe; mentre, ove la continuazione stessa attenga a reati tutti di competenza del tribunale, o addirittura del tribunale e della corte d’assise, egli avrebbe «diritto ad un unico giudizio».

Le norme impugnate violerebbero, inoltre, l’art. 24 Cost., giacché la moltiplicazione dei processi implicherebbe un «aggravio ingiustificato nell’esercizio del diritto di difesa», con maggiorazione dei costi per colui che è costretto ad affrontare plurimi giudizi; nonché l’art. 97 Cost., per l’«evidente sperpero delle già scarse risorse collettive disponibili», in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

Risulterebbe compromesso, da ultimo, l’art. 111 Cost., in quanto lo svolgimento separato di procedimenti suscettibili di trattazione unitaria non contribuirebbe alla realizzazione del «giusto processo», secondo quanto stabilito da tale norma costituzionale.

A parere del giudice a quo, l’aggiunta del reato continuato alle ipotesi di connessione tra reati di competenza del giudice di pace e reati di competenza di altro giudice non troverebbe ostacolo nella circostanza che per i primi il d.lgs. n. 274 del 2000 preveda pene di tipo diverso da quelle contemplate nel codice penale. Da un lato, infatti, alla luce dell’attuale dato normativo, l’«esclusione pratica» della continuazione tra le due categorie di reati risulterebbe circoscritta alla fase della cognizione, potendo l’istituto essere comunque applicato in sede esecutiva. Dall’altro lato, la giurisprudenza sarebbe in grado di elaborare criteri di ragguaglio al fine di determinare la pena applicabile ai «reati satellite» puniti con pene di specie o genere diverso da quella del reato principale, come è già avvenuto per le ipotesi di continuazione tra delitti e contravvenzioni o tra delitti puniti con sola pena detentiva e delitti puniti con sola pena pecuniaria.

La questione risulterebbe altresì rilevante nel processo a quo, giacché il pubblico ministero ha tratto a giudizio davanti al rimettente due persone, contestando ad una di esse due reati uniti dal vincolo della continuazione: il primo (delitto di lesioni, con malattia di durata superiore ai venti giorni) di competenza del tribunale; l’altro (delitto di minaccia semplice) di competenza del giudice di pace. Situazione, questa, nella quale il giudice a quo si troverebbe costretto, alla stregua della disciplina vigente, a dichiarare anche ex officio la propria incompetenza in ordine al secondo reato.

1.2. – Si è costituito nel giudizio di costituzionalità M. R., imputato e persona offesa nel processo a quo, il quale ha svolto argomenti adesivi alle prospettazioni del giudice rimettente, chiedendo l’accoglimento delle questioni di costituzionalità sollevate.

Nell’udienza pubblica la parte privata ha ricordato che la scelta normativa censurata, relativa al trattamento differente, ai fini della connessione, tra procedimenti per reati in concorso formale e procedimenti per reati in continuazione, è stata compiuta in sede di elaborazione della legge delegata (e in attuazione della direttiva espressa dall’art. 17, comma 1, lettera i), della legge di delegazione 24 novembre 1999 n. 468), dopo che in un primo tempo...

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