Sentenza nº 213 da Constitutional Court (Italy), 18 Luglio 2013

RelatoreGiuseppe Frigo
Data di Resoluzione18 Luglio 2013
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 213

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco GALLO Presidente

- Luigi MAZZELLA Giudice

- Gaetano SILVESTRI ”

- Sabino CASSESE ”

- Giuseppe TESAURO ”

- Paolo Maria NAPOLITANO ”

- Giuseppe FRIGO ”

- Alessandro CRISCUOLO ”

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Marta CARTABIA ”

- Sergio MATTARELLA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di C.A. con ordinanza del 21 giugno 2012, iscritta al n. 253 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Udito nella camera di consiglio del 19 giugno 2013 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 21 giugno 2012, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bologna ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 630 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Il giudice a quo premette di dover decidere su un’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, proposta da una persona imputata, in concorso con altri, del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 cod. pen.) e per esso condannata in primo grado, nelle forme del giudizio abbreviato, alla pena di otto anni di reclusione, previa concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità, di cui all’art. 311 cod. pen.

Dalle risultanze processuali sarebbe emerso che la vittima del sequestro era stata prelevata con la forza nei pressi dell’abitazione da quattro persone, che l’avevano costretta a salire su un’autovettura. I sequestratori avevano quindi richiesto, tramite telefono cellulare, alla compagna del sequestrato, quale condizione per la liberazione, la restituzione della somma di tremila euro, pagata come corrispettivo per la cessione di sostanza stupefacente, rivelatasi poi essere solo «acqua e sapone», in precedenza effettuata dalla stessa compagna dell’offeso. La privazione della libertà era durata, peraltro, solo poche ore, giacché il sequestrato era stato prontamente liberato grazie all’intervento delle forze dell’ordine, che avevano proceduto all’arresto in flagranza dei quattro sequestratori.

Nel convalidare l’arresto, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia aveva applicato la custodia cautelare in carcere solo a due degli indagati, ritenendo adeguata la misura degli arresti domiciliari per gli altri, tra cui l’attuale istante, stante il ruolo minore svolto nella vicenda, e declinando al tempo stesso la competenza a favore del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna. Su richiesta del pubblico ministero bolognese, quest’ultimo Giudice aveva quindi rinnovato, ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen., le misure cautelari disposte dal giudice dichiaratosi incompetente, applicando, peraltro, a tutti gli indagati la custodia in carcere, sul rilievo che il sequestro di persona a scopo di estorsione rientra tra i reati per i quali l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede che, in presenza di esigenze cautelari, debba essere necessariamente disposta la misura di massimo rigore.

Ciò premesso, il giudice a quo rileva che le esigenze cautelari, pur non essendo venute meno, potrebbero essere adeguatamente fronteggiate con la misura degli arresti domiciliari, tenuto conto del ruolo «defilato» avuto dall’istante nell’episodio criminoso e della sua condizione di incensurato. All’accoglimento dell’istanza di sostituzione della misura in atto osterebbe, tuttavia, il disposto dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., così come modificato dall’art. 2 del decreto-legge n. 11 del 2009, in forza del quale, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza per una serie di reati – tra cui quello di sequestro di persona a scopo di estorsione (evocato tramite il rinvio all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.) – «è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari».

Secondo il rimettente, tale preclusione – non superabile tramite una interpretazione costituzionalmente orientata, stante l’univocità del testo normativo – si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost.

Al riguardo, il giudice a quo rileva come la Corte costituzionale – con la sentenza n. 265 del 2010 e plurime decisioni successive – abbia già dichiarato costituzionalmente illegittima...

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