Sentenza nº 247 da Constitutional Court (Italy), 25 Luglio 2011

RelatoreFranco Gallo
Data di Resoluzione25 Luglio 2011
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 247

ANNO 2011

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso QUARANTA Presidente

- Alfio FINOCCHIARO Giudice

- Franco GALLO “

- Luigi MAZZELLA “

- Gaetano SILVESTRI “

- Sabino CASSESE “

- Giuseppe TESAURO “

- Paolo Maria NAPOLITANO “

- Giuseppe FRIGO “

- Alessandro CRISCUOLO “

- Paolo GROSSI “

- Giorgio LATTANZI “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto del terzo comma dell’art. 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto) – comma inserito dal comma 25 dell’art. 37 del decreto-legge del 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 – e del comma 26 dell’art. 37 del decreto-legge n. 223 del 2006, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, nel corso di due giudizi riuniti vertenti tra la ricorrente s.r.l. Dagar e la resistente Agenzia delle entrate, ufficio di Nola, con ordinanza depositata il 29 aprile 2010, iscritta al n. 266 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visti l’atto di costituzione della s.r.l. Dagar e l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi gli avvocati Livia Salvini e Mario Papa per la s.r.l. Dagar nonché l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Nel corso di due giudizi riuniti promossi da una società a responsabilità limitata avverso due avvisi di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) riguardanti, rispettivamente, gli anni 2002 e 2003, la Commissione tributaria provinciale di Napoli, con ordinanza depositata il 29 aprile 2010, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione nonché all’art. 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), questioni di legittimità dell’art. 57 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), quale modificato dal comma 25 dell’art. 37 del decreto-legge del 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, in vigore dal 4 luglio 2006 [recte: del combinato disposto del terzo comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 – comma inserito dal comma 25 dell’art. 37 del decreto-legge n. 223 del 2006 – e del comma 26 dell’art. 37 del medesimo decreto-legge n. 223 del 2006].

    Il censurato terzo comma del citato art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo in vigore dal 4 luglio 2006, stabilisce che, «In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti [cioè, nel testo applicabile ratione temporis ai due suddetti periodi d’imposta in contestazione: in caso di presentazione della dichiarazione, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, aumentato – nel caso di richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta detraibile risultante dalla dichiarazione – di un periodo di tempo pari a quello compreso tra il sedicesimo giorno successivo a quello di notificazione della richiesta di documenti da parte dell’ufficio e la data di consegna di tali documenti; in caso di omessa presentazione della dichiarazione, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata] sono raddoppiati relativamente al periodo d’imposta in cui è stata commessa la violazione». Inoltre, il comma 26 dell’art. 37 del decreto-legge n. 223 del 2006 prevede che «Le disposizioni di cui ai commi 24 [relativo alle imposte sui redditi] e 25 [relativo all’IVA] si applicano a decorrere dal periodo d’imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e secondo comma dell’art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 [relativo alle imposte sui redditi] e dell’art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 [relativo, come visto, all’IVA]».

    Tali disposizioni sono denunciate, in base a quanto espressamente indicato nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, nella parte in cui non prevedono che, in presenza delle ipotesi di reato previste dal d.lgs. n. 74 del 2000: 1) la normativa sia applicabile solo alle annualità successive al 2006, anno nel quale sono entrati in vigore i commi 25 e 26 dell’art. 37 del decreto-legge n. 223 del 2006; 2) «l’eventuale denuncia» ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen. debba essere presentata anteriormente allo spirare dei termini di cui ai primi due commi dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.

    1.1. – Secondo quanto premesso, in punto di fatto, dal giudice rimettente: a) la società aveva richiesto la definizione automatica dell’IVA “per gli anni pregressi” 2001 e 2002, ai sensi dell’art. 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), ed aveva utilizzato negli anni successivi il credito di € 146 milioni, risultante dalla dichiarazione, per compensare l’IVA a debito relativa ad anticipi su forniture fatturate ad altra società dello stesso gruppo; b) l’Agenzia delle entrate aveva apposto un diniego alla suddetta domanda di definizione agevolata dei rapporti tributari, affermando che la dichiarazione di condono non era comprensiva di tutti i periodi di imposta ancora accertabili, come invece richiesto dalla legge; c) la Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 185/02/09 del 31 marzo 2009, aveva accolto l’impugnazione della società avverso il suddetto diniego di condono; d) l’Agenzia delle entrate, con due avvisi notificati il 18 novembre 2008, aveva proceduto all’accertamento dell’IVA dovuta dalla società, rispettivamente, per gli anni 2002 e 2003, basandosi su una verifica della Guardia di finanza (delegata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola), la quale, con processo verbale di constatazione del 25 luglio 2008, aveva ritenuto sussistere alcuni reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, perché, da un lato, aveva rilevato, per l’anno 2002, che la dichiarazione dell’IVA conteneva l’indicazione di «operazioni passive fittizie», con conseguente inesistenza del credito tributario dichiarato dalla contribuente, e, dall’altro, aveva contestato, per l’anno 2003, le operazioni effettuate dalla stessa contribuente con un’altra società del gruppo al fine di trasferire a quest’ultima una parte dell’inesistente credito risultante dalle dichiarazioni; e) la società destinataria degli avvisi di accertamento li aveva impugnati con distinti ricorsi, deducendo, in primo luogo, che il perfezionamento del condono aveva precluso la possibilità, per l’Amministrazione finanziaria, di effettuare gli accertamenti di cui agli impugnati avvisi; in secondo luogo, che non era applicabile, a favore dell’Amministrazione finanziaria, la proroga biennale dei termini per l’accertamento prevista dall’art. 10 della legge n. 289 del 2002 in favore dei contribuenti che non si avvalgano delle disposizioni concernenti i condoni previsti dagli articoli da 7 a 9 della stessa legge; in terzo luogo, che il terzo comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, se inteso nel senso che consente «la riapertura dei termini di accertamento con riferimento ad annualità ormai “cristallizzate” e “stabilizzate”», si pone in contrasto con la Costituzione; in quarto luogo, che gli avvisi erano invalidi anche per ulteriori e subordinati motivi, dettagliatamente specificati nei ricorsi; f) la resistente Agenzia delle entrate aveva obiettato a tali motivi di impugnazione, in primo luogo, che la richiesta di definizione automatica non aveva prodotto effetti, perché non era comprensiva di tutte le annualità d’imposta e, pertanto, non precludeva gli accertamenti; in secondo luogo, che la normativa sul raddoppio dei termini di accertamento non violava la Costituzione; in terzo luogo, che gli altri motivi di ricorso non erano fondati; g) i giudizi instaurati con i due ricorsi erano stati riuniti.

    1.2. – Su tali premesse, il giudice a quo deduce che le disposizioni denunciate violano: a) gli artt. 3 e 24 Cost., nonché l’art. 3, ultimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) – in quanto applicativo degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. –, perché irragionevolmente prorogano o riaprono, per gli accertamenti delle imposte, termini di decadenza ormai «scaduti», cosí ledendo l’esigenza di «certezza dei rapporti giuridici» ed il diritto di difesa dei contribuenti; b) l’art. 24 Cost., perché la denuncia penale, se proposta dopo il decorso degli ordinari termini di decadenza, potrebbe intervenire quando il contribuente, ritenendo non piú accertabile il rapporto tributario, non sia piú in possesso delle scritture e dei documenti contabili (che, ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è tenuto a conservare fino alla definizione degli accertamenti relativi al corrispondente periodo dimposta); c) lo stesso art. 24 Cost., perché, non prevedendo un «ragionevole» ed «oggettivamente determinato» termine di notificazione dellatto impositivo e consentendo...

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