Sentenza nº 507 da Constitutional Court (Italy), 18 Novembre 2000

RelatoreValerio Onida
Data di Resoluzione18 Novembre 2000
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 507

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare MIRABELLI Presidente

- Francesco GUIZZI Giudice

- Fernando SANTOSUOSSO ”

- Massimo VARI ”

- Cesare RUPERTO ”

- Riccardo CHIEPPA ”

- Valerio ONIDA ”

- Carlo MEZZANOTTE ”

- Guido NEPPI MODONA ”

- Piero Alberto CAPOTOSTI ”

- Annibale MARINI ”

- Franco BILE ”

- Giovanni Maria FLICK ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica”, promossi con ricorsi delle Regioni Piemonte, Lombardia e Veneto, notificati il 29 (r. ric. n. 12 ) e il 28 gennaio 1998 (r. ric. nn. 13 e 14), depositati in cancelleria il 6 (r. ric. n. 12) e il 7 febbraio successivi (r. ric. nn. 13 e 14) ed iscritti ai nn. 12, 13 e 14 del registro ricorsi 1998.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l’atto di intervento del Comune di Lonato;

udito nell’udienza pubblica del 23 maggio 2000 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Gustavo Romanelli per la Regione Piemonte, Giuseppe F. Ferrari per le Regioni Lombardia e Veneto e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 29 gennaio 1998 e depositato il 6 febbraio 1998 (r. ric. n. 12 del 1998), la Regione Piemonte ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 9, 77, terzo comma, 117 e 118 della Costituzione, dell’art. 49, comma 18, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica).

    La disposizione impugnata dispone che siano “considerati validi gli strumenti urbanistici già intesi approvati a seguito dell’applicazione, da parte degli enti che li hanno adottati, delle procedure del silenzio-assenso previste dai decreti legge 27 settembre 1994, n. 551, 25 novembre 1994, n. 649, 26 gennaio 1995, n. 24, 27 marzo 1995, n. 88, 26 maggio 1995, n. 193, 26 luglio 1995, n. 310, 20 settembre 1995, n. 400, 25 novembre 1995, n. 498, 24 gennaio 1996, n. 30, 25 marzo 1996, n. 154, 25 maggio 1996, n. 285, 22 luglio 1996, n. 388, 24 settembre 1996, n. 495, i cui effetti sono stati fatti salvi ai sensi dell’art. 2, comma 61, della legge 23 dicembre 1996, n. 662”; ed aggiunge che, a tal fine, “il termine di centottanta giorni previsto per la formazione del silenzio-assenso, non maturato nel periodo di vigenza del singolo decreto legge, si intende raggiunto nel periodo di vigenza dei successivi decreti legge”.

    La Regione dapprima ricorda di avere già impugnato davanti alla Corte costituzionale due dei decreti legge i cui effetti sono stati fatti salvi dalla legge n. 662 del 1996; e che la Corte si è pronunciata sui due ricorsi con la sentenza n. 429 del 1997. Con tale pronuncia la Corte avrebbe escluso, richiamando la precedente sentenza n. 244 del 1997, che la sanatoria comportasse violazione della sfera regionale, in quanto la legge ex art. 77, terzo comma, della Costituzione potrebbe avere ad oggetto solo le situazioni verificatesi durante il periodo di vigenza dei decreti legge non convertiti, mentre la formazione del silenzio-assenso nel termine di centottanta giorni avrebbe potuto verificarsi soltanto dopo i sessanta giorni di vigenza di ognuno dei decreti legge.

    Secondo la ricorrente, la norma oggi impugnata sarebbe incostituzionale per violazione appunto dell’art. 77, terzo comma, della Costituzione, in quanto corollario delle affermazioni delle sentenze costituzionali nn. 244 e 429 del 1997 sarebbe l’incostituzionalità di una norma che faccia salvi effetti che non si erano ancora prodotti al momento della decadenza per mancata conversione dei decreti legge.

    Sarebbero violati anche l’art. 9 della Costituzione, le competenze in materia di tutela dei beni ambientali e protezione della natura attribuite alle Regioni dagli artt. 82 e 83 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e, in generale, le competenze regionali legislative e amministrative in materia di urbanistica di cui agli artt. 117 e 118 della Costituzione. Sarebbe infatti incostituzionale, secondo la stessa giurisprudenza costituzionale, il ricorso al silenzio-assenso per le attività amministrative ad alta discrezionalità, quali le attività di pianificazione territoriale, che finiscono per incidere sull’essenza stessa della competenza regionale: e, in un ambito di competenza normativa della Regione, non potrebbe che essere una legge regionale ad attribuire al silenzio della Pubblica Amministrazione, in ipotesi specifiche, un significato concludente, come l’approvazione o il rifiuto. La Corte costituzionale, ricorda la Regione, ha già dichiarato incostituzionale la previsione dell’art. 12, comma 3, del decreto legge 12 gennaio 1988, n. 2, in riferimento alla disciplina posta dall’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in quanto essa, spostando la decorrenza del termine stabilito per il parere delle autorità preposte alla tutela del paesaggio, avrebbe inciso sulle competenze normative ed amministrative delle Regioni a statuto ordinario, fino a svuotarle in pratica di ogni contenuto (sentenza n. 302 del 1988).

  2. – Non si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, mentre ha depositato atto di intervento fuori termine il Comune di Lonato, svolgendo diverse considerazioni, depositando alcuni documenti e conclusivamente chiedendo che la Corte rigetti il ricorso della Regione Piemonte, considerando “la gravità della situazione in cui versano i comuni italiani che, in piena buona fede, hanno “inteso approvati” i propri strumenti urbanistici generali dando ad essi attuazione”.

  3. – Con ricorso notificato il 28 gennaio 1998 e depositato il 7 febbraio 1998 (r. ric. n. 13 del 1998), la Regione Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 32, 81, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, degli artt. 32, commi 2, 4, 5; 34, comma 1; 37; 39, comma 19; 41, comma 1; 43; 44, comma 4; 47, comma 1; 48, commi 1, 4 e 5, della legge n. 449 del 1997.

    La Regione ricorrente sostiene che tutte le disposizioni impugnate comprimono l’autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale.

    Con riguardo all’art. 32, commi 2, 4 e 5, la Regione denuncia la violazione degli artt. 2, 3, 32, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. In particolare, quanto al comma 2, che disciplina le conseguenze dell'eventuale inadempimento in relazione agli obiettivi di risparmio sulla spesa per la acquisizione di beni e servizi di cui al comma 1 dello stesso articolo, essa lamenta che tale comma equipari, sul piano delle fattispecie da sanzionare da parte dello Stato, l'inadempienza delle Regioni e quella delle “relative aziende unità sanitarie locali e aziende ospedaliere”; conseguentemente consenta una sanzione a carico della Regione e del suo sistema sanitario complessivo in relazione ad un eventuale inadempimento localizzato anche in una sola azienda, fattispecie che dovrebbe competere alla Regione sanzionare, sul piano istituzionale, finanziario e disciplinare, e non allo Stato; faccia irragionevolmente gravare, senza necessità di tutela di alcun interesse costituzionalmente meritevole, conseguenze sanzionatorie su soggetti pubblici ed utenti che non avrebbero in alcun modo concorso al fatto ritenuto lesivo; consenta l’intervento statale sul sistema sanitario regionale, in funzione sanzionatoria e, nel caso di omissione di singole aziende, sostitutiva dell’intervento regionale, senza che sia contemplata alcuna procedimentalizzazione (non sarebbero previsti preavvisi, diffide, termini per provvedere e non sussisterebbe alcuno scrupolo di rispetto delle esigenze del metodo della leale collaborazione); demandi allo Stato, e per esso al Ministro della sanità, una discrezionalità illimitata, salva la soglia massima del 3%, e salvo il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni-Città, nel dosare la sanzione finanziaria, in assenza di parametri che consentano di proporzionare la sanzione all’inadempimento.

    Il comma 4 dello stesso art. 32, poi, applica alle Regioni che entro il 31 marzo 1998 non abbiano dato attuazione agli strumenti di pianificazione riguardanti la tutela della salute mentale di cui all’art. 1, comma 20, della legge n. 662 del 1996, e che non abbiano provveduto alla completa istituzione delle residenze territoriali e alla chiusura degli ospedali psichiatrici, le sanzioni previste dal comma 23 dello stesso articolo. Secondo la ricorrente, il termine sarebbe di irragionevole brevità, a motivo degli investimenti immobiliari e degli interventi edilizi, di grande complessità e di significativa lunghezza, da porre in atto; e l’inosservanza eventuale del termine sarebbe sanzionata in forma irragionevolmente grave e priva di proporzionalità rispetto all’entità dell’eventuale inadempimento, oltre che rimessa nell’an e nel quomodo ad una eccessiva discrezionalità dell’autorità statale.

    Il comma 5 dello stesso articolo, infine, disciplina il riutilizzo delle disponibilità finanziarie derivanti dalle riduzioni di cui al comma 2, devolvendole al finanziamento di azioni di sostegno volte alla rimozione degli ostacoli che hanno dato luogo all’inadempienza o a progetti speciali a favore di fasce sociali deboli; e destina le risorse derivanti dalle riduzioni di cui al comma 23 dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996 e al comma 4 dello stesso art. 32 alla realizzazione di un progetto-obiettivo “Tutela della salute mentale”, nonché, a titolo incentivante, a favore di aziende unità sanitarie locali e aziende ospedaliere che abbiano attuato i programmi di chiusura dei residui ospedali psichiatrici. Tale disciplina, secondo la ricorrente, prevederebbe la possibilità di assegnazione di risorse non direttamente alle Regioni, ma alle singole aziende, da parte del Ministro, con aggiramento non solo del sistema di finanziamento del Servizio sanitario regionale come...

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