Nuovi principi e vecchie questioni. Le principali fattispecie penali previste nel testo unico ambientale, recentemente modificato, e principio di offensività

AutoreLeonardo Lanucara
Pagine275-280

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1. Introduzione

Le recenti disposizioni di modifica ed integrazione del Testo unico ambientale, intervenute dapprima con il decreto legislativo 16 gennaio 2008 n. 4,1 poi con il decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 2 ed infine proprio in questi giorni con il decreto legislativo 3 dicembre 2010 n. 205,3 hanno inciso in maniera profonda, tra l’altro, sulla Parte prima di quel codice 4 mutando radicalmente la portata e la funzione di essa. Già dalla riformulazione della sua rubrica,5 si è reso manifesto l’intento delle novelle di fissare in tale Parte del Tua i principi generali della materia regolata. Per espressa previsione legislativa sono state così introdotte le direttrici di principio in tema di tutela dell’ambiente (artt. 3 bis-3 sexies) e di produzione del diritto ambientale (art. 3 bis).

Se la volontà del legislatore, resa manifesta da queste modifiche, è quella di rendere il Tua il corpus fondamentale del diritto in tema di ambiente,6 allora tale funzione sistematica non può essere da meno in relazione al diritto penale dell’ambiente, che lì trova, se non la base quantitativamente più consistente, certamente la sua vocazione alla organicità. Invero nel decreto legislativo ambientale sono oggi presenti norme di natura penale in quattro delle sei Parti in cui esso è articolato. Di recentissimo conio è l’art. 29 quattuordecies,7 posto nella Parte seconda del Tua, intitolato “Sanzioni” e che presidia, nella sua fattispecie principale, le ipotesi di esercizio di determinate attività senza il possesso dell’autorizzazione integrata ambientale. Nella Parte terza la tutela penale delle acque dall’inquinamento è incentrata sulle previsioni dell’art. 137.8 Un gruppo di norme (artt. 255-260 ter) è presente nella Parte quarta, posto a presidio di quella proteiforme galassia operativa che è la “corretta gestione dei rifiuti”9; ed infine un altro gruppo di norme (artt. 279, 288, 296) è contemplato nella Parte quinta, a difesa dell’atmosfera dalle illecite emissioni.10

Al riordino normativo testè riassunto ha fatto da contraltare la concentrazione verso un unico obiettivo delle voci dissenzienti rispetto alle scelte politico-criminali in tema di ambiente. Si è detto invero che il Tua ha lasciato sostanzialmente invariato il sistema sanzionatorio precedente,11 di tal che tutte le critiche che si addossavano all’apparato penale sparso tra i vari decreti legislativi in tema di acque, di rifiuti, di emissioni in atmosfera,12 si sono ora riversate sulle nuove disposizioni. Inadeguatezza delle fattispecie, scarsa dissuasività del trattamento sanzionatorio, vocazione alla prescrizione di quei reati che riescono ad accertarsi: quelle appena citate sono (ed erano) le constatazioni più frequenti rispetto alla tutela penale accordata all’ambiente.13

A me pare però che dal punto di vista strettamente dogmatico l’osservazione più diffusa è quella che, con toni, accenti e scopi diversi, pone in rilievo la natura strumentale delle odierne previsioni penali rispetto al diritto amministrativo,14 rilievo che in realtà, dietro le mentite spoglie della fredda analisi della struttura dei reati, cela una critica molto più impegnativa sul piano dei principi penalistici, ossia quella che consiste nel lamentare l’assenza di un vero e proprio bene giuridico quale ragione e oggetto di tutela penale delle previsioni sanzionatorie.15

In sostanza si afferma che le fattispecie in esame sono strutturate come figure di reato poste a tutela delle funzioni amministrative svolte dalle autorità titolari dei poteri concessori e di vigilanza, nell’ambito delle rispettive aree di intervento e che l’inottemperanza ai precetti previsti in materia ambientale non pone in pericolo l’ambiente, ma faccia torto soltanto alla Pubblica amministrazione che applica le leggi ed emana i provvedimenti. Questa diffusa opinione fa si che i precetti in parola siano annoverati tra le previsioni più screditate della materia penale, con indubbio riflesso negativo sugli aspetti applicativi della disciplina. Lo scollamento tra società e pubblica amministrazione non giova certo alla condivisione del messaggio socio-culturale contenuto nelle disposizioni sanzionatorie in esame, ed in ultimo nuoce alla loro efficacia dissuasiva.

Ma le implicazioni giuridiche sono ben altre e di esse ci dobbiamo occupare.

Questo lavoro vuole tentare la verifica della sussistenza dei requisiti minimali per accogliere nell’ambito di un moderno diritto penale, ispirato ai fondamentali principi liberal-democratici, l’apparato sanzionatorio posto in quel corpus. Naturalmente l’analisi vuole restare aderente il più possibile al dato normativo, e nello specifico, per ragioni di concentrazione espositiva, esaminare le norme principali e portanti dell’attuale assetto punitivo, quelle per intenderci che vengono additate come le disposizioni che assumono la funzione di modello tipico della incriminazione ambientale, in quanto presentano una struttura fortemente ancorata al regime amministrativo; e dunque il riferimento argomentativo è agli artt. 29 quattuordecies commi 1-3, 137, 256 commi 1-6, 279 commi 1-6 del Tua.

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Pur condividendolo, pertanto, si prescinderà volutamente dal motivare ed approfondire il giudizio di inadeguatezza delle attuali scelte legislative rispetto alla tutela effettiva del bene giuridico ambiente. Il progetto del 2007 ormai abbandonato, che prevedeva di inserire all’interno del codice penale il titolo dei reati contro l’ambiente, ha costituito una occasione perduta per portare a compimento il percorso di maturazione e pieno riconoscimento del bene giuridico ambiente tra quelli più significativi e degni di tutela dell’attuale momento storico.

2. L’analisi normativa

Senza dubbio l’accorpamento in un unico testo legislativo di disposizioni penali a tutela della c.d. biosfera stimola e favorisce la ricerca, strettamente fondata sul dato normativo, dei caratteri comuni alle fattispecie più significative e portanti dell’assetto punitivo che abbiamo individuato nelle norme di cui agli artt. 29 quattuordecies, 137, 256, 279. E tra tali caratteri, come già si accennava, si evidenzia per prima la strutturazione della fattispecie, la quale prevede sanzioni penali per la violazione delle discipline amministrative concernenti le funzioni di regolamentazione e controllo sui c.d. fattori che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente.16

Per ogni ambito di tutela della biosfera, la previsione tipica e portante dell’apparato sanzionatorio consiste nel vietare lo svolgimento dell’attività senza autorizzazione, che assume la caratteristica di ipotesi principale; previsione cui si accompagna poi la sanzione verso la violazione di prescrizioni imposte da norme (primarie o secondarie) o provvedimenti amministrativi.

La previsione penale sarebbe dunque, come sopra si accennava, assolutamente ancillare rispetto alla vera e propria tutela dell’ambiente, affidata al diritto amministrativo. Con terminologia più aderente alla nostra materia, i reati sarebbero in sostanza reati formali, che sanzionano la mera disobbedienza ad obblighi specifici previsti dalle norme di diritto amministrativo, se non proprio all’obbligo di ottenere la preventiva autorizzazione da parte della Pubblica Amministrazione per l’esercizio di determinate attività.17

E la lettura di ancora recenti pronunce del Supremo Collegio non vale certo a deviare da una così immediata ed intuitiva considerazione, se è vero che esso insegna in relazione all’art. 137 Tua che “In tema di tutela delle acque dall’inquinamento … la sanzione penale si correla al mancato controllo preventivo, esercitato dalla P.A. mediante il rilascio del titolo abilitativo, a prescindere dal recapito finale (acque, suolo e sottosuolo) non menzionato dalla norma sanzionatoria”.18 Ovvero, in relazione all’art. 279 Tua, lo stesso giudice di legittimità afferma che “non si tratti di un reato di danno ma di un reato formale o di condotta che tende a garantire un controllo preventivo da parte della P.A ….la Corte ….ha ulteriormente precisato che il bene tutelato dalla norma penale è l’interesse dell’amministrazione competente a controllare preventivamente la funzionalità e potenzialità inquinante degli impianti esistenti o nuovi”.19

Ora se si supera la prima impressione e si volge il pensiero verso i principi, l’orecchio allenato del penalista potrebbe avvertire nel concetto di reato formale quella disarmonia con i fondamentali della materia che è l’illecito di mera disobbedienza.

Uno degli interessi oggi più avvertiti dalla società non riceverebbe dunque una tutela penale diretta ed immediata, ma per esso sarebbe necessario il ricorso allo schema del reato di pericolo astratto, tipico di quei settori nei quali o l’importanza dei beni (definiti primari), o la difficoltà di provare la incidenza della specifica condotta sul bene impongono tale scelta politico-criminale.20

Eccoci dunque giunti in vista della seconda proprietà comune ai reati qui esaminati. Senza dubbio la struttura dei precetti disegnata dalla legge imprime loro la natura di reati di pericolo. Tuttavia la legittimità delle individuate fattispecie incriminatrici, in relazione al principio di offensività, non è mai scontata e mai concessa una volta per tutte. Essa è sempre da conquistare, e dipende “dalla capacità del legislatore di tipizzare in modo pregnante le note che tipicamente caratterizzano la portata lesiva della condotta pericolosa”.21 In sostanza siamo in presenza, secondo questi assunti, per la verità abbastanza benevoli nel panorama dottrinario, di fattispecie non al di sopra di ogni sospetto rispetto ad uno dei cardini di un moderno diritto penale di ispirazione liberale e democratica.

Ho già anticipato di condividere il giudizio di inadeguatezza dell’attuale assetto di tutela, e pur tuttavia il compito che il giurista deve proporsi è quello di verificare se le norme in esame, certamente assurte a modello della incriminazione nella materia...

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