La tutela penale del segreto investigativo

AutoreRoberto Giorgi Ronchi
Pagine956-974

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@1. Introduzione. Cenni semantici e morfologici

Il termine “segreto” sin dalle origini ha avuto un significato risultante dalla confluenza di elementi diversi: la scelta di una cosa di valore, ed una condotta di selezione e di occultamento della detta cosa.

Secretus viene da secernere, composto da “se” e “cernere”, dove “cerno” esprime una separazione, mentre “se” svolge una funzione iterativa. Dunque “se-cernere” indica l’operazione di separare qualcosa ritenuta di valore, per occultarla, custodirla e proteggerla.1

La dottrina ha identificato e distinto diverse tipologie di segreto giuridicamente rilevanti, ed in particolare tra le più importanti:

- segreto di Stato

- segreto d’ufficio

- segreto professionale

- segreto nel procedimento penale

La presente disamina prenderà in esame l’istituto del segreto nell’ambito del procedimento penale, ed in modo specifico l’atteggiarsi del segreto investigativo, cioè del segreto nella fase del detto procedimento penale dedicata alle indagini preliminari.

@2. Il segreto istruttorio nel codice di procedura penale del 1930

Il codice di procedura penale del 1930 in tema di segreto aveva recepito ed adottato la stessa soluzione di compromesso precedentemente adottata dal codice napoleonico del 1808, così articolata:

  1. una fase d’istruzione segreta, nel corso della quale il giudice istruttore raccoglieva le prove al di fuori di ogni intervento e più ancora di ogni conoscenza della difesa, e di seguito a ciò

  2. un dibattimento che si svolgeva nel contraddittorio delle parti, nel corso del quale i testi erano nuovamente sentiti.

    Fino al termine dell’istruttoria la conoscenza delle prove raccolte era preclusa alla difesa ed alle altre parti private: le prove venivano assunte appunto al di fuori di ogni intervento della difesa, mentre i verbali potevano essere letti in dibattimento, anche a distanza di anni, e la decisione veniva presa dal Giudice sulla base di quanto era stato raccolto e verbalizzato in segreto dall’organo inquirente, o dalla polizia.

    Nella formulazione originaria del codice del 1930 era sancito l’obbligo del segreto “per tutto ciò che concerne gli atti (istruttori) ed i loro risultati”.

    L’istituto del segreto istruttorio deriva da un modello di sistema processualpenale di tipo inquisitorio, e conseguentemente caratterizza come inquisitorio anche il sistema che lo accoglie, come appunto il sistema del codice di procedura penale del 1930. Si trattava però, come sopra accennato, di un sistema inquisitorio temperato; un sistema in cui il compromesso tra diverse esigenze era stato raggiunto prevedendo una fase dibattimentale improntata al modello accusatorio, ed una fase istruttoria precedente ispirata al modello inquisitorio: l’istruttoria era infatti segreta, ed il magistrato raccoglieva le prove - ripetesi - senza alcun intervento dell’imputato né del suo difensore, i quali potevano venirne a conoscenza solo al dibattimento, quando era però troppo tardi per fornire elementi nuovi alla decisione del giudice. Il carattere inquisitorio della fase istruttoria scaturiva non solo e non tanto dall’obbligo del segreto sugli atti - carattere come vedremo in sé spesso presente anche nel sistema successivo, quello attuale -, quanto piuttosto dalla presenza di un giudice proprio di tale fase, il giudice istruttore, il quale non solo raccoglieva le prove, ma provvedeva anche a valutarle.

    A partire dagli anni sessanta ha iniziato ad operare una distinzione tra segreto istruttorio “interno” e segreto istruttorio “esterno”: il segreto istruttorio “interno” concerneva un limite alla conoscibilità di atti o fatti da parte di un determinato soggetto, mentre il segreto istruttorio “esterno” investiva il divieto di pubblicazione di determinati atti.2 Dunque un limite alla conoscenza, che si distingue da un limite alla divulgazione. La detta distinzione, scolpita per la prima volta da PISAPIA e fatta propria dalla dottrina, è stata però rimessa in discussione negli ultimi anni di vigenza del codice del 1930: secondo alcuni scrittori, infatti, la classificazione suddetta non aveva basi positive, considerato che il divieto di pubblicazione non può definirsi un obbligo di segretezza in senso giuridico, ed inoltre nella sua rigidità non è suscettibile di descrivere tutte le forme che il segreto assume.3 Altri scrittori, ponendosi nello stesso solco interpretativo, hanno proposto di considerare l’obbligo di segretezza degli atti ed il divieto di pubblicazione come due istituti tra loro autonomi.4

    Il sistema scaturente dal codice del 1930 poneva una serie di sbarramenti a tutela della riservatezza delle indagini, ed in particolare: un primo limite al momento della formazione degli atti istruttori segreti, momento perPage 957 il quale v’era divieto d’accesso per i privati; un secondo limite rappresentato dal vero e proprio segreto istruttorio, ovverosia dal divieto, per le persone che avevano compiuto, concorso a compiere od assistito all’atto istruttorio di rivelare gli elementi che avevano conosciuto; infine un terzo divieto a tutela della riservatezza delle indagini consisteva nel divieto di pubblicazione, e si riferiva non solo alla fase istruttoria, bensì all’intero iter procedimentale.

    L’istituto del segreto istruttorio viene concettualmente ed astrattamente rimesso in discussione già nel dopoguerra, con l’entrata in vigore della Costituzione, la quale garantisce, riconosce e tutela il diritto di difesa.

    La prima importante legge di riforma è stata la n. 517 del 18 giugno 1955: in quella sede il legislatore consentì al difensore di assistere ad alcuni atti, tra cui la perizia, le perquisizioni domiciliari, gli esperimenti giudiziari, le ricognizioni, ed inoltre quella normativa dispose che i verbali dei suddetti atti e dell’interrogatorio dell’imputato, che pur continuava a rimanere segreto, fossero depositati in modo che il difensore potesse averne conoscenza.

    Successivamente il segreto istruttorio cominciò a subire diverse ed importanti limitazioni, con conseguente estensione dei diritti della difesa, grazie ad una serie di interventi operati dalla Corte costituzionale negli anni ‘70; in particolare si vuol qui ricordare: 1) la pronuncia che estese all’interrogatorio la garanzia difensiva rappresentata dall’assistenza del difensore, il quale ha ora diritto anche al previo avviso del compimento dell’atto;5 2) la pronuncia che estese la possibilità di assistenza del difensore all’ispezione giudiziale ed alla perquisizione personale, per le quali tuttavia il difensore non ha diritto al previo avviso del compimento dell’atto in questione;6 3) la pronuncia che dispose la possibilità per il difensore di assistere alla testimonianza a futura memoria ed al confronto tra imputato e testimone esaminato a futura memoria, ed in questo caso con diritto al preavviso del compimento dell’atto.7

    Il sistema risultante da questi interventi era configurato nel modo seguente: v’erano taluni atti destinati a rimanere segreti sino al termine dell’istruzione, per i quali non serviva classificazione in quanto ricadenti nel precetto generale di cui agli artt. 230 e 307 c.p.p.; v’erano poi atti che il difensore aveva diritto di conoscere.

    Tra questi ultimi in primo luogo v’erano quelli cui il difensore aveva diritto di assistere, ed in particolare: interrogatorio dell’imputato, perizia, esperimento giudiziario, ricognizione, perquisizione personale e domiciliare, ispezione giudiziale non corporale, testimonianza a futura memoria, confronto tra l’imputato ed il testimone esaminato a futura memoria.

    In secondo luogo la categoria comprendeva gli atti in merito ai quali il difensore aveva il diritto di esaminare i verbali depositati, ed in particolare: ispezioni corporali, sequestri, intercettazioni telefoniche.

    Si distingueva, inoltre, tra portata oggettiva e portata soggettiva del segreto: sulla portata oggettiva si noti come il codice del 1930 sanciva l’obbligo del segreto per tutto ciò che concerneva gli atti esperiti nel corso delle attività preliminari all’istruzione, nel corso dell’istruzione vera e propria, ed altresì i loro risultati - artt. 230 e 307 c.p.p. -. Il tenore precettivo particolarmente ampio ha reso problematico individuare la portata oggettiva della disciplina, al punto che in dottrina8 s’è autorevolmente affermato che, stante l’insufficienza del dato normativo, il divieto non fosse definibile oggettivamente in via generale, ma andasse considerato come una norma in bianco, suscettibile di essere integrata a seconda delle circostanze - oggettive e soggettive - alle quali si riferisce nel caso concreto.

    Per ciò che riguarda la portata soggettiva del segreto, destinatari dell’obbligo erano i magistrati, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, nonché “le altre persone eccettuate le parti private ed i testimoni, che compiono o concorrono a compiere atti di istruzione o assistono al compimento di essi” (art. 307 c.p.p.). Si consideri però che l’obbligo del segreto era stato esteso ai difensori ed ai consulenti tecnici dal disposto della legge 517/55, sopra citata.

    Il codice del 1930 prevedeva poi un divieto di pubblicazione degli atti, divieto avente una duplice fonte normativa: l’art. 164 c.p.p. e l’art. 684 c.p.. Oggetto del detto divieto era il contenuto, totale o parziale, dell’atto e di qualsiasi documento relativo alla fase istruttoria.

    Per ciò che concerne la cessazione del divieto di pubblicazione, occorreva distinguere diversi casi: a) se la fase istruttoria cessava con il rinvio a giudizio, il divieto permaneva sino alla lettura dell’atto in dibattimento celebrato a porte aperte; b) se l’istruzione si chiudeva invece con una sentenza di non doversi procedere il divieto durava sino al momento in cui l’istruzione poteva essere riaperta; c) se il dibattimento si svolgeva a porte chiuse il divieto di pubblicazione riguardava sia gli atti dibattimentali, sia gli atti istruttori.

    Nel caso di dibattimento a porte chiuse la sentenza della Corte Costituzionale...

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