La riparazione del danno quale causa di estinzione del reato

AutoreEugenio Albamonte
Pagine857-861

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Il decreto legislativo n. 274/2000, istitutivo delle competenze penali del giudice di pace, attribuisce specifico rilievo alla riparazione del danno quale causa estintiva del reato, contemplando, all'art. 35, tale evenienza quale ipotesi di epilogo del processo alternativo alla decisione sul merito.

La norma in esame stabilisce che «Il giudice di pace, sentite le parti e l'eventuale persona offesa, dichiara con sentenza estinto il reato, enunciandone la causa nel dispositivo, quando l'imputato dimostra di aver proceduto, prima dell'udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato».

L'istituto si caratterizza, oltre che per i profili assolutamente innovativi, per le convergenti finalità efficacemente perseguite: da un lato la deflazione del giudizio di merito (altrimenti eccessivamente penalizzato dalla preclusione dei riti alternativi) e dall'altro l'allettante incentivo per l'imputato a porre in essere, prima dell'inizio del giudizio, condotte riparatorie e risarcitorie del danno cagionato con la commissione del reato, al fine di poterne poi lucrare gli effetti estintivi.

È, peraltro assolutamente prevedibile che l'istituto operi beneficamente anche in ordine alla riduzione del carico di lavoro che grava sulla giurisdizione civile, offrendo anticipata soddisfazione alle ragioni poste a fondamento di un numero non esiguo di azioni per il risarcimento del danno, morale o patrimoniale, da reato.

Infatti, da un lato la funzione estintiva del risarcimento è completamente svincolata dalla costituzione di parte civile ed opererà anche nei procedimenti penali in cui non venisse avanzata alcuna specifica richiesta in tal senso.

Dall'altro la statuizione di proscioglimento, in quanto fondata sul positivo accertamento circa l'effettività del risarcimento e la congruità dello stesso, precluderà in radice ogni ulteriore accesso alla sede giudiziaria per vantare le medesime ragioni economiche.

Pregevole è, poi, la particolare attenzione dedicata oltre che al risarcimento per equivalente economico, alla riparazione in forma specifica del danno e all'eliminazione delle sue conseguenze. In tal modo attagliando esattamente le condotte riparatorie rilevanti alla dimensione specifica dei reati attribuiti alla competenza del giudice di pace ed alla portata dei danni che ne possano conseguire.

L'istituto in esame, in virtù dell'esplicito richiamo operato dall'art. 63 del decreto, è applicabile anche quando gli stessi reati siano giudicati dal giudice penale ordinario, sia per ragioni di diritto intertemporale sia per ragioni di connessione.

Profili sostanziali.

Funzionamento dell'istituto e partecipazione della persona offesa.

Funzione preminente del giudizio penale celebrato davanti al giudice di pace è, nell'intenzione del legislatore, ancor prima dell'accertamento della verità dei fatti e dell'irrogazione della sanzione, il ripristino dell'ordine dei rapporti sociali, violato dalla commissione del reato, mediante la conciliazione e la riparazione o risarcimento del danno.

Non è strano, quindi, che venga previsto un istituto, quale quello disciplinato dall'art. 35, che proprio sulla riparazione e sul risarcimento costruisce una forma di definizione del processo alternativa al giudizio di merito.

L'istituto in esame si affianca alla conciliazione delle parti prevista a norma dell'art. 2 comma 2 quale primario compito del giudice, presentando profili di affinità e di completamento sistematico di questa.

Infatti, con la conciliazione, la ripristinata concordia tra le parti, per lo più raggiunta in virtù di un indennizzo dei diritti offesi dal reato, viene suggellata dalla remissione della querela, cui consegue il proscioglimento per estinzione del reato. Si tratta, cioè di un meccanismo di definizione del giudizio fondato sul ritrovato accordo tra le parti, in virtù della soddisfazione degli interessi lesi dal reato accordata dal suo autore nei modi e nella misura pretesi dalla vittima.

L'art. 35, invece, offre uno strumento di definizione del giudizio in tutti quei casi in cui, a fronte del ristoro o del risarcimento, offerto o addirittura già compiuto dall'autore del reato, persista l'atteggiamento conflittuale della persona offesa che rifiuta di accettare il risarcimento offerto, ovvero, pur trattenendo il risarcimento già effettuato lo computi quale «anticipo» sull'importo complessivo dovuto e, comunque, non consenta alla remissione di querela.

L'estinzione del reato in virtù di condotte riparatorie opera quindi in tutti quei casi in cui, pur venendo meno le ragioni risarcitorie o riparatorie, di ordine morale o materiale, la persona offesa intenda coltivare l'azione penale e si rifiuti di addivenire ad una conciliazione. E si fonda, pertanto, non sul consenso di quest'ultima ma sulla rilevazione oggettiva del fatto che, grazie al risarcimento effettuato, l'ordine sociale violato dal reato deve ritenersi ricostituito e quindi la vicenda non merita ulteriore valutazione in sede penale.

Tale ricostruzione funzionale dell'istituto, per cui si possa addivenire al proscioglimento in virtù di condotte riparatorie anche contro la volontà della persona offesa, riposa sull'interpretazione letterale dell'art. 35. Tale norma prevede infatti, tanto al comma 1 che al comma 5 che il giudice possa pronunciare tale assoluzione «sentite le parti e l'eventuale persona offesa», senza attribuire alcun rilievo al dissenso da quest'ultima eventualmente manifestato.

Il valore del dato normativo evidenziato viene poi rafforzato dall'esame comparato con la formulazione del precedente art. 34. In tale sede, per la dichiarazione di improcedibilità del reato per la particolare tenuità del fatto, il legislatore attribuisce diverso rilievo alle manifestazioni di dissenso della persona offesa, prescrivendo che tale definizione possa esser impedita, pur in presenza dei presupposti normativi della sua declaratoria, qualora la persona offesa vi si opponga.

Del resto anche ragioni di ordine logico e sistematico propendono per privare di ogni rilievo il dissenso della persona offesa al proscioglimento ex art. 35; atteso che, diversamente opinando l'istituto si risolverebbe in un inutile doppione della remissione di querela.

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Allo stesso modo, deve ritenersi irrilevante ogni opposizione della persona offesa che tragga argomento dalla prospettata incongruità del risarcimento, offerto o prestato, rispetto alle proprie pretese o ad una stima unilaterale del danno subito. Sul punto non è prevista nessuna specifica interlocuzione della persona offesa, mentre la valutazione di congruità del risarcimento appare rimessa integralmente all'apprezzamento del giudice, che dovrà ricorrere agli ordinari strumenti di determinazione dell'entità del danno materiale o morale arrecato e verificarne la corrispondenza al...

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