La testimonianza de relato degli agenti provocatori o infiltrati: un’ulteriore interpretazione riconducibile alla “soluzione” del “doppio binario materiale”

AutoreMarcella Marcianò
Pagine267-277

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@1. Premessa

L’espressione “agente provocatore” viene utilizzata, nell’ambito del nostro sistema penale, al fine di identificare un soggetto (appartenente agli organi di polizia o privato cittadino) che, partecipando in vario modo ad un fatto criminoso, svolge la funzione di consentire la scoperta o la cattura dei soggetti coinvolti nel compimento dello stesso.

La definizione di agente provocatore appena prospettata risulta, però, alquanto semplicistica, posto che i confini della figura de quo hanno subito nel tempo una dilatazione progressiva che ha reso necessario un intervento della dottrina e della giurisprudenza volto ad individuare le caratteristiche delle tre differenti figure giuridiche dell’ “infiltrato”, del fictus emptor e del “finto soggetto passivo”1.

Per comprendere la funzione svolta dal soggetto definito “infiltrato” risulta particolarmente significativo il richiamo al termine francese mouche: l’allusione a una mosca, quale spettatore o ascoltatore invisibile di conversazioni o scene segrete e delittuose, sembra essere perfettamente adeguata ad esprimere il comportamento del soggetto de quo. Diverso nell’attività svolta ma identico nella finalità di repressione del reato risulta, invece, il c.d. “finto compratore” nell’ambito dei “reati contratto”2.

Infine, in una frequente classificazione dottrinale viene individuato il “finto soggetto passivo” che agisce allo scopo di fare uscire allo scoperto l’autore soprattutto in relazione ad alcune categorie di reati.

Secondo l’orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, è possibile individuare due diverse figure di agente provocatore: quella dell’ undercover agent e quella dell’agent provocateur. La prima individua quel soggetto, appartenente agli organi di polizia (o collaboratore degli stessi), che, nell’ambito di un’indagine preliminare ufficiale, svolge un’opera di osservazione e contenimento dell’organizzazione criminale. La seconda, invece, si configura nell’ipotesi in cui l’agente, anche al di fuori di una missione ufficiale, avvicina soggetti già sospettati di svolgere attività illecita, al fine di proporre agli stessi la commissione di reati al solo scopo di procedere all’arresto qualora l’istigazione viene accolta3.

Oggi, il quadro normativo relativo alle diverse figure di agente provocatore risulta essere particolarmente complesso e, pur se recentemente riformato, presenta numerose lacune anche per l’assenza di una normativa specifica che individui le modalità attraverso cui le informazioni acquisite dagli agenti provocatori possono essere utilizzate probatoriamente.

Queste ultime, infatti, costituiscono prezioso materiale conoscitivo la cui irrinunciabilità, ai fini dell’accertamento di un fatto di reato riconducibile alla criminalità organizzata di stampo mafioso o terroristico, è, senza dubbio, evidente.

@2. Le particolari ipotesi di agente provocatore previste dalla vigente legislazione

La disciplina relativa alla figura dell’agente provocatore, oggi, è di natura esclusivamente extra codicistica. Una prima problematica connessa alla normativa di riferimento è stata rappresentata, dunque, per tanto tempo, dalla moltelplicità e dalla mancanza di sistematicità di numerose fonti legislative susseguitesi nel tempo. Ciò nonostante, le varie ipotesi specifiche di agente provocatore previste dall’ordinamento presentavano, pur se autonome l’una dall’altra, taluni aspetti comuni che consentivano di delineare i caratteri essenziali della figura giuridica stessa.

Detto ciò, e prima di segnalare i vari interventi normativi secondo uno schema cronologico semplificativo, è interessante notare che spesso gli stessi hanno costituito il contenuto di accordi internazionali finalizzati a contrastare forme di criminalità particolarmente aggressive e connotate da una dimensione transnazionale e globale.

Il primo intervento normativo successivo alla Convenzione ONU di Palermo sul crimine organizzato transnazionale è stato rappresentato dalla modifica dell’articolo 97 del testo unico in materia di stupefacenti operate dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 (“Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi”). Il secondo, invece, è individuabile nell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146 (“Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assem-Page 268blea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001”) finalizzato a dettare una disciplina organica e omogenea delle attività sotto copertura intervenendo, con modifiche e abrogazioni, nel frammentato tessuto normativo dei vari provvedimenti legislativi che avevano introdotto particolari figure di agente provocatore (ad eccezione della materia degli stupefacenti già disciplinata dalla riforma dell’articolo 97 t.u. stup. alla quale si è appena fatto cenno).4

A questo proposito, coordinando la pregressa normativa e la legge 16 marzo 2006 n. 146 con la quale è stata ratificata la Convenzione e i Protocolli delle Nazioni unite contro il crimine transnazionale5, meritano di essere sinteticamente menzionati:

1) l’art. 97 t.u. stup. (Testo unico legge stupefacenti) di cui al d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309, in materia di acquisto simulato di stupefacenti (che trae la sua origine dalla convenzione O.N.U. di Vienna del 20 dicembre1988), modificato dall’art. 4-terdecies del d.l. n. 372 del 2005 (conv. in legge n. 49 del 2006), per il quale, fermo il disposto dell’articolo 51 c.p., non sono punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alle unità specializzate antidroga, i quali, in esecuzione di operazioni anticrimine disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga (o, sempre d’intesa con questa, dal questore o dal comandante provinciale dei Carabinieri o della Guardia di finanza o dal comandante del nucleo di polizia tributaria o dal direttore della Direzione investigativa antimafia di cui all’articolo 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410), acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano sostanze stupefacenti o psicotrope o compiono attività prodromiche e strumentali alle attività appena elencate (anche per interposta persona e al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti previsti dallo stesso testo unico). Tale disposizione normativa prevede, inoltre, che gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria (nonché gli ausiliari e le interposte persone di cui possono avvalersi, e ai quali si estende la causa di non punibilità prevista dalla norma in esame), al fine di svolgere le attività di cui al primo comma dello stesso articolo, possono avvalersi di documenti, identità o indicazioni di copertura anche per attivare o entrare in contatto con soggetti e siti nelle reti di comunicazione6.

2) L’art. 14 della legge n. 269 del 1998 (ancora in vigore in quanto non abrogato espressamente dalla legge n. 146 del 2006) recante norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù (legge che, all’art. 1, si apre con un preambolo che richiama la Conferenza mondiale di Stoccolma del 31 agosto 1996 sulla tutela dei fanciulli, a sua volta dipendente dalla convenzione O.N.U. del 20 novembre 1989), per il quale: “gli ufficiali di polizia giudiziaria delle strutture specializzate per la repressione dei delitti sessuali o per la tutela dei minori ovvero di quelle istituite per il contrasto dei delitti di criminalità organizzata” su ordine del Questore o di altri Comandi provinciali e “previa autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria” possono “al solo fine di acquisire elementi di prova” in ordine ai delitti di cui agli articoli 600 bis (Prostituzione minorile), 600 ter (Pornografia minorile) e 600 quinquies (Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile) “procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico o alle relative attività di intermediazione nonché partecipazione alle iniziative turistiche di cui all’articolo 5 della presente legge”. Tale disposizione normativa pone, però, non pochi problemi di coordinamento con la normativa introdotta dalla già citata legge n. 146 del 2006, avendo il legislatore realizzato una sovrapposizione di disciplina, a causa di abrogazioni espresse o tacite7 (l’art. 9, comma 11, l. n. 146 del 2006 ha, infatti, abrogato espressamente solo il comma 4 dell’art. 14 l. n. 269 del 1998, con la conseguenza che dovrebbero allora ritenersi ancora vigenti i commi 1-3 dell’art. 14). In realtà la soluzione non è così semplice posto che, il comma 1, lett. a) dell’art. 9 l. 146 del 2006 ha un ambito applicativo più ampio, prevedendo le attività sotto copertura per tutti i delitti contro la personalità individuale disciplinati nel libro II, titolo XII, capo III, sezione prima del codice penale: vi rientrano, dunque, le fattispecie penali richiamate dall’art. 14, comma 1, l. n. 269 del 1998, ponendo un problema di coordinamento tra quest’ultima disposizione e l’art. 9 l. n. 146 del 2006)8.

La normativa appena elencata consente già di individuare la natura giuridica delle ipotesi di non punibilità delineate dal legislatore con riferimento all’attività svolta dall’agente provocatore: essa sembra essere una “causa di giustificazione” che scrimina persino comportamenti che superano i limiti fissati dalla giurisprudenza per l’applicabilità dell’articolo 51 c.p.9.

Il fondamento di queste cause di giustificazione è ravvisabile, secondo una logica di ragionevole bilanciamento, nel nesso di strumentalità fra attività criminosa, realizzata da chi agisce sotto copertura, ed esigenze di accertamento e...

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