Note in tema di inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere da parte del P.M.

AutoreGisella Leto
Pagine58-59

Page 58

La sentenza che si annota ha affermato il principio secondo cui l'intervento della Corte costituzionale con sentenza n. 26 del 2007 inerisce al solo gravame del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento, rimanendo, perciò, immutato il regime di inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere, introdotto dall'art. 4 legge 20 febbraio 2006 n. 46 (modificativo dell'art. 428 c.p.p.), attese le differenze ontologiche tra la sentenza di proscioglimento e quella di non luogo a procedere; conseguentemente ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della nuova norma sollevata in udienza dal procuratore generale della Corte di cassazione.

Va preliminarmente osservato che la L. 20 febbraio 2006, n. 46 (c.d. «legge Pecorella») aveva previsto, modificando l'art. 593 c.p.p., l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, sollevando immediatamente molti dubbi di legittimità costituzionale, soprattutto in ragione della disimmetria tra i poteri del P.M., posto in condizione di non poter appellare il proscioglimento, e quelli dell'imputato, rimasto titolare del diritto di appellare la pronuncia di condanna.

Tali dubbi sono stati risolti dalla Corte costituzionale che, con sentenza 6 febbraio 2007, n. 26, ha dichiarato: 1) «l'illegittimità costituzionale della legge n. 46 del 2006, art. 1 nella parte in cui, sostieuendo l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603 c.p.p. comma 2, se la nuova prova è decisiva»; 2) «l'illegittimità costituzionale della citata legge n. 46 del 2006, art. 10 comma 2, nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal P.M. prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile».

In proposito, la Corte ha così argomentato: «... la parità delle parti non corrisponde necessariamente ad un'eguale distribuzione di poteri e facoltà fra i protagonisti del processo... ma è necessario che l'eventuale differente modulazione dell'appello medesimo per l'imputato e per il pubblico ministero... avvenga nel rispetto del canone della ragionevolezza...».

Nel dichiarare l'illegittimità della nuova disposizione, i giudici costituzionali hanno evidenziato che essa eccedeva il limite della «tollerabilità costituzionale», in quanto non sorretta da una ratio adeguata in...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT