Giurisprudenza di merito

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@CORTE DI APPELLO DI ROMA Sez. IV, 9 luglio 1999, n. 40 (c.c. 7 luglio 1999). Pres. Figliuzzi - Est. Siriaco - Imp. Baraldini.

Rapporti giurisdizionali con autorità straniere in materia penale - Riconoscimento delle sentenze penali straniere - Trasferimento in Italia di soggetto condannato all'estero - Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 - Condizioni al trasferimento - Ammissibilità - Legittimità - Condizioni.

In tema di trasferimento in Italia di soggetto condannato all'estero, per l'espiazione della pena inflittagli, in applicazione della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, resa esecutiva in Italia con la L. 25 luglio 1988, n. 334, è ben possibile che nell'iter formativo della volontà degli Stati diretta a stabilire i reali termini dell'accordo, siano inserite condizioni da garantire mediante impegni reciproci. Tali condizioni devono essere ritenute pienamente legittime qualora non siano in contrasto con l'ordinamento giuridico dei due Stati. (T.I. 21 marzo 1983) (1).

    (1) Importante pronuncia con la quale la Corte d'appello di Roma ha riconosciuto le sentenze penali emesse, negli Stati Uniti, nei confronti di Silvia Baraldini. Per una approfondita disamina sul tema del trasferimento delle persone condannate all'estero, con espliciti e puntuali richiami alla vicenda Baraldini, v. E. ZANETTI, Convenzioni sul trasferimento delle persone condannate, Ed. Giuffrè, Milano 1999.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Nel procedimento di riconoscimento, agli effetti previsti dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, ratificata con legge n. 334/88, e ai sensi dell'art. 1 - titolo primo - della legge 3 luglio 1989 n. 257, recante norme di attuazione della convenzione, della sentenza straniera emessa in data 15 febbraio 1984 dalla Corte distrettuale federale per il distretto orientale di New York nei confronti di Baraldini Silvia, nata a Roma il 12 dicembre 1947 - attualmente detenuta negli Usa - con la quale la Baraldini è stata ritenuta responsabile dei reati di «racketeering conspiracy to carry out affairs of a criminal enterprise throug armed, robberies etc. e «participation in a racketeering enterprise» previsti dal titolo 18 U.S. Code 1961-1962» e condannata alla pena complessiva di anni quaranta di reclusione e $ 50.000 di multa; nonché della sentenza straniera emessa in data 19 aprile 1984 dalla Corte distrettuale federale per il distretto orientale di New York con la quale la Baraldini è stata riconosciuta responsabile del reato contro l'amministrazione della giustizia previsto dal titolo 18 U.S. Code 401 e condannata alla pena di anni tre di reclusione.

Con sentenza emessa il 15 febbraio 1984 dalla Corte distrettuale federale per il distretto meridionale di New York, Silvia Baraldini veniva condannata alla pena complessiva di anni 40 di reclusione e $ 50.000 di multa per i delitti di «racketeering conspiracy to carry out affairs of a criminal enterprise through armed, robberies etc.» e «participation in a racketeering enterprise» previsti dal titolo 18 U.S. Code 1961- 1962 (associazione a delinquere al fine di procurare profitti ad imprese criminali mediante rapine, estorsioni, nonché sequestro di persona, evasione, rapina a mano armata, tentativi di rapine a mano armata).

Con altra sentenza emessa in data 19 aprile 1984 dalla Corte distrettuale federale per il distretto orientale di New York la Baraldini veniva condannata alla pena di anni 3 di reclusione per il reato contro l'amministrazione della giustizia previsto dal titolo 18 U.S. Code 401 (rifiuto di prestare il giuramento in sede di deposizione testimoniale, rendendo, così impossibile la sua escussione in qualità di teste).

In data 10 giugno 1999 il Ministro di grazia e giustizia trasmetteva gli atti alla procura generale presso la Corte di appello di Roma chiedendo di voler promuovere presso la Corte - territorialmente competente ai sensi dell'art. 732 c.p.p. - il procedimento di riconoscimento delle suddette sentenze ai fini dell'esecuzione della pena in Italia a norma della Convenzione sul trasferimento delle persone condannate sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983, ratificata con legge n. 334/88, e ai sensi dell'art. 1 titolo primo della legge n. 257/89.

Nella missiva del 10 giugno 1999 il ministro dava atto che il Dipartimento della giustizia degli Usa aveva acconsentito al trasferimento in Italia di Silvia Baraldini per l'ulteriore esecuzione nello Stato italiano delle pene detentive inflittele a condizione che la condanna complessivamente irrogata negli Usa «venisse eseguita fino al termine stabilito del 29 luglio 2008, senza poter beneficiare di alcuna forma di rilascio dalla carcerazione e nel rispetto delle condizioni specificamente indicate dal Governo degli Usa ed accettate integralmente e senza riserve dalla stessa Baraldini».

Lo stesso ministro, nella missiva, dava atto che riteneva di poter «accogliere le condizioni poste dallo Stato di condanna, tenuto conto delle finalità di reinserimento sociale - mediante l'esecuzione della pena nello Stato di origine - proprie della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983».

In data 15 giugno 1999 la procura generale in sede chiedeva che la Corte volesse pronunciare il riconoscimento in Italia di dette sentenze ai fini dell'esecuzione del residuo pena in Italia, con determinazione del fine pena a norma dell'art. 3 L. n. 257/89, tenuto conto di quanto risultava dagli atti che si trasmettevano in allegato.

Fissata l'udienza ai sensi dell'art. 127 c.p.p., al termine della stessa il P.G. concludeva per il riconoscimento delle sentenza agli effetti dell'esecuzione del residuo pena in Italia.

Lo stesso P.G. chiedeva che il fine pena venisse fissato al 3 aprile 2009, partendo da una pena massima di anni trenta, in quanto, a suo avviso, al periodo di detenzione sofferto a titolo di custodia cautelare preventiva e di espiazione pena, dovevano aggiungersi i benefici maturati, da calcolarsi in base alla legge italiana.

La difesa della Baraldini aderiva alle richieste del P.G. La Corte riservava la decisione. Page 892

In via preliminare occorre ricordare che questa Corte con sentenza del 3 maggio 1991 ha già riconosciuto la sentenza di condanna alla pena complessiva di anni 40 di reclusione ai sensi dell'art. 12 nn. 1 e 2 c.p. (e precisamente agli effetti della recidiva e della interdizione perpetua dai pubblici uffici).

Il nuovo codice di procedura penale, nel disciplinare unitariamente per tutti i tipi di riconoscimento le forme del procedimento davanti alla corte di appello e la deliberazione che lo conclude, stabilisce che alla sentenza di riconoscimento debba di necessità inserire l'enunciazione espressa degli effetti che ne conseguono.

Pertanto, ove manchi in una sentenza che attua il riconoscimento la declaratoria di tutti gli effetti dallo stesso astrattamente derivabili, detta sentenza non potrà essere integrata con un'ordinanza che indichi tutti gli altri effetti in precedenza non espressamente indicati ed occorrerà iniziare un nuovo iter di riconoscimento con la conseguenza e con il vantaggio che nel medesimo potranno essere dispiegate tutte le garanzie di legge, in perfetta aderenza alle esigenze del contraddittorio tra le parti e della difesa. Ciò premesso e passando all'esame degli atti, ritiene la Corte che sussistono nella fattispecie tutti i presupposti e le condizioni richiesti dall'art. 733 c.p.p. e dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, ratificata con legge n. 334 del 1988, per il riconoscimento delle suddette sentenze agli effetti previsti dalla citata Convenzione ed ai sensi dell'art. 1 L. n. 257/89 e precisamente ai fini dell'esecuzione del residuo pena in Italia.

Ed invero per quanto concerne i presupposti richiesti dall'art. 733 c.p.p., la cui sussistenza è stata, peraltro, già vagliata dalla Corte che ha effettuato il riconoscimento agli effetti previsti dall'art. 12 nn. 1 e 2 c.p., si osserva:

A) che le suddette sentenze sono state pronunciate dall'autorità giudiziaria di uno Stato con il quale esistono accordi internazionali;

B) che le suddette sentenze sono divenute irrevocabili per le leggi dello Stato in cui sono state emesse;

C) che le sentenze non contengono disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato;

D) che le stesse sono state pronunciate da un giudice indipendente ed imparziale;

E) che l'imputata è stata assistita nel corso del giudizio da un difensore ed è stata interrogata in una lingua a lei comprensibile;

F) che non vi sono ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, al sesso, alla religione, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali abbiano influito sullo svolgimento o sull'esito del processo;

G) che i fatti contestati e per i quali è stata pronunciata sentenza di condanna sono previsti come reato dalla legge italiana e corrispondono ai delitti di cui agli artt. 416, 56, 628 cpv., 629 cpv., 605, 385, 372 c.p.;

H) che per gli stessi fatti e nei confronti della stessa persona non risulta che sia in corso nello Stato procedimento penale o che sia stata emessa sentenza irrevocabile.

Per quanto attiene alle condizioni richieste dalla Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate si osserva in via preliminare che, avendo lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione aderito alla convenzione, le disposizioni nella stessa contenute prevalgono sulle norme del codice di diritto ai sensi dell'art. 696 c.p.p.

La Convenzione consente il trasferimento di una persona condannata solo in presenza delle seguenti condizioni, specificamente elencate all'art. 3:

A) che la persona condannata sia cittadino dello Stato di esecuzione;

B) che la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile; C) che la durata della pena che la persona condannata deve ancora espiare sia di almeno sei mesi;

D) che lo Stato di condanna e lo Stato di esecuzione siano d'accordo sul...

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