Giurisprudenza di merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine729-736

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@CORTE DI APPELLO DI CATANIA Sez. II, 17 maggio 2004, n. 1169. Pres. ed est. La Rosa - Imp. Terranova.

Impugnazioni penali in genere - Impugnazione del pubblico ministero - Motivi formulati «per relationem»Ammissibilità - Condizioni - Mancato richiamo a motivi contenuti in analogo atto di altra parte processualeAmmissibilità - Esclusione.

In tema di impugnazioni, non può ritenersi ammissibile il gravame proposto dal pubblico ministero che non si richiami ai motivi di altro analogo atto formalmente esistente e depositato agli atti da una delle altre parti del processo, ma piuttosto rifacendosi solo per relationem al contenuto di una memoria (che non può mai costituire parte motiva di un appello anche se allegata all'atto formale di gravame) depositata dal difensore della parte civile contenente soltanto dei rilievi sulla decisione del giudice, senza che nell'atto formale di appello venissero enunciati, almeno sinteticamente, i motivi specifici, così da consentirsi l'individuazione delle questioni da risolvere. (C.p.p., art. 570; c.p.p., art. 572) (1).

    (1) Nello stesso senso si veda, tra le altre, Cass. pen., sez. I, 19 marzo 1997, Romano, in questa Rivista 1997, 765, secondo cui, se può ritenersi che l'indicazione specifica dei motivi è un onere che può essere assolto anche per relationem col semplice rinvio al contenuto delle censure mosse da altro atto di impugnazione, è, però, condizione essenziale che quest'ultimo risulti ritualmente acquisito agli atti del procedimento. (Nella specie, a seguito di declaratoria di inammissibilità del gravame del P.M., per violazione dell'art. 582 c.p.p., veniva comminata la sanzione di inammissibilità, anche all'appello del P.G. che era motivato per relationem sull'atto del procuratore della Repubblica). Sull'argomento si veda, in dottrina, R. CANTONE, Brevi osservazioni sulle modalità di deposito dell'impugnazione da parte del pubblico ministero e sulla motivazione per relationem dell'atto di impugnazione (nota a sent. Cass. pen., sez. I, 19 marzo 1997, Romano), in Cass. pen. 1998, III, 553.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE. - Tratto a giudizio per rispondere del reato di ricettazione (art. 648 c.p.), commesso a Catania in epoca compresa fra il 24 gennaio 1989 ed il giugno 1991, Terranova Sebastiano è stato giudicato ed assolto da tale reato con sentenza del Pretore circondariale di Catania del 20 marzo 2002 con la formula perché il fatto non sussiste ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p.

Si è contestato al Terranova di avere, al fine di trarne un profitto ingiusto, acquistato e comunque ricevuto, un dipinto cinquecentesco eseguito da Pietro Marescalco da Feltre detto «La Spada» che rappresentava «Mosè che fa scaturire le acque dalla roccia» provento del furto commesso la notte fra il 23 ed il 24 gennaio 1989 all'interno dell'abitazione di Belluno della contessa Miari Claudia.

Il fatto oggetto di contestazione può brevemente riassumersi nei termini che seguono.

Successivamente al furto commesso ai danni della contessa Miari (e che riguardava anche altri oggetti di antiquariato e di arredamento) il quadro oggetto di contestazione veniva battuto all'asta a Roma dalla società «Cristie's» ed aggiudicato per prezzo di lire 22 milioni oltre ai diritti di asta (lire 3.300.000) in data 4 giugno 1991 a tale Poletti Michelangelo (imprenditore e proprietario in Emilia-Romagna di una collezione di quadri) il quale, in occasione di una esposizione pittorica curata dalla Soprintendenza di Venezia e svoltasi nel 1993 ne autorizzava la visione al pubblico.

È in questa circostanza che la contessa Miari riteneva di individuare in quello esposto il quadro sottrattogli.

Svolte le indagini di rito si accertava che il quadro in questione era stato consegnato per la successiva vendita all'asta alla «Cristie's» qualche tempo prima da tale Baratti Giorgio, titolare della società «Borgonuovo 4 Srl» che si occupava del commercio di oggetti d'arte, il quale a sua volta, assunto a verbale dagli investigatori, sosteneva di essere venuto in possesso del quadro a seguito di cessione intervenuta a Milano con l'odierno imputato Terranova Sebastiano, collezionista d'arte di Catania, al quale aveva consegnato in cambio un quadro di pittore piemontese oltre la somma di lire 4 milioni in denaro contante; di avere dopo alcuni mesi consegnato il quadro alla società «Cristie's» anzidetta per curarne la vendita.

Terranova Sebastiano, a sua volta assunto a verbale e poi sentito in udienza, ha sostenuto di avere acquistato il quadro nella prima metà degli anni '80 (1983/1984) per il prezzo di lire 2 milioni (la vendita riguardava anche altri due quadri) presso un mercato rionale di Catania; che il quadro raffigurava il disegno pittorico di una madonna e si presentava pregevole per la cornice ed anche perché appariva (il Terranova è un intenditore oltre che commerciante di opere d'arte e di oggetti di antiquariato) una diversità cronologica fra l'immagine apparente (da datarsi nell'anno '800 primi '900) e la tipologia del materiale sul quale era impressa; di avere affidato il dipinto ad un restauratore (il prof. Platania dell'Accademia delle Belle Arti di Catania: questi, assunto in udienza ha confermato la circostanza) il quale, durante i lavori, si era accorto dell'esistenza, sotto la pittura apparente, del dipinto firmato da Pietro Marescalco da Feltre che era stato così posto in risalto.

Il pretore ha assolto l'imputato dal reato ascrittogli ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p. sul duplice rilievo che non era stata provata con certezza la corrispondenza del quadro rubato alla contessa Miari nel gennaio del 1989 con quello già in possesso del Terranova e neppure che quello rubato fosse l'originale del dipinto, potendosi anche ritenere che si fosse trattato di una riproduzione eseguita successivamente da altro pittore (in verità, è da dire che, prima del riconoscimento effettuato dalla contessa Miari, nessuno aveva prestato attenzione al pregio del quadro che, prima della proposizionePage 730 all'asta, era stato mostrato agli organi competenti ai quali il furto era stato segnalato).

Non era poi di secondario momento il dato che neppure era stato possibile smentire l'assunto del Terranova sulle modalità e circostanze dell'acquisto del quadro, confermate dal teste Cultrera Francesco, e quanto affermato dal teste Platania (restauratore del quadro) il quale, sentito in udienza, ha in tutto confermato l'assunto del Terranova.

Avverso la sentenza è stato proposto appello dal pubblico ministero, ma su questo non è necessario soffermarsi, attese le conclusioni cui riterrà di giungere la Corte.

All'udiena odierna, svoltasi nella contumacia dell'imputato e presente la parte civile costituita, preliminarmente i difensori dell'imputato imputati chiedevano che fosse dichiarato inammissibile l'appello proposto dal pubblico ministero perché privo di motivi ed in secondo luogo la nullità del giudizio di primo grado perché il decreto di citazione a giudizio dell'imputato (emesso dal pubblico ministero l'8 agosto 1987) aveva acquistato giuridica esistenza soltanto con il deposito avvenuto il 29 settembre 1987 e cioè, in epoca successiva all'entrata in vigore (il 9 agosto 1997) della legge 16 luglio 1997 n. 234 (art. 2), che aveva imposto la comunicazione della chiusura delle indagini e l'esame dell'imputato prima della emissione del decreto di citazione a giudizio, salvo che anteriormente a tale data questo fosse stato già emesso: eccezione questa che era stata già formulata (e respinta) nella fase preliminare al giudizio dinnanzi al pretore.

Nel merito le parti concludevano quindi nei termini di cui al verbale ed alla comparsa conclusionale.

Ritiene la Corte fondata l'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione sollevata dai difensori perché proposta dal pubblico ministero senza l'enunciazione di specifici motivi, rilevandosi pure sempre la fondatezza anche dell'eccezione di nullità del giudizio atteso che l'esistenza giuridica di un atto proveniente dal giudice è da ricollegarsi alla sua pubblicità avvenuta con il deposito in cancelleria o segreteria (nel caso specifico il 29 settembre 1998) e non già con la semplice emissione 8 agosto 1997 che potrebbe anche non venire seguita dal deposito.

Quanto alla inammissibilità del gravame proposto dal procuratore della Repubblica va osservato che questo è stato proposto senza l'enunciazione di specifici motivi, come previsto dall'art. 581 lett. c) c.p.p., essendosi questo limitato, nel chiedere la riforma della sentenza impugnata, a richiamare per relationem i rilievi mossi alla decisione del primo giudice dal difensore della parte civile e contenuti nella memoria formata e depositata ai fini dell'impugnazione ex art. 572 c.p.p. dal difensore della parte civile costituita.

In tale senso va posto in evidenza che il nuovo codice di rito, innovando rispetto a quello del 1930, ha unificato in un unico atto i momenti della proposizione del gravame e della presentazione dei motivi, con la conseguenza che l'impugnazione deve considerarsi unitaria e che l'enunciazione di motivi, anche solo generici, costituisce già di per sè motivo di inammissibilità del gravame, dovendosi quantomeno sommariamente indicarsi il contenuto delle censure mosse alla decisione.

La Suprema Corte ha ritenuto l'ammissibilità del gravame i cui motivi risultano formulati per relationem, ma soltanto se in questo si fa riferimento ai motivi di gravame di altra parte processuale (coimputato, parte civile, responsabile civile) ritualmente depositati e nel rispetto dell'art. 581 lett. c) c.p.p., pure con tutte le possibili conseguenze di riflesso derivanti dalla eventuale inammissibilità del gravame di riferimento (vedi Cass. 6 febbraio 1997, Romano, in Cass. pen. 1998, 553; Cass. 19 gennaio 1995, Pescante, in Cass. pen. 1996, 3038).

Nel caso concreto, invece, il gravame è stato proposto dal procuratore della Repubblica, non già richiamandosi ai motivi di altro analogo atto...

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